OTTICA
. L'ottica è quella parte della fisica che studia la natura della luce e i fenomeni dovuti a essa.
Si sogliono distinguere i corpi in due categorie a seconda che essi sono visibili per sé stessi oppure no; i primi si dicono luminosi mentre i secondi, che divengono visibili solo se illuminati, e cioè posti in presenza di corpi luminosi, si dicono oscuri. L'osservazione dei fatti suggerisce l'idea che vi sia qualche cosa, che abbiamo chiamato luce, che emana dai corpi luminosi e che, propagandosi in linea retta, raggiunge i corpi oscuri circostanti ed è quindi rinviata da questi al nostro occhio. Questo subisce una sensazione che, come ogni altra, può essere più o meno intensa, perciò si attribuisce alla luce una valutazione quantitativa di intensità che con opportune convenzioni si può esprimere con numeri.
La nozione di propagazione rettilinea della luce attraverso allo spazio è resa intuitiva dall'osservazione, che si ripete quotidianamente, che, interponendo un corpo opaco (ossia che non lascia passare la luce) sul segmento di retta che congiunge il nostro occhio con un determinato punto di un oggetto, cessa la visione di quel punto; così pure il fatto che il lume al centro di una stanza proietti sulle pareti le ombre degli oggetti circostanti è dovuto alla propagazione rettilinea della luce.
Da ciò, si noti, trae la sua origine il concetto di raggio luminoso, ossia retta lungo la quale si propaga la luce; in realtà però non è mai possibile isolare un solo raggio luminoso, ma si ha sempre a che fare con almeno un fascio di raggi di luce.
La nozione di propagazione rettilinea della luce, come vedremo in seguito, va riveduta e modificata; ricordiamo che comunemente si chiama ottica geometrica quella parte dell'ottica in cui tale nozione conserva la sua validità.
Nonostante che l'esperienza quotidiana non ci permetta di accorgercene, la luce ha una velocità finita di propagazione che con metodi adeguati è stata trovata di 300.000 km. al minuto secondo.
La scoperta e lo studio di altre radiazioni, come i raggi infrarossi, i raggi ultravioletti, le onde hertziane, i raggi X, i raggi γ, hanno permesso di stabilire che anche questi agenti fisici si propagano con la stessa velocità della luce e che hanno con essa molte altre proprietà in comune. Si è anzi potuto riconoscere che sia la luce sia tutte queste altre radiazioni non sono che onde elettromagnetiche le quali differiscono le une dalle altre solo per l'ordine di grandezza della lunghezza d'onda. Così p. es. la lunghezza d'onda delle onde hertziane può variare da qualche chilometro a circa i mm., mentre la lunghezza d'onda della luce è dell'ordine di 10-5 cm. e quella dei raggi X di 10-8 cm.
L'ottica in senso lato si occupa quindi non solo dello studio dei fenomeni luminosi, ma anche dell'indagine delle proprietà fisiche di altre radiazioni come i raggi infrarossi e quelli ultravioletti; lo studio delle onde hertziane, dei raggi X e dei raggi γ fa parte di altre parti della fisica solo perché la tecnica sperimentale è completamente diversa. Si tenga però ben presente che la luce ha la stessa natura di queste altre radiazioni e che la differenza sta solo nell'ordine di grandezza della lunghezza d'onda.
La sorgente di luce più importante è per noi naturalmente il sole; le sorgenti artificiali che si usano sulla terra sono generalmente basate sul fatto che un corpo qualsiasi portato a elevate temperature diventa luminoso; così p. es. le fiamme non sono altro che delle masse gasose rese calde dalla combustione che subiscono nell'aria. Questo tipo di sorgente non è però in generale molto conveniente perché le fiamme, pur essendo molto calde, nella maggior parte dei casi sono poco luminose.
Perciò attualmente le sorgenti luminose più frequentemente usate sono ottenute portando dei corpi solidi all'incandescenza. Ciò viene realizzato in pratica in vario modo: p. es., nelle lampade a gas a incandescenza Auer, una fiamma di gas illuminante mischiato ad aria arroventa una reticella di tela coperta di opportune sostanze, mentre nelle lampade a incandescenza elettrica la luce viene emessa dal filamento reso incandescente dal passaggio della corrente.
Come abbiamo già accennato incidentalmente, esistono dei corpi, detti opachi, i quali non lasciano passare la luce; i corpi invece che lasciano passare la luce si dicono trasparenti. Fra questi però bisogna distinguere i corpi diafani dai corpi translucidi; i primi, come p. es. l'acqua, lasciano vedere attraverso ad essi i contorni degli oggetti, mentre i secondi, come p. es. un foglio di carta, pur lasciando passare la luce, non permettono la visione degli oggetti. Tutte queste distinzioni, e in particolare la distinzione fra corpi opachi e trasparenti, non sono assolute in quanto l'opacità o meno di un corpo dipende in generale dallo spessore; così, mentre l'acqua di un bicchiere è perfettamente trasparente, basta scendere a pochi metri di profondità in un lago per notare che la luce del giorno vi giunge assai attenuata; viceversa è possibile lavorare delle sostanze ordinariamente opache, p. es. l'oro, in foglie così sottili da renderle trasparenti.
