CARACCIOLO, Ottino
Della nobile famiglia napoletana, del ramo dei Rossi, nacque da Giovanni e da Marella Iarra, nell'ultimo quarto del XIV secolo. Si presume abbia compiuto studi giuridici. Nel 1408 re Ladislao, che con ordine espresso a Gualtiero e Melchionne Caracciolo lo aveva fatto immettere nel possesso di Maida e Laconia (Catanzaro), inviò il C. presso Braccio da Montone con l'incarico di condurlo ai suoi servizi. Il C. compì questa missione in modo quanto mai inusitato, poiché, riferite le proposte ufficiali del re, scrisse poi al condottiero, che era propenso ad accettare le offerte di Ladislao, di guardarsi dal re, perché non era leale nei suoi confronti. Ciononostante il C. rimase fedelmente al servizio del suo sovrano e nel maggio del 1411, quando l'esercito di Ladislao, a Roccasecca, subì ad opera di Luigi II d'Angiò, pretendente al Regno, quella che apparve come una sconfitta definitiva, cadde prigioniero e poté riacquistare la libertà dietro pagamento di un riscatto. Subito dopo ottenne dal re Ladislao la terra di Maddaloni in cambio di un prestito di 11.000 ducati. Il 22 giugno 1414 il C. fu presente alla stipulazione dell'accordo stretto dal re di Napoli con Firenze ed il 7 luglio dello stesso anno fu nominato viceré della Sabina.
Morto Ladislao e salita al trono Giovanna II, questa, confermatogli il possesso di Maddaloni, gli concesse in feudo Nicastro, ma egli non poté prenderne immediatamente possesso per l'opposizione di Muzio Attendolo Sforza, che, ancora in auge, divideva il potere con Pandolfello Alopo. Quando Giovanna II, perso definitivamente l'amante e transitoriamente il condottiero, fu ridotta alla mercé del marito, Giacomo conte de la Marche, quasi prigioniera e del tutto esautorata, il C., insieme con Annecchino Mormile, si fece interprete dell'ostilità dei baroni e del popolo napoletano nei confronti del re. Il 13 sett. 1416, essendo la regina uscita da Castelnuovo per accogliere l'invito alle nozze della figlia del mercante fiorentino Agostino Bongiani, la condusse, sottraendola alla troppo vigile custodia dello sposo, prima nell'arcivescovato e poi nel castello Capuano, così che ella poté recuperare con la libertà il potere.
Nel 1418 il nuovo favorito della regina, ser Gianni Caracciolo, considerandolo un ostacolo alle sue mire di potenza, volle esonerare dal suo incarico il cancelliere del Regno MarinoBoffa. Contrario al prepotere del gran siniscalco, il C., seppure non apertamente, osteggiò i suoi progetti, cercando di ottenere la collaborazione di Muzio Attendolo. Avvenuto però l'allontanamento del Boffia dalla corte e scoppiata la contesa latente già da tempo fra lo Sforza e ser Gianni, il C., pur simpatizzando per il primo, si mantenne in ombra, finché al momento della riconciliazione fra i due, nel gennaio del 1419, accolse lo Sforza nella sua casa a Napoli, prima che questi si recasse a Castelnuovo per l'atto formale di accordo col rivale e per l'omaggio alla regina. Nel marzo dello stesso anno, il C. ricevette nella sua abitazione un altro nemico di ser Gianni, alla cui rovina egli aveva poco prima contribuito, Giacomo de la Marche, il quale poco dopo concluse con la regina una formale ed effimera riconciliazione. Il 7 maggio la regina, consapevole di quanto doveva al fedele barone, gli conferì il titolo e l'ufficio di gran cancelliere del Regno.
Nel 1420, contemporaneamente alla missione che portò Malizia Carafa in Sardegna a richiedere con successo l'aiuto di Alfonso d'Aragona per la regina di Napoli, il C. il 22 maggio fu a Roma ed il 17 giugno ad Acerra, insieme con Muzio Attendolo Sforza; ambedue avevano decisamente abbracciato la causa di Luigi III d'Angiò, che il 4 novembre dell'anno precedente era stato investito del Regno e designato quale legittimo successore di Giovanna II da Martino V.
Mentre si preparava l'arrivo quasi contemporaneo dell'armata provenzale, che sbarcò Luigi III sulla spiaggia della Maddalena di Napoli, e di quella aragonese - che il 6 settembre recò nella città gli ambasciatori di Alfonso - la regina, ormai decisa ad opporsi all'Angiò e ad accordare e ricevere protezione dall'Aragonese, dichiarò ribelle il C., gli tolse la carica di gran cancelliere e gli confiscò i feudi calabresi. Egli si recò allora ad Aversa presso Luigi III, dove era il 4 nov. 1420, quando fu testimone di un atto di concessione di un feudo da parte dell'Angiò; ed era ancora lì un anno dopo, come cancelliere, al momento della stipulazione dell'accordo, che, per interposizione del papa, portò alla tregua fra i due contendenti e che favorì di fatto l'Aragonese.
