OTTICA
L'o., "la più fisica tra le scienze matematiche" (Aristotele, Physica, 194a8), si configurò nel Medioevo essenzialmente come disciplina che indaga intorno al rapporto tra realtà e apparenze visive. Scopo primario degli studiosi medievali di o. fu quello di descrivere come il soggetto vede, come giudica la posizione, le dimensioni, le forme e le altre caratteristiche visibili degli oggetti e come si verificano le illusioni ottiche. L'analisi della natura fisica della luce e del colore, dell'anatomia e della fisiologia dell'organo visivo e della psicologia della percezione visiva, che nell'Antichità era stata affrontata principalmente nei trattati filosofici e medici, venne circoscritta dai perspectivi agli aspetti connessi allo studio di come le cose appaiono all'osservatore secondo le tre modalità di propagazione (diretta, riflessa e rifratta) dei raggi luminosi, che era stato svolto già nell'o. classica sotto il profilo matematico-geometrico (v. Prospettiva).Nell'ambito della concezione naturalistica dell'arte, che il mondo classico aveva privilegiato, l'esistenza di un legame tra lo studio scientifico delle apparenze visive e la rappresentazione illusionistica dei corpi e dello spazio era stata esplicitamente riconosciuta e anzi sancita attraverso la creazione di una disciplina, la scenografia, che si occupava delle applicazioni pratiche dell'o. in campo artistico e che era stata oggetto di una specifica trattatistica. Nel Medioevo la coscienza delle possibilità di utilizzazione della scienza della visione a livello figurativo non trovò espressione né nella letteratura artistica né in quella scientifica; perduti gli antichi testi di scenografia, rimase tuttavia il ricordo di un'arte concepita secondo criteri ispirati all'ottica. Nelle Historiae (VIII, vv. 333-362), per es., lo scrittore bizantino Giovanni Tzetze (m. nel 1185) elogia Fidia per la sua conoscenza dell'o. e della geometria, riportando un aneddoto secondo il quale egli avrebbe vinto una gara per l'esecuzione di una statua da collocare su un'alta colonna deformandola appositamente per farla apparire perfettamente proporzionata agli spettatori in basso; in un brano attribuito a Gemino (sec. 1° a.C.) o a Erone d'Alessandria (sec. 1° d.C.) e circolante nel Medioevo insieme ai Κεϕάλαια τῶν ὀπτιϰῶν di Damiano, autore bizantino di o. di epoca incerta (sec. 6°-13°), si assegna invece lo studio della scienza della visione agli architetti, ai pittori di scene architettoniche e agli scultori di statue colossali, che devono dare alle loro opere "le misure secondo l'apparenza e, per quanto sia possibile, scoprire rimedi agli inganni ottici, mirando non all'armonia di parti uguali secondo la verità, ma all'armonia dell'occhio".Data l'assenza di notazioni tecniche in questi testi (il trattato di Damiano è uno scarno e generico resoconto di o., privo di dimostrazioni geometriche), la conoscenza dei metodi illusionistici degli artisti antichi fu affidata nel Medioevo al De architectura di Vitruvio, del quale è attestata la circolazione fin dalla prima età carolingia. Le sommarie descrizioni (che ancora oggi pongono problemi di interpretazione) dei principi del proporzionamento ottico degli edifici (validi implicitamente anche per le statue) e del procedimento grafico della 'prospettiva' pittorica presenti in quest'opera sottintendono tuttavia precise conoscenze di geometria della visione che non si ebbero in Occidente almeno fino agli inizi del sec. 13°, a causa della completa decadenza in cui versarono gli studi di o. dopo la fine del mondo antico. Fino a quest'epoca gli intellettuali latini basarono le loro scarse nozioni di o. su fonti indirette, quali per es. il Timeo di Platone con il commento di Calcidio, nelle quali ben poco era filtrato del sapere matematico-geometrico e fisico degli scienziati e dei filosofi greci; ciò favorì la diffusione dell'interpretazione mistica e simbolica dei fenomeni visivi e luminosi, sviluppata dai filosofi e dai teologi di ispirazione neoplatonico-agostiniana (v. Luce), l'influsso della quale sulle arti figurative medievali è ben esemplificato dalla committenza di Suger, abate di Saint-Denis (1122-1151).Le