La possibilità che noi abbiamo di vedere i corpi che abbiamo chiamato oscuri è dovuta al fatto che la luce, investendo un corpo la cui superficie non sia levigata, come p. es. della carta, subisce il fenomeno della diffusione ossia viene rinviata in tutte le direzioni. Se non esistesse questo fenomeno l'occhio vedrebbe solo i corpi luminosi. Non si creda però che tutta la luce che investe un corpo venga diffusa; una parte viene assorbita e trasformata in calore o in altre forme di energia; se si pone p. es. sul percorso di un raggio luminoso un corpo verniciato di nero si potrà facilmente constatare che esso diffonde pochissima luce; e anzi questa è la proprietà caratteristica dei corpi chiamati neri. Il cielo di una notte senza luna ci appare nero nello spazio fra stella e stella pur essendo attraversato da raggi luminosi in tutte le direzioni, perché negli spazî interstellari non vi sono corpuscoli che diffondano la luce.
Supponiamo ora che un fascio luminoso investa la superficie piana e ben levigata di un corpo trasparente, p. es. la superficie libera dell'acqua; allora il fascio di luce si divide in due parti che seguono cammini differenti. Una parte viene rinviata indietro e prende il nome di fascio riflesso; una seconda parte penetra entro il corpo trasparente e si propaga attraverso a questo in una direzione che è però in genere differente dalla direzione della luce incidente; questa seconda parte si chiama il fascio rifratto. Tale scissione del fascio di luce incidente avviene in generale ogni qual volta esso incontra una superficie che separa due sostanze, o come si suol dire, due mezzi differenti; nel nostro esempio il fascio di luce incidente passa dall'aria all'acqua.
Per costruire con facilità il fascio di raggi riflessi e il fascio di raggi rifratti basta fissare l'attenzione su di un unico raggio che nella fig. 1 è rappresentato dal segmento AB, essendo B il punto di incidenza sulla superficie aa che separa i due mezzi. Indichiamo inoltre con i l'angolo di incidenza, ossia l'angolo formato dal raggio incidente con la normale NM alla superficie aa; analogamente siano i′ e r gli angoli di riflessione e rifrazione formati rispettivamente dal raggio riflesso e dal raggio rifratto con la detta normale alla superficie aa. Le leggi della riflessione sono due: 1. il raggio riflesso giace nel piano determinato dal raggio incidente e dalla normale alla superficie riflettente; 2. l'angolo di riflessione è eguale all'angolo di incidenza ossia: i = i′.
Le leggi della rifrazione (legge di Cartesio) sono le seguenti: 1. il raggio rifratto giace nel piano determinato dal raggio incidente e dalla normale alla superficie rifrangente; 2. l'angolo di rifrazione varia con l'angolo di incidenza, in modo che il rapporto dei loro seni si mantenga costante, ossia
La costante n si chiama indice di rifrazione; nel nostro esempio l'indice di rifrazione dell'acqua rispetto all'aria ha circa il valore 4/3.
Si noti che tutte queste leggi sono indipendenti dalla forma della superficie di separazione dei due mezzi.
Se il secondo mezzo, sulla cui superficie assai ben levigata cade il raggio incidente, è un corpo opaco, p. es. una lastra metallica, allora il raggio rifratto viene assorbito non appena penetra nel secondo mezzo, in modo che si manifesta solo il fenomeno della riflessione; questo stato di cose è realizzato in tutti gli specchi.
Consideriamo ora un punto luminoso P (fig. 2) che si trovi dinnanzi alla superficie di uno specchio piano; i raggi provenienti da esso si riflettono sullo specchio e, dopo la riflessione, si propagano come se provenissero tutti dal punto P′ posto dietro allo specchio e simmetrico, rispetto a questo, del punto sorgente P. L'occhio ha la sensazione che i raggi provengano veramente dal punto P′; esso ha quindi l'illusione che esista in P′ quel punto che si trova invece in P. Se invece di un semplice punto luminoso si tratta di un oggetto noi vedremo l'oggetto dietro lo specchio dove in realtà non è: si dice allora che vediamo un'immagine virtuale dell'oggetto, virtuale perché i raggi che a noi sembrano provenienti da P′ non vi sono mai nemmeno passati; il punto P′ è semplicemente l'intersezione dei prolungamenti dei raggi luminosi che giungono al nostro occhio. Se il punto luminoso P si trova invece davanti alla superficie di uno specchio sferico concavo (fig. 3), i raggi si riflettono sullo specchio, e dopo la riflessione vanno a passare per un punto P′; l'occhio quindi prova la stessa sensazione che proverebbe se il pumo di origine dei raggi fosse P′; esso quindi vede in P′ ciò che è in P; in questo caso però P′ si dice l'immagine reale di P, perché i raggi sono realmente passati per il punto P′. Anche per rifrazione si possono produrre immagini sia reali sia wrtuali; una lente convergente (ossia spessa al centro e sottile agli orli) è il mezzo più frequentemente usato per trasformare un fascio divergente in uno convergente dando così luogo a immagini reali.
