OTTINO, Pasquale, detto Pasqualotto
OTTINO (Ottini), Pasquale, detto Pasqualotto. – Figlio di Francesco scutellarius (fabbricante di stoviglie) e di Polissena Orsini, di origini romane, nacque a Verona nella contrada di S. Vitale intorno al 26 settembre 1578, giorno in cui venne battezzato nella chiesa parrocchiale (Rognini, 1973B).
Come si apprende da Carlo Ridolfi (1648) e da Bartolomeo Dal Pozzo (1718), fu educato alle arti figurative da Felice Brusasorci presumibilmente sul finire del Cinquecento, momento in cui nella bottega gravitavano diversi pittori tra cui il coetaneo Alessandro Turchi detto l’Orbetto e Santo Creara. Con Creara fu legato da fraterna amicizia, tanto che la sorella di quest’ultimo, Dorotea il 17 luglio 1630, perduti tutti i famigliari, nominò nel testamento quale erede universale «l’egregio Pasqual Ottin […] dilettissimo, fedelissimo amico e benefattore di casa Creara» (Rognini, 1973A).
Ai primi anni del Seicento sono riconducibili l’Età dell’oro del Museo di Castelvecchio di Verona (Marinelli, 1989, p. 150), per lungo tempo attribuita a Brusasorci, e due disegni raffiguranti entrambi la Battaglia tra i lapiti e i centauri, conservati al British Museum di Londra (inv. n. 1946,0713.136) e al Musée du Louvre di Parigi (quest’ultimo con l’annotazione «Pasquale Ottino ft 1605»; Sueur, 1992; Disegni veronesi, 1994), pervasi da una cultura ancora tardomanierista, chiaramente legata a quella del maestro, impreziosita da desunzioni tratte da Giambologna. Come collaboratore di Brusasorci, Ottino dovette ritagliarsi un ruolo di primo piano nell’esecuzione delle gallerie di ritratti degli antenati, richieste dagli aristocratici veronesi quale patente di nobiltà da esibire nelle dimore cittadine. Pur nell’evidente contiguità con le effigi dipinte da Brusasorci, sono attribuibili a lui i volti di tre avi della famiglia Pompei ora al Museo veronese di Castelvecchio (Marinelli, 1994, p. 71) e di due esponenti dei Nichesola (coll. priv.; Marinelli, 1999, p. 12) che acquistano una nuova e più solida corporeità, evidente pure nel Ritratto di imperatrice, passato sul mercato antiquario veneziano (Dossi, 2006-07). Più che sui ritratti di personaggi storici idealizzati, si può tuttavia misurare la sua capacità ritrattistica sul Ritratto di monaco del Museo di Castelvecchio (Marinelli, 1994, p. 71).
Alla morte di Brusasorci (22 febbraio 1605), Turchi e Ottino si trovarono a gestire un lascito rilevante di commissioni inevase e opere rimaste «imperfette» (Ridolfi, 1648, p. 125), tra cui il grande telero raffigurante la Raccolta della manna, collocato nel presbiterio di S. Giorgio in Braida a Verona. È plausibile che Ottino avesse ricevuto in eredità dal maestro anche la commissione per la Vergine in gloria con il Bambino e santi della chiesa di S. Giovanni Evangelista ad Ala (Trento), cronologicamente legata alla decisione presa l’8 aprile 1602 dalla Magnifica Comunità del paese di far eseguire una pala al fine di far cessare la pestilenza in atto, ma di fatto databile ad alcuni anni più tardi (Marinelli, 1991, p. 60); il bozzetto preparatorio è conservato all’Art Institute di Chicago (inv. n. 1998.389). Sempre al periodo giovanile viene ricondotta la S. Maria Maddalena e angeli di collezione privata veronese (Guzzo, 1998). Seguendo l’esempio dell’amico Creara, il 29 luglio 1606 Ottino fu accettato tra i confratelli della Compagnia dei Ss. Siro e Libera, ritenuta probabilmente un’occasione per entrare in contatto con alcuni membri della nobiltà locale e allargare il giro delle committenze (Rognini, 1973B).
Lacunosi risultano invece gli anni seguenti. Dal Pozzo, che per la stesura della biografia di Ottino attinse «a memorie di sua casa» (1718, p. 167), attesta un soggiorno romano antecedente al 1612, data del matrimonio dell’artista: «tenendo honeste parentele in Roma, si risolse di portarsi in quella città in compagnia [...] del Bassetti, e dell’Orbetto, dove si fermò per qualche tempo, e vi migliorò assai lo stile […]. Ritornato in patria, s’accasò nel 1612».