prime opere di o. iniziarono a circolare in Occidente solo nella seconda metà del sec. 12°, nell'ambito dell'imponente processo di recupero e assimilazione della scienza greca e araba promosso dai centri di traduzione attivi soprattutto in Sicilia e in Spagna. Intorno al 1160 gli intellettuali facenti capo alla corte di Gugliemo I re di Sicilia (1154-1166) disponevano dei manoscritti greci dell'Ottica e della Catottrica di Euclide (Haskins, Lockwood, 1910), i testi base della geometria della visione diretta e riflessa antica e medievale, le più antiche versioni latine dei quali vennero approntate non oltre il 1170 ca. (Lindberg, 1976, p. 210; Theisen, in Euclide, Liber de visu, 1979, pp. 51-54); la diffusione dell'o. geometrica euclidea fu comunque legata all'influente De aspectibus dell'arabo al-Kindī (ca. 800-870), tradotto da Gerardo da Cremona (1114-1187) nel terzo quarto del secolo. Il processo di assimilazione del corpus ottico greco-islamico raggiunse il culmine intorno alla metà del Duecento, epoca alla quale risalgono le prime testimonianze della conoscenza dell'Ottica di Tolomeo e del Kitāb al-manāẓir di Ibn al-Haytham (o Alhazen; ca. 965-1039), noto in latino con il titolo De aspectibus. Quest'opera, che rappresenta la grandiosa sistemazione in sintesi unitaria dell'analisi degli aspetti matematico-geometrici, fisici, anatomico-fisiologici e psicologici del processo visivo (dei quali già Tolomeo aveva intuito l'importanza), fu all'origine della grande fioritura degli studi di o. degli anni sessanta-settanta del Duecento, i protagonisti della quale furono il francescano inglese Ruggero Bacone (1220 -1292 ca.), autore di numerosi trattati sulla visione, tra cui la Perspectiva e il De multiplicatione specierum, il canonico polacco Witelo (1235/1240-post 1281) e l'altro francescano inglese Giovanni Peckham (1230/1235-1292), ai quali si devono rispettivamente la Perspectiva e la Perspectiva communis. Nel settimo e ottavo decennio del secolo questi tre scienziati intrattennero rapporti molto stretti con la corte pontificia, che grazie al mecenatismo scientifico dei prelati e dei papi francesi si affermò insieme all'Università di Parigi come il più vivace centro di studi di o. della seconda metà del Duecento (Paravicini Bagliani, 1991).La presenza presso la corte papale di Witelo e Peckham, rispettivamente tra il 1270-1272 e il 1277 e tra il 1277 e il 1279, e i legami che sono stati riconosciuti (Cecchini, in corso di stampa a) tra i prelati più interessati alla scienza ottica e alcuni degli artisti tardoduecenteschi più attenti ai problemi della rappresentazione illusionistica dei corpi e dello spazio, come per es. Arnolfo di Cambio e Cimabue, permettono di ipotizzare un rapporto tra la fioritura degli studi sulla visione presso la corte pontificia e gli interessi òttico-prospettici' maturati dagli artisti toscani e romani della seconda metà del sec. 13°: tale rapporto va comunque inserito all'interno di una crescita complessiva della popolarità di questa scienza nella società e nella cultura tardomedievale, della quale è testimonianza eloquente il lungo elogio di Alhazen e della sciance des regarz inserito dal poeta Jean de Meun (1240 ca.-1305 ca.) nel Roman de la Rose (vv. 18023-18538).Più in generale, attende ancora un'adeguata valutazione in sede critica la questione dell'impatto della rinascita dell'o. latina sull'arte due-trecentesca. Resta infatti da chiarire se e in che misura la descrizione della geometria e della psicologia della visione fornita nei testi di o. greci, arabi e latini diffusi nei secc. 13°-14° abbia influito sulla sperimentazione di tecniche illusionistiche quali per es., nella scultura e nell'architettura, le correzioni ottiche e, per quanto riguarda la pittura, i sistemi di rappresentazione dello spazio tridimensionale di tipo 'prospettico', cui appunto si assiste in quest'epoca.Il problema è particolarmente complesso nel caso dell'architettura, poiché l'uso delle correzioni ottiche, come anche di accorgimenti volti a creare particolari effetti 'prospettici', è testimoniato già nella prima metà del sec. 12°, cioè in epoca precedente l'introduzione in Occidente