Come abbiamo già detto la luce si propaga rettilineamente; questa legge però non deve considerarsi rigorosa, ma soltanto valida in prima approssimazione nella maggior parte dei fenomeni comuni. Le deviazioni da questa legge costituiscono il fenomeno della diffrazione (v. interferenza e diffrazione). Per renderci conto di tale fenomeno immaginiamo (fig. 4) di porre una sorgente S intensa e puntiforme dietro a uno schermo opaco AA in cui sia praticato un forellino F. Se la luce si propagasse rettilineamente il nostro occhio dovrebbe accorgersi della sorgente S solo quando si trovasse sul prolungamento del segmento di retta SF: facendo l'esperienza si osserverà invece che il nostro occhio vede la luce della sorgente S attraverso al forellino F anche quando esso si trova in un punto come il punto P fuori dalla retta SF; ciò significa che da F la luce si sparpaglia in tutte le direzioni. Si può dire più in generale che il fenomeno della diffrazione avviene quando la luce proveniente da sorgenti di piccole dimensioni attraversa delle aperture molto strette, oppure quando s'interpone sul cammino della luce un ostacolo le cui dimensioni siano comparabili con la lunghezza d'onda della luce stessa.
Vogliamo ora accennare a un'altra vasta categoria di fenomeni luminosi, detti fenomeni di interferenza, i quali hanno una grandissima importanza nello studio dell'ottica poiché principalmente dalla loro indagine è emersa la prova della natura ondulatoria della luce. Senza dilungarci in considerazioni sulle modalità più generali di produrre un fenomeno d'interferenza (v. interferenza e diffrazione) descriviamo la più semplice esperienza, dovuta allo Young, con cui si può osservare ll fenomeno (fig. 5). La luce provenierite da un'intensa sorgente S venga concentrata a mezzo di una lente su di un forellino A praticato in un primo schermo 1; per il fenomeno della diffrazione la luce uscendo da A si sparpaglia e illumina quindi lo schermo 2, in cui sono praticati due altri forellini B e B′ assai piccoli e vicini; lo schermo 3 in queste condizioni verrà illuminato contemporaneamente sia dalla luce proveniente da B sia da quella proveniente da B′: mentre però, se si copre uno dei due forellini, p. es. B′, lo schermo 3 è uniformemente illuminato, ciò non si verifica più non appena si lascia cadere su 3 la luce di entrambi i forellini. In queste condizioni si osservano delle zone illuminate (l) alternate a delle zone oscure (s): tali strisce chiare e oscure prendono il nome di frange di interferenza.
Come si è già detto, la luce è costituita da onde elettromagnetiche che hanno lunghezza d'onda dell'ordine di 10-5 cm. Se fissiamo ora l'attenzione sopra la luce, p. es., del sole, questa non è costituita da onde di una sola frequenza, bensì dalla sovrapposizione di infinite onde le cui lunghezze d'onda variano con continuità da ~ 8.10-5 a ~ 3.10 -5 cm. La diversità di lunghezza d'onda di un raggio di luce appare al nostro senso visivo come una differenza di colore; la luce solare, come anche la luce delle lampade che si usano comunemente per l'illuminazione degli ambienti, sono luci, come si suol dire, bianche, il che significa luci nelle quali sono sovrapposte onde di tutte le frequenze o, ciò che è lo stesso, di tutti i colori.
È ben nota la classica esperienza di Newton con la quale si mostra la decomposizione della luce bianca in luci diversamente colorate. Essa è basata sul fatto che l'indice di rifrazione, p. es., del vetro rispetto all'aria è un po' diverso per le luci dei varî colori e precisamente è maggiore per il violetto (lunghezza d'onda circa 4.10-5 cm.) che per il rosso (lunghezza d'onda circa 6.10-5 cm.). Questo fatto porta di conseguenza che se si fa cadere su di un prisma di vetro (figura 6) della luce monocromatica (ossia di un solo colore), che abbia prima attraversato una fenditura rettangolare F, e si raccoglie poi l'immagine della fenditura su di uno schermo S, questa immagine sarà più o meno deviata dalla direzione della luce incidente FA a seconda del colore della luce con cui si opera: e precisamente l'immagine ottenuta con luce rossa è la meno deviata e quella con luce violetta è la più deviata; le immagini della fenditura che si ottengono con gli altri colori sono comprese tra queste posizioni limiti. Illuminando la fenditura con luce composta dalla mescolanza di un certo numero di radiazioni monocromatiche, queste si separeranno nel prisma e daranno sullo schermo tante immagini della fenditura (cioè tante righe) quante sono le luci delle quali risulta composta la radiazione incidente; si ottiene quello che si chiama uno spettro. Il fenomeno della decomposizione della luce operata dal prisma si chiama dispersione e l'operazione che si esegue analizzando una luce qualunque nei suoi colori componenti viene detta analisi spettrale. Uno spettro poi viene detto discontinuo quando è formato da un numero limitato di righe separate da intervalli oscuri; continuo invece se le immagini della fenditura sono in numero infinito e si sovrappongono in parte formando una striscia luminosa la quale presenta senza interruzione i colori dell'iride; questi colori sono in realtà in numero infinito, ma Newton, che ottenne per primo lo spettro della luce solare, partendo da analogie tra la gamma dei colori e quella dei suoni, distinse sette zone colorate che si susseguono nel seguente ordine: rosso, aranciato, giallo, verde, azzurro, indaco, violetto.