Partito per Roma Luigi III, secondo i patti la guerra avrebbe dovuto interrompersi; ma i baroni filoangioini, per i quali il rispetto degli accordi avrebbe significato resa incondizionata, continuarono in buona parte a combattere. Il C., fornito il suo castello di Maddaloni con trecento fanti, compiendo scorrerie in Terra di Lavoro ed infliggendo rappresaglie crudeli a quanti prigionieri catturasse, tenne testa al re Alfonso e al suo condottiero Braccio da Montone. Ma, offuscatasi la stella del re d'Aragona, sorta la discordia fra questo e ser Gianni ed arrivata la regina alla revoca dell'adozione il 1º luglio del 1423, coloro che si erano opposti ad Alfonso non si trovarono più nella condizione di essere considerati ribelli ed ottennero il perdono della sovrana, la quale, dopo aver adottato nel settembre Luigi III, restituì al C. anche il gran cancellierato. Il 12 marzo 1425 il restaurato barone napoletano figura fra i testimoni del documento con il quale fu conferito a ser Gianni il ducato di Venosa ed il 5 aprile fu tra quelli dell'atto di stipula della lega fra la regina e Filippo Maria Visconti. Nell'ottobre del 1427, durante il breve soggiorno di Luigi III a Napoli, questi confermò al gran cancelliere la contea di Nicastro, di cui il C. poté prendere possesso l'anno seguente e che gli fu poi riconfermata da Martino V nel 1429.
Il 15 maggio del 1428 la regina istituì il Collegio dei dottori in Napoli ed il C., in virtù della sua carica, ebbe la giurisdizione delle cause civili e penali relative ai membri della nuova istituzione. Nel 1429 gli fu concessa la facoltà di nominare dottori in legge ed in medicina. L'anno seguente ottenne che si creassero il Collegio dei filosofi e medici e quello dei teologi. Nel frattempo, lontani i due pretendenti, mentre il pontefice continuava ad interferire nelle cose del Regno, ser Gianni, giunto al massimo della sua potenza, che aveva rinsaldato anche per mezzo di parentati, teneva ormai quasi prigioniera la regina, suscitando ed ingigantendo le invidie ed i risentimenti di molti nobili napoletani, primi fra tutti la duchessa di Sessa, cugina di Giovanna II, il C. e Marino Boffa, che ordirono, consenziente, seppure in parte, la regina, una congiura contro il gran siniscalco e chiusero la sua straordinaria carriera politica facendolo assassinare, il 19 ag. 1432. Tutti i congiurati ottennero benefici dalla sovrana. Al C. furono garantiti gli stipendi per la sua carica e gli furono inoltre concessi i beni confiscati nel Napoletano ai Fieschi di Genova.
Dopo avere ancora una volta adottato Alfonso d'Aragona ed averlo ancora una volta diseredato in favore di Luigi III d'Angiò, il 2 febbr. 1435 Giovanna II moriva. Ella aveva lasciato il Regno al fratello di Luigi III, Renato, ed il governo dello Stato ad un Consiglio regio, di cui faceva parte il Caracciolo. Questo organo di reggenza, composto per la massima parte di filoangioini, secondo le disposizioni testamentarie della defunta sovrana, alla sua morte innalzò le bandiere unite di Renato d'Angiò e del papa. Accesasi subito la lotta fra i pretendenti e giunta nell'ottobre 1435 a Napoli Isabella, moglie e luogotenente di Renato, il quale era in quel momento detenuto in Borgogna, il C. fu uno dei suoi consiglieri più ascoltati. Nel 1436, mentre la pressione aragonese si faceva sempre più forte, la regina lo incaricò di una missione presso Eugenio IV volta ad ottenere aiuti per la causa angioina. Nell'ottobre del 1438, mentre Renato, che era entrato a Napoli il 22 maggio, si trovava in Abruzzo, il C., che manteneva la carica di gran cancelliere, non poté prendere parte con gli altri baroni filoangioini alla difesa di Napoli assediata da Alfonso, perché ammalato. Nel febbraio del 1439 il C. presenziò ad un atto, col quale re Renato, tornato a Napoli nel dicembre precedente, concesse a Caterina d'Arcamone il feudo di Santa Maria de Fossa. Volgendo intanto al peggio le sorti dell'Angiò e decisa la partenza per la Francia della regina e dei figli, il C. sottoscrisse i mandati, dei quali Renato munì la moglie, perché fosse regolata la successione della casa d'Angiò.
Quando, dopo la conquista di Napoli del 2 giugno 1442 da parte di Alfonso, lo sfortunato avversario lasciò per mare la città diretto a Firenze per implorare ancora una volta aiuto da Eugenio IV, il C. fu uno dei baroni napoletani che lo accompagnarono. Prima di partire fece dare ordine ad Antonio Calvo, che resisteva ancora in Castelnuovo, di arrendersi all'Aragonese, ponendo fra le condizioni di resa il perdono per i suoi partigiani, fra i quali primeggiava il C., nei confronti del quale Alfonso si riservò di decidere, a seconda degli atteggiamenti che egli avrebbe assunto in seguito.
Il 1º dicembre dello stesso anno il barone napoletano, che probabilmente ormai vecchio e stanco non si occupò più di questioni pubbliche, ebbe riconfermata da Eugenio IV la contea di Nicastro. Il 13 novembre dell'anno seguente egli fece testamento, disponendo di essere sepolto secondo alcuni a Nicastro, secondo altri nella chiesa di S. Giovanni a Carbonara, in una cappella andata distrutta probabilmente già nel 1500, che aveva avuto il permesso di costruire nel 1428 e dove fu seppellita anche la moglie, Caterina di Guglielmo Ruffo, conte di Sinopoli. Morì probabilmente nel 1444.
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