dello studio dell'o., secondo forme e tipologie che allo stato attuale delle conoscenze non sembrano aver subìto un'evoluzione significativa, né un incremento o una maggiore diffusione nei secc. 13° e 14° (Goodyear, 1896-1897a; 1896-1897b; 1896-1897c; 1896-1897d; 1897-1898; 1902; 1907; Crema, 1937). Esse tuttavia rivelano notevoli affinità concettuali con gli enunciati matematico-geometrici e psicologici dei trattati di o. di ispirazione euclidea e alhazeniana. Si ricollegano alle osservazioni sulla visione delle rette parallele e sulla valutazione delle distanze attraverso il confronto con grandezze note gli accorgimenti finalizzati a suggerire l'allungamento o la dilatazione apparente delle proporzioni reali dell'edificio mediante l'accelerazione o il rallentamento della fuga prospettica delle linee di profondità, quali la costruzione di pareti e colonnati con andamento convergente o divergente, l'aumento o la diminuzione graduale in altezza e/o in larghezza degli intercolumni (per es. Firenze, S. Maria Novella) e l'inclinazione del pavimento. All'idea di configurazione sferica del campo visivo che caratterizza l'o. antica e medievale si riallacciano espedienti già presenti nell'architettura classica, quali le curvature verticali di pilastri, colonne, pareti le cui parti superiori divergono dal basso verso l'alto (Reims, cattedrale; Saint-Remi; Arezzo, pieve di S. Maria) e le curvature orizzontali di pareti o cornici - solitamente con andamento concavo verso il centro, come nelle pareti del matroneo che si affaccia sulla navata centrale del duomo di Pisa o in quelle della navata centrale del duomo di Orvieto - usate all'interno degli edifici per compensare o, nel caso delle curvature orizzontali, per 'sovracompensare' la percezione delle linee rette come curve oppure per contrastare l'effetto apparente della ricaduta delle parti alte della costruzione sullo spettatore.Sull'intenzionalità estetica di tali anomalie costruttive sono state sollevate numerose obiezioni (Bilson, 1906; Crema, 1937): esse sembrano dovute in molti casi a ragioni accidentali quali il mantenimento di parti di edifici preesistenti oppure debolezze strutturali causate da difetti di progettazione o di costruzione o da alterazioni subìte nel corso del tempo.Vitruvio (De architectura, VI, 2) pone tra i compiti primari dell'architetto quello di adattare le proporzioni degli edifici alla posizione dello spettatore, aumentando o diminuendo le dimensioni delle singole parti di essi in modo tale da neutralizzare i falsa iudicia oculorum che turbano la loro bellezza facendoli apparire deformati; tali correzioni sono consigliate soprattutto nelle parti alte delle costruzioni o negli edifici aventi dimensioni 'colossali', nei quali "semper adiciendum est rationis supplementum in symmetriarum membris" (De architectura, III, 5).Questo principio, al quale probabilmente sono da ricondurre le partizioni irregolari del campanile di Giotto a Firenze (iniziato nel 1334), in cui le cornici marcapiano scandiscono superfici quadrangolari di altezza crescente, era stato già applicato da Nicola Pisano e Giovanni Pisano nei monumentali busti (m 1,80 ca.) del loggiato mediano esterno del battistero di Pisa (1270-1277 ca.; Pisa, Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana). Le proporzioni di queste figure, come anche delle statue poste a coronamento delle ghimberghe dello stesso battistero (1278-1284 ca.; Pisa, Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana), e di quelle della facciata del duomo di Siena, realizzate da Giovanni Pisano (1284/1285-1296/1297; Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana), aumentano dal basso verso l'alto con un andamento repentino che potrebbe sottintendere (Cecchini, in corso di stampa b) l'adozione di un sistema di proporzionamento ottico ispirato al postulato euclideo dell'uguaglianza degli angoli visivi (Panofsky, 1927, trad. it. pp. 85-87). Nella bottega dei Pisano giunse a compimento un processo di sperimentazione di forme di controllo ottico delle proporzioni delle sculture di dimensioni notevoli e collocate a grande altezza, già testimoniato nell'ambito della Bauplastik delle