L'esperienza dimostra che lo spettro degli aeriformi incandescenti (gas o vapori) è discontinuo e il numero delle righe che lo formano è sempre lo stesso per un determinato vapore in determinate condizioni; la luce emessa invece dai solidi e dai liquidi incandescenti (sole, arco voltaico, ecc.) dà uno spettro continuo.
Se analizziamo ora la luce solare diffusa da un corpo colorato, p. es. in rosso, vediamo che il suo spettro è limitato quasi esclusivamente alla parte rossa: cioè tutti i colori meno il rosso vengono prevalentemente assorbiti dal corpo; i corpi quindi appaiono del colore corrispondente alle luci che più sono capaci di diffondere (diffusione selettiva). In particolare un corpo che assorbe la luce di tutti i colori non diffonde luce e, come si è già detto, si chiama nero. Analogamente avviene per il colore dei corpi visti per trasparenza: esiste cioè un assorbimento selettivo, e i corpi visti per trasparenza appaiono del colore corrispondente alla luce che non è da essi assorbita.
Accenniamo infine a un altro fenomeno di grande importanza nello sviluppo dell'ottica. Immaginiamo di inviare un fascio di luce dall'alto verso il basso su di una lastra di vetro in modo tale che il raggio riflesso si propaghi orizzontalmente, e poniamo sul cammino di questo una seconda lastra di vetro; si può facilmente osservare che, se si cerca col secondo specchio di riflettere il raggio in un piano orizzontale, l'intensità del raggio è piccolissima, mentre, se lo si riflette verso l'alto o verso il basso, il raggio non perde sensibilmente di intensità nella seconda riflessione. Ciò dimostra che il raggio luminoso ha subito un'alterazione nella prima riflessione in modo tale che, fra gl'infiniti piani passanti per la retta lungo la quale si propaga, ve n'è uno privilegiato: nel nostro caso il piano verticale: questo piano si chiama piano di polarizzazione e la luce si dice polarizzata.
Bibl.: E. Persico, Ottica, Milano 1932; M. Born, Optik, Berlino 1932; R. Wood, Physical Optics, Londra 1933.
Ottica meteorologica.
Ottica meteorologica o atmosferica è quella parte della fisica atmosferica che si occupa dei fenomeni ottici che hanno la sede e svolgimento nell'atmosfera.
Le ragioni d'essere dell'ottica atmosferica come branca di scienza a sé, vanno ricercate in due ordini di fatti: da una parte i fenomeni ben noti di per sé stessi assumono parvenze particolarmente imponenti, dato l'ambiente in cui si svolgono, d'altra parte, dallo studio del particolare comportamento delle radiazioni nell'attraversare l'atmosfera, si possono dedurre le caratteristiche proprietà di questo "mezzo".
All'ottica geometrica, e più precisamente alla prospettiva, appartiene tutta una serie di fenomeni che ci è dato osservare quotidianamente. Spesso, quando si ha un cielo tappezzato di nubi cumuliformi in elementi staccati l'uno dall'altro, si ha l'impressione che, mentre gli elementi più prossimi allo zenit, attraverso i quali è ben visibile il cielo, sono ad uguale altezza sul suolo, gli elementi ammassati verso l'orizzonte siano disposti a gradinata. Si tratta di un fenomeno di prospettiva per il quale appare pure disposto a gradinata il soffitto di un lungo porticato, diviso da travicelli, o in altro modo, in parti uguali, allorché lo si osservi dimenticando la quotidiana esperienza che ci dice essere i soffitti dei porticati non di altezza decrescente. Analogamente, allorché si ha un cielo "a pecorelle", i varî ranghi di altocumuli o cistocumuli, anziché paralleli, ci paiono convergere verso due o quattro poli (a due a due simmetrici rispetto all'osservatore). In generale poi, il cielo ci appare come "curvo" nel senso che noi giudichiamo che le nubi, che da noi hanno una certa altezza, all'orizzonte siano assai più basse.
Una serie di fenomeni assai più cospicua è dovuta alla rifrazione che subiscono i raggi luminosi nel penetrare dal vuoto nell'atmosfera.