Tale notizia ha trovato parziale conferma nei registri dei mandati di pagamento del cardinale Alessandro Damasceni Peretti Montalto in cui Ottino può essere identificato nel «Pasquale pittore veronese» che il 27 aprile 1609 ricevette un pagamento per «un [non meglio noto] quadro di pittura, compro [sic] da lui per servitio della casa nostra» (Pierguidi, 2001, p. 93). Tuttavia non risulta che Bassetti e Turchi, attestati nella città papale negli anni seguenti, lo abbiano seguito. Si può affermare con sufficiente sicurezza che il soggiorno a Roma dell’artista si sia concluso entro il 1° gennaio 1610, data di un pagamento a Verona di 50 scudi disposto in suo favore «per comprar paragoni» (ibid., p. 95) da parte di Guido Reni, presumibilmente conosciuto nella cerchia del cardinale Peretti.
A ridosso dell’esperienza romana è collocabile la grande Deposizione di Cristo della cattedrale di S. Vito a Praga che «pur muovendosi tra Caravaggio e Schedoni» sembra rendere ancora omaggio alle composizioni di Taddeo Zuccari e Daniele da Volterra (Marinelli, 1991, pp. 60 s.).
Diversi documenti attestano la presenza di Ottino nella sua città nel secondo decennio: nel Consiglio direttivo della Confraternita dei Ss. Siro e Libera venne eletto il 1° luglio 1611 in qualità di «sagrestan» e il 26 dicembre 1612, per il semestre successivo, di «bidello» (Rognini, 1973B). Il 25 novembre 1612 sposò, nella chiesa di S. Maria Rocca Maggiore, Angela, figlia di Giovan Battista Roia, ricco mercante di formaggi (Verona, Archivio storico della Curia diocesana, Registri canonici, Parrocchia di S. Maria Maggiore, Registro matrimoni, 1604-1679, ad datam; Rognini, 1973B con collocazione precedente). Dal matrimonio nacquero Polissena (1615), Gian Battista (1619) e Alessandro (1621).
Al 1613 risale il primo punto fermo della sua produzione artistica, vale a dire la pala raffigurante i Misteri del Rosario della chiesa parrocchiale di Engazzà (Verona), per la quale sembra aver tratto ispirazione da composizioni caravaggesche (Marinelli, 1991, p. 62), declinate però con un linguaggio dichiaratamente emiliano, di Alessandro Tiarini in particolare (Conforti Calcagni, 1974). Nel medesimo anno Turchi firmò la tela della Vittoria dei veronesi a Ponte Alto destinata alla decorazione della sala del Consiglio civico dei Cinquanta nella loggia di fra Giocondo: è ragionevole ritenere che la Battaglia notturna sul ponte delle Navi tra Cangrande II e Fregnano nel 1354 dipinta da Ottino per lo stesso ciclo, molto danneggiata da un incendio (Verona, Castelvecchio, Circolo ufficiali), sia stata eseguita nello stesso momento. Per l’eremo di Tagliaferro ad Avesa (ora Verona, Museo di Castelvecchio), concesso nel 1609 ai frati minimi di S. Francesco di Paola dal conte Agostino Giusti, Ottino dipinse, nello stesso torno d’anni, la grande Deposizione dalla Croce con apostoli e pie donne che gli valse l’apprezzamento di Ippolito Pindemonte per la «gran robustezza di pennello, e [per la] gran forza d’espressione, […] massime nella testa della Vergine e in quella di Cristo» (Prose campestri, 1795; cit. in Marinelli, 1991, p. 63).
Un certo successo dell’artista nella sua città è documentato dall’inclusione nell’elenco dei «pittori eccellenti» attivi a Verona stilato nel dialogo diFrancesco Pola intitolato Lo Stolone, ovvero Della sala pretoria… (Verona 1615), nel quale però l’autore lo chiama per un lapsus calami «Ottolini».
Nel 1616, momento in cui Turchi e Bassetti sono documentati a Roma (Alessandro Turchi, 1999, p. 252; Rognini, 1974, p. 273),alcuni dati oggettivi legano Ottino a Verona, di fatto confutando l’idea di Roberto Longhi (1959) di una sua partecipazione alla decorazione della sala Regia del palazzo del Quirinale (1616); in questo anno fu allibrato nell’estimo cittadino nella contrada di S. Vitale (Rognini, 1974, p. 273) e ricevetteun pagamento dall’arte dei merciai per un non meglio identificato «anzolo S. Michel depento» (Scarcella, s.d. [ma 1948]) destinato alla chiesa di S. Eufemia. Il nome dell’artista compare inoltre nel testamento di Alessandro Vimercati, stilato nel 1616, il quale, avendo deciso di donare a un conoscente un quadro di Domenico Brusasorci «cosa molto stimata nella casata di detto signor testador» (Zamperini, 2008,p. 396) dispose che i suoi discendenti commissionassero a Ottino o a Creara una copia da conservare in casa a perpetua memoria (ibid.).