cattedrali dell'Ile-de-France nel quarto decennio del Duecento e del quale l'esempio più interessante è costituito dalle colossali statue di re dei tabernacoli dei contrafforti N1, N7, S2, S5, S6 del transetto della cattedrale di Reims (ca. 1235-1240), in cui tuttavia l'aumento delle dimensioni delle parti alte delle figure, moderato e graduale, sembra ispirato a principi empirici.Il recupero di forme di proporzionamento ottico, attuato nella scultura italiana e francese della prima metà del Duecento per figure di grandi dimensioni e in posizione sopraelevata, offre dunque interessanti possibilità di confronto con le testimonianze letterarie sull'uso delle correzioni ottiche nella statuaria classica, tramandate dagli scrittori bizantini Damiano e Giovanni Tzetze. Un modello antico corretto otticamente sembra avere effettivamente ispirato (Belli D'Elia, 1972) le deformazioni della testa di età federiciana (1225-1250 ca.) proveniente da S. Leucio (Bitonto, Coll. Nacci), concepita per essere vista di tre quarti da uno spettatore collocato lateralmente in posizione fortemente angolata; essa costituisce uno dei primi esempi della formulazione di questo particolare tipo di correzione, cui Giovanni Pisano si sarebbe in seguito dedicato nelle sculture della facciata del duomo di Siena e nelle statue angolari della vasca del pulpito di S. Andrea Fuorcivitas a Pistoia, del 1301. Il ruolo decisivo svolto dai Pisano nella maturazione dell'interesse per i problemi ottici nella scultura italiana della fine del Duecento e degli inizi del Trecento sembra confermato dalla figura di Arnolfo di Cambio, nel quale l'uso sapiente e calibrato di molteplici forme di correzioni ottiche - che Arnolfo trasferisce dalla scultura colossale alla Kleinplastik dei monumenti funebri e dei cibori (Orvieto, S. Domenico, monumento De Braye, 1282 ca.; Roma, S. Giovanni in Laterano, monumento Annibaldi, 1289 ca.; Roma, S. Cecilia in Trastevere, ciborio, 1293 ca.) - si associa al 'criterio di visibilità' (Romanini, 1983; 1990a; 1993-1994), che testimonia l'inedito tentativo di formulazione secondo la veduta unitaria del rapporto tra spettatore, spazio visivo e oggetto visibile (cioè l'opera d'arte), in termini che già precorrono la prospettiva quattrocentesca.Per quanto riguarda le illustrazioni dei trattati di o. e il problema della prospettiva, nell'o., come nelle altre discipline a prevalente carattere geometrico, si verifica una stretta interpenetrazione fra il testo e le illustrazioni che lo accompagnano. Queste in genere non svolgono solo la funzione di facilitare la comprensione dei concetti, ma anzi di renderla possibile (Murdoch, 1984, p. 87) e di conseguenza costituiscono un'importante testimonianza per ricostruire le modalità di trasmissione del sapere scientifico ai lettori.Si può individuare una notevole continuità durante tutto il Medioevo nei criteri adottati nelle illustrazioni geometriche dei trattati di o., spiegabile grazie alla funzione normativa svolta in questo campo dalla tradizione manoscritta dell'opera di Euclide, e non soltanto dall'Ottica, ma anche e soprattutto dagli Elementi, nei quali erano stati posti i fondamenti del disegno geometrico antico e medievale. Caratteristica saliente delle illustrazioni geometriche dei trattati medievali di o. è la rinuncia programmatica alla rappresentazione della terza dimensione in favore di un canone di raffigurazione bidimensionale - sia delle figure piane sia dei solidi - che viene seguito con rigore forse anche maggiore rispetto agli Elementi. Le ragioni di questa scelta vanno ricercate non tanto nell'incapacità di rendere correttamente in 'prospettiva' o comunque in scorcio le figure, ma piuttosto nella constatazione - risalente in origine alle critiche di Platone nei confronti della rappresentazione illusionistica - che 'prospettiva' e scorcio falsificano i rapporti tra gli angoli, i lati e le superfici che costituiscono le figure geometriche, cioè ne alterano gli elementi caratteristici, archetipici. Si preferisce dunque scomporre l'immagine del solido nelle sue parti essenziali, la sezione verticale e quella orizzontale, e ricomporla riunendo le due sezioni sullo