Supponiamo per un momento che l'atmosfera sia formata da strati sottilissimi concentrici, ciascuno uniforme (dal punto di vista ottico) e di indice di rifrazione (v. rifrazione) crescente con l'avvicinarsi alla superficie terrestre. Un raggio luminoso che penetri nell'atmosfera subirà una serie di rifrazioni che l'avvicineranno sempre più alla normale alla superficie di separazione, cioè alla verticale del luogo di osservazione (fig. 7). Siano μ0, μ1, μ2... gl'indici di rifrazione assoluti dei varî strati, la legge di Cartesio ci dice che
Se con una lecita approssimazione supponiamo r1 = i2 (cioè paralleli i raggi terrestri nei punti in cui il raggio luminoso penetra ed esce nello straterello d'indice di rifrazione μ1), ed analogamente r2 = i3 e così via, si perviene alla relazione
che dice come la deviazione subita dal raggio luminoso è quella stessa che subirebbe penetrando dal primo mezzo direttamente nell'ultimo.
Se il primo strato è il vuoto si avrà μ0 = 1, e quindi la deviazione del raggio luminoso potrà senz'altro dedursi dall'indice di rifrazione dell'atmosfera circostante all'osservatore.
In realtà la densità dell'atmosfera varia con continuità con l'altezza e quindi il raggio luminoso descrive una curva; volendo poi eseguire un'esatta valutazione della traiettoria descritta dal raggio luminoso, occorre tener conto del non parallelismo fra i raggi terrestri che passano per i punti attraversati dal raggio luminoso.
È evidente che la curvatura del raggio luminoso dipende dall'altezza sull'orizzonte (rispetto all'osservatore) della sorgente: per sorgenti sull'orizzonte il raggio di curvatura medio è di circa 7 volte il raggio terrestre, e la corrispondente deviazione è di circa 36′. Conseguenza di ciò è che noi possiamo vedere il sole e la luna quando già sono tramontati: dato che il loro diametro è sensibilmente di 0°,5, si può affermare che noi vediamo questi astri toccare l'orizzonte con il bordo inferiore, allorché sta scomparendo il loro bordo superiore.
L'atmosfera, per i continui rimescolamenti dovuti alle correnti aeree termiche e dinamiche, non è omogenea e quindi l'indice di rifrazione subisce continue piccole variazioni che fanno sì che la superficie dell'onda luminosa anziché piana sia irregolarmente curvata; ne consegue che l'osservatore percepirà concentrazioni e diminuzioni dell'energia che penetra nella sua pupilla, e quindi avvertirà delle variazioni di intensità luminosa nelle sorgenti. Tali irregolarità sono di piccola estensione (le varie ondulazioni si notano a intervalli dell'ordine di 5 cm., e il raggio di curvatura di tali "gobbe" è in media dell'ordine del raggio terrestre) e perciò, se la sorgente non è puntiforme, le onde luminose che pervengono dai varî punti della sua superficie non sono in fase, e quindi in genere si compensano; analogamente, se in luogo della pupilla, è un comune obiettivo di telescopio a raccogliere la luce emanata da una sorgente luminosa, si stabilirà un compenso tra le irregolarità delle varie onde luminose, relative ai varî raggi che penetrano nell'obiettivo, e quindi l'occhio non percepirà più oscillazioni nell'intensità della sorgente luminosa. È questa la ragione per la quale si constata lo scintillamento delle stelle, le quali per l'immensa distanza possono ritenersi sorgenti puntiformi, mentre i pianeti non scintillano, costituendo sorgenti di superficie finita: osservate però con un telescopio cessano di scintillare anche le stelle.
Per la stessa ragione l'orlo del sole non appare netto, ma tremolante, frastagliato e sfrangiato, talvolta, specie con atmosfera molto agitata, come è stato studiato in modo particolare da C. Bonacini.
Se si potesse disporre di una sorgente luminosa sufficientemente piccola e assai intensa, si potrebbero osservare le variazioni di illuminazione prodotte dalla distorsione delle superficie delle onde luminose: è questa la causa più probabile delle ombre vaganti che si osservano presso la fase di totalità degli eclissi solari, allorché l'atmosfera è illuminata dall'ultimo lembo di sole che scompare.
L'indice di rifrazione di un mezzo dipende dalla lunghezza d'onda della radiazione incidente, per questa ragione la rifrazione atmosferica dà luogo a fenomeni cromatici: le stelle scintillanti presentano fuggevoli colorazioni; allorché il sole tramonta, l'ultimo raggio a scomparire è quello più rifrangibile, e, per quanto il potere disperdente dell'atmosfera sia scarsissimo, in condizioni particolarmente favorevoli, al momento del tramonto può vedersi il ben noto "raggio verde" (che in realtà è un blu verdastro), gli altri raggi più rifrangibili essendo totalmente assorbiti dall'atmosfera: in condizioni anche più rare può vedersi il raggio verde al sorgere del sole, come primo raggio della giornata (Humphreys).