Il 1619 fu un momento cardine per il pittore (Conforti Calcagni, 1969); con Bassetti e Turchi impegnati a Roma, acquistò un ruolo di primo piano nella decorazione della cappella Varalli in S. Stefano a Verona, fatta erigere nel 1618 a custodia delle reliquie dei primi martiri cristiani della città. Oltre alla citata pala con la Strage degli innocenti, che ricorda – per la scansione delle figure nello spazio e per il colorito chiaro e luminoso – l’analogo tema dipinto da Guido Reni nel 1611 (Bologna, Pinacoteca nazionale), dipinse «i compartimenti nella cupola […], e sotto [nei pennacchi] l’Angelo, l’Annunciata, S. Carlo Borromeo e S. Francesco d’Assisi, ora scomparso per la salsedine» (Belviglieri, 1898, p. 64). A conclusione dell’impresa giunsero da Roma le tele per i due altari laterali dipinte dall’Orbetto (I quaranta martiri) e da Bassetti (I cinque vescovi martiri). In particolare la lezione di quest’ultimo si rivelò un pungolo fondamentale per la svolta di Ottino verso un «caravaggismo riformato», o meglio verso il suo lanfranchismo (Pallucchini, 1974, p. 148), motivato, secondo la critica, da un probabile nuovo soggiorno romano (Conforti Calcagni 1969; Magagnato 1974; Pallucchini 1974 e 1981, Pierguidi, 2001).
Testi esemplari di questo momento, il più significativo e impegnato della sua attività artistica, sono la Madonna in gloria con i ss. Bernardo, Antonio abate, Agostino vescovo, Benedetto e Mauro della chiesa veronese di S. Giorgio in Braida, «filiazione diretta ed immediata» della citata pala bassettiana per il «grandeggiare di forme inconsueto» e per il colore «più succoso, più costruito» (Conforti Calcagni, 1969) e l’Assunzione per la parete sinistra del presbiterio di S. Maria in Vanzo a Padova – a pendant della Natività della Vergine dell’Aliense (Antonio Vassilacchi) datata 1623 – in cui l’influsso di Lanfranco sembra essere prevalente. Di quest’ultima pala è noto uno studio preparatorio raffigurante Due apostoli (Sueur, 1992, p. 54). Altra commissione legata come le due precedenti ai canonici regolari della Congregazione veneziana di S. Giorgio in Alga fu quella per la chiesa di S. Giuliano a Rimini, dove Ottino venne chiamato a dipingere S. Lorenzo Giustiniani e S. Giorgio, scomparti laterali della pala dell’altare maggiore con il Martirio di s. Giuliano di Paolo Veronese.
Il formato bislungo e la possibilità di focalizzare l’attenzione sulla sola figura sembrano esser stati assai congeniali all’artista, come dimostrano i due laterali con S. Gioacchino e S. Giuseppe, capolavori della maturità, posti a incorniciare la Madonna con il Bambino e s. Anna di Bernardino India nella cappella Pellegrini della chiesa di S. Bernardino a Verona.
Se la critica appare discorde nella datazione, tra chi propende per il 1616 circa (Marinelli, 2000B) e chi per un momento successivo al 1619 (Conforti Calcagni, 1969; Pallucchini, 1974), unanime è invece l’ammirazione per la resa dei due santi, emergenti dal fondo scuro e «rudi nel loro dichiarato naturalismo, messo in evidenza da una luce che li sfiora dall’alto tanto nell’epidermide rugosa quanto nei panni lanosi» (Pallucchini, 1974, p. 148).
Confermò il buon nome ormai acquisito da Ottino Francesco Pona che nel Sileno, poemetto scritto in forma di dialogo pubblicato a Verona nel 1620, pur non apprezzando particolarmente l’artista perché giudicava troppo «vaghe le carnagioni» da lui dipinte, lo considerò «pittore al presente de’ migliori di questa città» (p. 29). Nello stesso testo l’autore descriveva inoltre la pietra di paragone, presente nella collezione Giusti, nella quale l’artista aveva raffigurato «Psiche […] che con la lucerna in mano l’Amor sonnacchioso mira» (ibid.).