stesso piano, in modo tale che esse mantengano sul piano gli stessi rapporti geometrici che hanno nella realtà tridimensionale.Si tratta di una tecnica di visualizzazione grafica delle figure tridimensionali anti-illusionistica e perciò opposta a quella 'prospettica': nella misura in cui quest'ultima è fondata sul concetto di veduta unitaria (ovvero sintetica), la prima contempla una veduta sinottica (ovvero analitica) delle varie parti del solido, che nella realtà è possibile solo attraverso una scissione spazio-temporale. Essa tuttavia viene abbandonata nei casi in cui venga a costituire un ostacolo alla comprensione della struttura esatta della figura o dei rapporti tra figure. Per es., nell'impossibilità di rappresentare secondo una veduta sinottica, come nei solidi di rotazione, le superfici che compongono i parallelepipedi e i prismi, si opta, come negli Elementi, per l'adozione di un sistema di proiezione tridimensionale di tipo assonometrico, cioè un sistema in grado di mantenere inalterati i rapporti di parallelismo tra le facce del solido, che nella veduta 'prospettica' vengono compromessi. In alcuni casi si sceglie di riassumere la figura tridimensionale rappresentando la sola sezione verticale: così un triangolo (isoscele o equilatero) può indicare indifferentemente un cono o una piramide.Dunque nell'illustrazione geometrica dei trattati di o. non trova posto la rappresentazione illusionistica degli oggetti visibili. Questo però non implica che le illustrazioni dei trattati medievali di o. abbiano ostacolato l'elaborazione di tecniche di proiezione dello spazio tridimensionale sul piano di tipo 'prospettico', come i sistemi di visualizzazione delle figure solide adottati in queste opere - peraltro rintracciabili ancora in pieno Rinascimento, per es. nei trattati di Piero della Francesca - sembrano indicare. Infatti le notevoli affinità tra i diagrammi, rigorosamente bidimensionali, che nei trattati di o. illustrano i teoremi riguardanti la visione diretta (ma anche la visione riflessa negli specchi piani), e alcuni degli schemi geometrici, parimenti bidimensionali, adottati nei vari metodi di costruzione prospettica elaborati nel Rinascimento, suggeriscono che l'o. medievale abbia svolto un ruolo non secondario nella formulazione grafica di questi ultimi, così come notoriamente è accaduto anche a livello teorico. Un caso particolarmente interessante in questo senso è fornito dalle illustrazioni dei teoremi euclidei relativi alla visione delle superfici poste sopra o sotto l'occhio dell'osservatore (Euclide, Liber de visu, teoremi 11-12 [10-11]), perfettamente sovrapponibili allo schema grafico della fase della costruzione prospettica albertiana corrispondente al tracciato del prospetto laterale. Così anche nei trattati rinascimentali molti dei diagrammi che accompagnano le dimostrazioni geometriche di problemi prospettici particolari ripetono immagini presenti nei manoscritti medievali di o., dai quali frequentemente sono ricavate le dimostrazioni stesse. Nel De prospectiva pingendi (I, teorema 30), per es., Piero della Francesca dimostra geometricamente la necessità di mantenere l'ampiezza dell'angolo visivo inferiore a 90°, ispirandosi all'illustrazione che accompagna il teorema 39 (42) del I libro della Perspectiva communis di Giovanni Peckham, nel quale appunto si spiega come il massimo angolo visivo sotto il quale un oggetto può esser visto deve essere inferiore a un angolo retto.In una visione retrospettiva tutto ciò acquista una certa importanza anche per la pittura tardomedievale; il confronto tra gli schemi geometrici delle costruzioni 'prospettiche' adottate dai pittori tardoduecenteschi e trecenteschi, le illustrazioni dei trattati di o. e i corrispondenti teoremi potrà configurarsi in futuro come un utile banco di verifica della possibilità che i tentativi 'prospettici' dei pittori tardoduecenteschi e trecenteschi, ai quali di norma si attribuisce un carattere essenzialmente empirico, siano stati anche confortati - sotto il profilo teorico come sotto quello puramente grafico - dal ricorso alla trattatistica ottica coeva.
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