Pure alla rifrazione atmosferica sono dovuti i varî fenomeni di miraggio e fata morgana (v. miraggio).
Un'altra serie di fenomeni importanti è dovuta alla rifrazione di raggi luminosi nelle goccioline e nei cristalli di ghiaccio sospesi nell'atmosfera: tali fenomeni sono conosciuti con il nome di "arcobaleno" e di "aloni".
Consideriamo un fascio di raggi paralleli che colpiscono una goccia in sospensione nell'atmosfera. Quelli che l'attraversano subiranno una certa deviazione. Orbene, si dimostra che nella direzione della deviazione minima (v. rifrazione) si ha una certa concentrazione di energia luminosa. Nella fig. 8 è rappresentato il percorso di un raggio luminoso che penetra in una goccia d'acqua, si vede che esso esce dopo due rifrazioni ed una riflessione interna. È facile dimostrare che, ammesso il valore 4/3, per l'indice di rifrazione tra acqua e aria, la deviazione minima corrisponde a un angolo D di circa 137°.
Ogni goccia d'acqua quindi darà luogo a un cono d'energia rifratta d'apertura di poco più di 43°, il cui vertice è dalla parte opposta del sole, rispetto alla goccia.
Non tutti i raggi che colpiscono in C la parete interna riescono ad uscirne, una parte subisce un maggior numero di riflessioni interne prima di poter uscire e naturalmente esce con angoli sempre diversi (figg. 9, 10, 11, 12): riportiamo nella tab. a p. 780 i valori degli angoli formati dai raggi emergenti con deviazione minima, dopo aver subito,1, 2, 3, 4, 5 riflessioni interne. A questi angoli corrispondono altrettanti coni di concentrazione di energia, e quindi di arcobaleni. È da notare che il terzo e il quarto arcobaleno si producono nella direzione del sole, e perciò risultano invisibili. Tenendo conto del diverso indice di rifrazione delle radiazioni di vario colore, si vede subito che il primo arco avrà il rosso all'esterno e il violetto all'interno; il secondo arcobaleno, quello cioè dovuto ai raggi che hanno subito delle riflessioni interne, avrà invece all'esterno i raggi maggiormente deviati (violetto) ed all'interno i raggi rossi. Il terzo e il quarto arco, come abbiamo detto, risultano invisibili perché risultano al di là della goccia, cioè i coni d'energia hanno il vertice nel sole. Il quinto arcobaleno risulta praticamente sovrapposto al primo, il sesto interno al primo, ma talmente debole che non si riesce quasi mai a scorgerli. La teoria cui abbiamo accennato, dovuta a Cartesio, non rende conto di alcuni fenomeni d'inversione di colori e di archi di diverso diametro che sono talvolta percepiti. Per rendersene ragione bisogna tenere conto della forma della superficie dell'onda luminosa la quale non risulta sferica e quindi dà luogo a particolari concentrazioni di energia luminosa. La teoria completa è stata formulata da Airy.
Assai interessanti sono i fenomeni di rifrazione e riflessione che hanno luogo sui cristallini di ghiaccio sospesi nell'atmosfera: si tratta di tutta la famiglia degli aloni che tanto interesse suscitano in genere al loro apparire. Si sa che l'acqua cristallizza nel sistema esagonale, e le forme più frequenti dei cristallini che si formano in atmosfera quieta, quale è quella in cui si formano i cirro-strati, è costituita da laminette esagonali (prismi particolarmente sviluppati secondo gli assi di simmetria binaria) e da prismetti sviluppati alquanto secondo l'asse di simmetria esagonale; ora, date le loro infime dimensioni, questi cristallini cadono con estrema lentezza nell'aria, e, per le note leggi di aerodinamica, si dispongono secondo la direzione della massima resistenza, come i frammenti di carta leggieri o le piume che si lasciano cadere in atmosfera tranquilla. Per questa ragione verranno a disporsi tutti parallelamente, e quindi, pur non avendo la simmetria sferica delle gocce d'acqua, si avranno delle direzioni privilegiate di riflessione e di rifrazione dei raggi luminosi incidenti: dato che sono perfettamente noti gli angoli tra le varie facce dei singoli cristallini, è possibile con il calcolo stabilire quali debbono essere le direzioni privilegiate: ebbene esse corrispondono perfettamente a quelle nelle quali l'esperienza mostra esservi gli aloni. In particolare, se consideriamo le facce alterne di un cristallo esagonale, si vede che esse vengono a costituire un prisma triangolare equilatero, cioè di 60°; ora, per un tale prisma, l'angolo di deviazione minima, per il quale le leggi della rifrazione fanno prevedere il massimo di luce rifratta, è di 22°: orbene è appunto questo l'alone che più comunemente si osserva. Per ogni cristallo vi sono sei posizioni simmetriche rispetto all'asse di massima simmetria per le quali può trasmettere della luce rifratta sotto un tale angolo. Tra i pinacoidi (facce terminali) dei prismi e le facce del prisma, vi è un angolo di 90°: ebbene, per la rifrazione attraverso a un prisma di 90°, l'angolo di deviazione minima è di 46°, e infatti il secondo alone, in ordine di frequenza di apparizione, è appunto un cerchio centrato nel sole (o nella luna, e più raramente in qualche astro brillantissimo) il cui raggio è appunto visto sotto un angolo di 46°. Naturalmente questi due aloni, come gli arcobaleni, sono colorati. Le facce dei cristallini funzionano da specchietti e riflettono la luce del sole: all'occhio dell'osservatore può pervenire solo la luce riflessa dalle facce verticali dei cristallini che si trovano all'altezza angolare del sole; infatti, per le note leggi della riflessione, il raggio riflesso è complanare con il raggio diretto, quindi dall'insieme delle riflessioni si avrà un cerchio orizzontale: esso è il "cerchio parelico". Su questo cerchio, che attraversa il sole, si hanno alcune macchie luminose, dette parelî, dovute all'effetto combinato della rifrazione e della riflessione. Esse si trovano sempre nelle intersezioni con gli aloni, ed inoltre ve ne è una detta antelio, a 180° dal sole, e ve ne sono due a 120°; il cerchio parelico e i parelî non sono, naturalmente, colorati (tranne quelli che si trovano alle intersezioni con gli aloni).