Il corpus di pietre di paragone dipinte da Ottino, noto inizialmente solo per pochi pezzi, tra cui la Resurrezione di Lazzaro della Galleria Borghese, databile al secondo decennio del Seicento e che oltre alle referenze a Tiarini include un riferimento esplicito a Caravaggio, si è notevolmente accresciuto grazie al lavoro di ricognizione della critica (in particolare Marinelli, 1991 e 2000A). Tra le nuove acquisizioni si ricordano Marte e Venere di collezione privata milanese, Cristo nel limbo (Firenze, Galleria degli Uffizi) e la Deposizione di Cristo nel sepolcro (Londra, mercato antiquario;Marinelli,1991)quest’ultima memore, nell’intricato nodo di angeli con gli strumenti della Passione, del paragone con il Compianto su Cristo morto dipinto da Brusasorci sul finire del Cinquecento (Praga, Národní Galerie; Seifertová, 1984).
La testimonianza di Dal Pozzo lega al 1623 l’Assunzione della Vergine, già in S. Elisabetta, cui si avvicina dal punto di vista dello stile la pala con lo stesso tema proveniente dalla chiesa della Disciplina (ora entrambe: Verona, Museo di Castelvecchio). Esemplare della produzione successiva, quando l’artista sembra deporre «ogni velleità naturalistica, rientrando nei ranghi di un conformismo accademizzante alla bolognese» (Pallucchini,1974), è invece lo Sposalizio di s. Caterina (già in S. Maria della Ghiara), ora depositato dal Museo di Castelvecchio nellachiesa dei Ss. Vittore e Corona diColognola ai Colli.
Morì a Verona il 30 luglio 1630 nella contrada di S. Fermo in Cortalta durante l’epidemia di peste che falcidiò più della metà della popolazione della città.
Erede del pittore fu il figlio Gian Battista che, in data 7 novembre 1630, aiutato da due amici di famiglia, stese un accurato inventario di quanto rinvenuto nell’abitazione dei genitori (Rognini, 1991). Accanto a stoviglie, oggetti di uso quotidiano, capi di vestiario, mobili e sedie, registrò una cinquantina di quadri, tra cui sei pale d’altare. L’elenco, piuttosto generico, consente di riconoscere solamente la pala per l’altare maggiore della chiesa di S. Fermo di Cortalta, ora nei depositi del Museo di Castelvecchio, raffigurante S. Annone che scopre i corpi dei santi Fermo e Rustico, un’immagine «di grandi forme dilatate e di pochi colori, che gremiscono […] il campo visivo, come svuotate nella loro isotipia ripetitiva» (Marinelli, 2000B). Alcune di queste opere passarono in eredità al figlio di Gian Battista, Antonio Gaetano, presso il quale Dal Pozzo poté vedere «più di 36 pezzi di quadri [dipinti da Ottino], e lasciati alla casa per memoria appunto del suo valore» (1718, p. 167).
Fonti e Bibl.: C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte…, Venezia 1648, a cura di D. von Hadeln, II, Berlin 1924, pp. 125 s.; B. Dal Pozzo, Le vite de’ pittori, degli scultori, et architetti veronesi, Verona 1718, pp. 167 s.; G. Cignaroli, Serie de’ pittori veronesi, in G. Biancolini, Supplementi alla Cronica di Pier Zagata…, Verona 1749, pp. 215 s.; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia…, II, 1, Bassano 1795-96, p. 184; D. Zannandreis, Le vite dei pittori scultori e architetti veronesi, a cura di G. Biadego, Verona 1891, pp. 233-236; G. Belviglieri, Guida alle chiese di Verona, Verona 1898, p. 64; R. Longhi, Precisazioni nelle gallerie italiane. La Galleria Borghese. Il trio dei veronesi: Bassetti, Turchi, Ottini, in Vita artistica, I (1926), pp. 85-91; R. Brenzoni, O. P., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVI, Leipzig 1932, pp. 89 s.; F. Scarcella, Feste santi chiese e gonfaloni delle arti veronesi, Verona, s.d. [ma 1948], p. 6; Galleria Borghese: i dipinti, Roma 1955, p. 123; R. Longhi, Presenze alla sala Regia, in Paragone, IX (1959), 117, pp. 29-31; A. Conforti Calcagni, Profilo di P. O., in Arte veneta, XXIII (1969), pp. 156-168; R. Brenzoni, Dizionario di artisti veneti…, Firenze 1972, pp. 223 s.; L. Rognini, Nuovi documenti per la biografia di Santo Creara (1571-1630), in Vita veronese, XXVI (1973A), 7-8, pp. 221-224; Id., Per un aggiornamento della biografia di P. O. (1578-1630), ibid. (1973B), pp. 377-380; A.M. Calcagni Conforti, P. O., in Cinquant’anni di pittura veronese. 