In modo analogo si possono spiegare tutte le altre parvenze degli aloni tenendo conto di tutte le combinazioni tra le posizioni delle facce che possono dare luogo a fenomeni di rifrazione o di riflessione, in direzione tale da poter essere visti dall'osservatore. È da notarsi che talvolta si hanno cristallini di forma più complessa, e quindi cresce la complessità dei fenomeni. Inoltre i cristallini possono avere dei moti, vibratorî attorno alla posizione d'equilibrio, dovuti ad azioni termiche o altro; si sono perciò visti dei fenomeni assai belli e complessi i quali hanno ricevuto il nome degli autori che per primi li hanno studiati, o ne hanno scritto la teoria. Nelle figure 13 e 14 sono riportati schematicamente due begli esempî di aloni complessi.
Altro fenomeno assai comune è costituito dalle "corone", che spesso circondano il sole o la luna allorché il cielo è coperto da alto-strati. Si tratta qui di un fenomeno di diffrazione: le goccioline d'acqua agiscono come altrettante aperture del medesimo diametro. Si avrà quindi una serie di frange di diffrazione distribuite a simmetria sferica attorno al sole: i raggi rossi essendo i più diffratti, le corone risulteranno con il rosso all'esterno, cioè con i colori disposti in ordine inverso a quello che si può osservare negli aloni e nell'arcobaleno del primo ordine. Il diametro delle corone varia con il variare del diametro delle particelle che le producono, ed è tanto minore quanto più queste sono grosse.
Un fenomeno analogo produce, secondo Simpson, l'iridescenza delle nubi: si tratterebbe di cirri in surfusione, e l'iridescenza sarebbe null'altro che un frammento di corona di gran diametro, data la piccolezza delle goccioline.
L'atmosfera, essendo un involucro gasoso, obbedisce alle leggi della diffusione della luce da parte dei gas. Appunto alla diffusione è dovuta la colorazione della vòlta celeste. La spiegazione dell'origine del bel colore che si può ammirare nelle giornate serene ha attirato parecchi scienziati, ma solo in tempi relativamente recenti se ne è avuta la spiegazione esatta, in seguito agli studî di lord Rayleigh. La legge trovata da questo studioso è data da una relazione della forma
dove I è l'intensità della luce diffusa nella direzione ϑ (tra la direzione della luce incidente e la direzione nella quale si trova l'osservatore), λ la lunghezza d'onda della luce incidente (che deve essere maggiore del diametro delle particelle diffondenti, per poter applicare la legge), T il volume delle particelle stesse (in questo caso le molecole) e B una grandezza che dipende dalla densità ottica del gas, dalla distanza delle particelle dall'osservatore e dall'intensità della luce incidente (che si considera non polarizzata). Eseguendo i calcoli, si vede che la luce azzurra è diffusa: in proporzione circa sei volte maggiore della luce rossa, quindi lo spettro della luce diffusa viene straordinariamente arricchito di radiazioni azzurre, rispetto alla luce incidente. Se però nell'atmosfera sono sospese delle particelle più grosse delle molecole dei gas, cambia evidentemente la composizione della luce diffusa, e per questa ragione il cielo in cui son sospese delle goccioline d'acqua o delle particelle di pulviscolo appare più o meno sbiancato. Per le particelle grosse non è valida la legge scritta sopra in questo caso lo studio della diffusione è assai complesso. Dalla relazione scritta appare anche come la luminosità del cielo non possa essere uniforme, anche prescindendo dal fatto che vi può essere un maggiore o minore numero di nubi.
Ai fenomeni di diffusione che, come abbiamo visto, sono responsabili della colorazione del cielo, debbono pure imputarsi le colorazioni che si osservano al crepuscolo con cielo perfettamente sereno, e la durata del crepuscolo stesso. Innanzi tutto è bene rammentare che, mentre per crepuscolo civile s'intende il periodo di tempo durante il quale, pur essendo tramontato il sole, si ha abbastanza luce per attendere alla maggior parte delle civili occupazioni, per crepuscolo astronomico s'intende il periodo di tempo che intercorre fra il tramonto del sole e lo stabilirsi del regime dell'oscurità notturna: in termini più esatti si assume per durata del crepuscolo civile il periodo intercorrente fra il tramonto del sole e l'abbassarsi del suo centro a 6° sotto l'orizzonte, mentre il crepuscolo astronomico ha termine allorché il sole è disceso per 18° sotto l'orizzonte. La durata quindi del crepuscolo dipende dall'inclinazione dell'eclittica sopra l'orizzonte, ed apposite tavole sono state calcolate per le varie latitudini e per i varî giorni dell'anno.
La teoria fa prevedere che la luce diffusa da un gas deve essere completamente polarizzata, in direzione normale a quella dei raggi incidenti, sempre nell'ipotesi di particelle piccole rispetto alla lunghezza d'onda della luce incidente; l'osservazione mostra infatti che la luce azzurra del cielo è parzialmente diffusa (v. polarizzazione della luce).
Se osserviamo allo spettroscopio la luce del sole vediamo che non solo essa è solcata da numerose righe, come osservò per primo il Fraunhofer e studiò dal punto di vista che ci interessa per primo il Melloni, ma che termina bruscamente dal lato delle piccole lunghezze d'onda. Ora per una parte di queste bande di assorbimento, si dimostra che sono indubbiamente dovute ai componenti dell'atmosfera: lo studio quindi dell'assorbimento atmosferico è di sommo interesse per la conoscenza del nostro involucro atmosferico. Le radiazioni maggiormente assorbite sono le più corte, e perciò (oltre al fatto che la luce di maggior lunghezza d'onda, essendo meno diffusa, è trasmessa in maggior quantità) la luce, allorché il sole è basso sull'orizzonte, appare rossastra od almeno gialla: da ciò le colorazioni delle nubi al sorgere e al tramontare del sole. Le bande relative al vapor acqueo e all'anidride carbonica furono le prime ad essere individuate. Maggiore difficoltà presentò l'individuazione della causa della brusca estinzione dello spettro dal lato delle piccole lunghezze d'onda. Nel 1881 il Cornu studiò attentamente la questione, e concluse che, sebbene l'assorbimento fosse indubitabilmente dovuto alla presenza di un particolare gas dell'atmosfera, non doveva trattarsi di un componente eminentemente variabile come il vapor acqueo e l'anidride carbonica. Infatti, mentre è evidente il maggior assorbimento con l'aumentare dello spessore di atmosfera attraversato, e quindi la natura atmosferica di tale assorbimento, la sua piccolissima variabilità da un giorno all'altro esclude possa trattarsi di un componente estremamente variabile quali appunto sono il vapor acqueo o l'anidride carbonica. Subito fu ventilata l'idea che la causa di tale assorbimento potesse essere l'ozono, ma il fatto di averlo trovato in così minima quantità nella bassa atmosfera, mentre il suo elevato peso sembrava dovesse determinarne un ammassamento appunto nelle basse regioni atmosferiche, fece per molto tempo ritenere assai incerta questa ipotesi. Soltanto dopo lunghi anni di pazienti ricerche, Fabry e Buisson riuscirono a risolvere il problema (1921) ed emisero l'ipotesi, poi confermata dalle ricerche di altri studiosi, della localizzazione dell'ozono negli alti strati atmosferici: cioè si dimostra che tutto avviene come se l'ozono forse concentrato in uno straterello di qualche millimetro di spessore, in normali condizioni di pressione, a una quarantina di chilometri d'altezza sul suolo. Si spiega l'apparente contraddizione con le leggi della gravità (dato il maggior peso dell'ozono rispetto agli altri gas atmosferici), pensando che non si tratta di un componente staticamente stabile, ma di un componente in stato di equilibrio con l'ossigeno: infatti l'ossigeno assorbe le cortissime radiazioni (sotto i 2000 A) trasformandosi in ozono, ma a sua volta questo gas assorbe le radiazioni comprese tra 2000 e 3000 A per trasformarsi di nuovo in ossigeno. Non è qui il luogo per indagare il dettagliato andamento di questo interessantissimo fatto, che costituisce uno dei campi più fertili della moderna meteorologia fisica e dal quale sono da attendersi preziose informazioni per comprendere l'intimo meccanismo della dinamica atmosferica.
Bibl.: J. M. Pernter e F. M. von Exner, Meteorologische Optik, Vienna 1922. In tutti i trattati di geofisica, di fisica generale e di meteorologia estesi, vi sono capitoli sull'ottica atmosferica; particolarmente estesa è la trattazione di W. J. Humphreys, Physics of the Air, New York 1929.