1580-1630 (catal.), Verona 1974, pp. 163-179; L. Rognini, Regesti di artisti veronesi tra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, ibid., pp. 267-275 (p. 273 per Bassetti); L. Magagnato, P. O., in Maestri della pittura veronese, a cura di P. Brugnoli, Verona 1974, pp. 293-300; R. Pallucchini, La pittura veronese tra «maniera» e «natura», in Arte veneta, XXVIII (1974), pp. 133-156; Id., La pittura veneziana del Seicento, I, Milano 1981, pp. 119-123; H. Seifertová, «Paragone» Felice Brusasorziho v Národní Galerii, in Umĕní, n.s., XXXII (1984), 1, pp. 48-55; S. Marinelli, La pittura del Seicento a Verona, in La pittura in Italia. Il Seicento, I, Milano 1989, pp. 149-159 (con bibl.); Id., Ritorno al Seicento, in Verona illustrata, IV (1991), pp. 55-68; L. Rognini, L’inventario del 1630 di P. O., ibid., pp. 101-110; H. Sueur, Propositions pour P. O. dessinateur, ibid., V (1992), pp. 53-66 (con bibl.); S. Marinelli, Note da Felice Brusasorci a Pietro Ricchi, ibid., VII (1994), pp. 65-76; Disegni veronesi al Louvre 1500-1630 (catal., Verona), a cura di S. Marinelli - P. Marini - H. Sueur, Milano 1994, pp. 192-194; E.M. Guzzo, I dipinti di Alessandro Turchi nella collezione Giusti e qualche aggiunta al primo Seicento veronese, in Arte cristiana, LXXXVI (1998), pp. 367-379; Alessandro Turchi detto l’Orbetto 1578-1649 (catal., Verona), a cura di D. Scaglietti Kelescian, Milano 1999, p. 252; S. Marinelli, Il giovane Turchi: la nobiltà del pittore, ibid., pp. 11-20; Regesto documentario, ibid., p. 252 (per Turchi); S. Marinelli, in Pietra dipinta. Tesori nascosti del ’500 e del ’600 da una collezione privata milanese (catal.), a cura di M. Bona Castellotti, Milano 2000A, pp. 70-75; Id., Verona, in La pittura nel Veneto. Il Seicento, a cura di M. Lucco, I, Milano 2000B, pp. 327-413; E. Rama, O. P., ibid., II, 2001, p. 858; S. Marinelli, Da Turchi a Gramatica: integrazioni al Seicento, in Verona illustrata, XIV (2001), pp. 45-52; S. Pierguidi, Precisazioni documentarie sulla committenza Montalto. Brevi note a Guido Reni, P. O. e Antiveduto della Gramatica, in Bollettino d’arte, s. 6, LXXXVI (2001), 115, pp. 93-97 (con bibl.); D. Dossi, La giovinezza dell’O. e un dipinto inedito, in Proporzioni, VII-VIII (2006-07), pp. 67-80; A. Zamperini, «Un quadro auttentico di Domenico Brusasorci» e altre cose: note per la committenza veronese fra Cinque e Seicento, in Magna Verona vale. Studi in onore di Pierpaolo Brugnoli, a cura di A. Brugnoli - G.M. Varanini, Vago di Lavagno 2008, pp. 391-404; D. Dossi, Cronologia dell’opera di P. O., in Proporzioni, IX-X (2008-09), pp. 90-111; A. Piai, «Quanto si disegna, si dipinge ancora». Disegnatori tra Verona, Venezia e Roma nel primo Seicento, in Verona illustrata, XXIII (2010), pp. 49-62; D. Dossi, Novità intorno a P. O. Un nuovo disegno e la «Giuditta» di Nantes, in Storia dell’arte, 2010, n. 127, pp. 32-35; P. Bertelli, Tra realtà e sentimento: il ritratto a Verona nel Seicento, in Il ritratto e l’élite. Il volto del potere a Verona dal XV al XVIII secolo, a cura di L. Olivato - A. Zamperini, Rovereto 2012, pp. 71-89; G. Peretti, Ritratti di guerrieri, del Porcia e di altri, in Paragone, LXIII (2012), 753, pp. 60-66.