ottica
La parte della fisica che si occupa dei fenomeni luminosi
L’ottica è la scienza della luce: studia principalmente la natura delle radiazioni a cui sono sensibili i nostri occhi e il passaggio della luce attraverso i corpi, ma si interessa anche alla visione, alle sorgenti luminose, all’illuminazione. Viene di solito suddivisa in ottica fisica, se si riferisce alle proprietà fisiche della luce, per esempio all’energia che essa trasporta, e ottica geometrica, quando rappresenta la luce sotto forma di raggi luminosi
In passato gli scienziati si sono divisi a lungo fra due diverse teorie sulla natura della luce. Secondo alcuni la luce era formata da corpuscoli in moto rapidissimo, secondo altri si trattava di un’onda, come quelle che costituiscono i suoni. Entrambe le teorie erano insoddisfacenti perché ciascuna spiegava soltanto alcuni fenomeni luminosi, mentre era contraddetta da altri.
Una svolta importantissima per capire la natura della luce si ebbe nell’Ottocento, quando il fisico scozzese James Clerk Maxwell sviluppò la sua teoria generale dell’elettromagnetismo. La luce, secondo questa teoria, è costituita da onde elettromagnetiche, prodotte da vibrazioni di campi elettrici e magnetici, che si propagano a distanza trasportando energia.
L’idea dei corpuscoli rientrò però nuovamente in gioco all’inizio del secolo scorso, quando divenne chiaro che la luce ha effettivamente una natura duplice, cioè può manifestarsi sia come onde che come particelle (alla stregua di una moneta che presenta immagini diverse a seconda della faccia che stiamo osservando).
Oggi sappiamo che la luce consiste di particelle chiamate fotoni – prive di massa, ma dotate di energia e in moto continuo a velocità elevatissima – ma si propaga sotto forma di onde elettromagnetiche, di cui possiede tutte le proprietà. L’energia trasportata dalla luce è concentrata in pacchetti elementari, che sono appunto i fotoni o quanti di energia. Ciò che caratterizza le onde elettromagnetiche visibili, cioè le onde luminose, è il valore della lunghezza d’onda, che, a seconda del colore della luce, è compreso fra 0,38 mm e 0,76 mm (il simbolo mm indica i millesimi di millimetro), cioè è assai più piccolo di quello delle onde usate per le trasmissioni radiofoniche e televisive. Le radiazioni con lunghezza d’onda inferiore, sia pure di poco, a quella della luce rossa si chiamano infrarosse; quelle con lunghezza d’onda immediatamente superiore a quella della luce violetta si chiamano ultraviolette. E naturalmente sono in entrambi i casi invisibili.
La velocità con cui la luce si propaga nel vuoto è rigorosamente costante e rappresenta, per quanto ne sappiamo oggi, un limite invalicabile per la velocità di qualsiasi oggetto. La cosa più sorprendente, però, è che non dipende né dalla velocità della sorgente che l’ha emessa né da quella di chi la osserva. Infatti, se si potesse viaggiare a cavalcioni di un fotone e se ne incontrasse un altro che si muove in senso opposto, lo si vedrebbe avvicinarsi sempre alla velocità della luce, e non a velocità doppia come si otterrebbe sommando alla velocità di moto della sorgente quella dell’osservatore.
La velocità della luce è stata misurata con straordinaria accuratezza: è di 299.792,458 km/s e costituisce una costante fondamentale della fisica, sulla quale gli scienziati hanno scelto di basare l’unità di lunghezza. Dal 1967, infatti, il metro è definito ufficialmente come la distanza percorsa dalla luce nel vuoto durante una data frazione (1/299.792.458) di secondo e non più in riferimento al metro campione fisico (una sbarra realizzata in lega metallica) usato in passato.
È noto che la luce – nel vuoto, nell’aria o in qualsiasi corpo trasparente omogeneo – si propaga in linea retta. Ma questo non è esattamente vero: un fascio di luce, infatti, man mano che viaggia si allarga gradualmente. Questo effetto non è apprezzabile quando le dimensioni trasversali del fascio sono molto grandi rispetto alla lunghezza d’onda. Ma quando la luce investe uno schermo con un forellino molto piccolo, tale cioè da restringere fortemente il fascio, da esso fuoriesce luce in tutte le direzioni. In questo caso, infatti, si manifesta la natura ondulatoria della luce.
La luce, propagandosi, trasporta energia, che cede ai corpi opachi incontrati sul suo percorso: questi l’assorbono e di conseguenza si riscaldano. Per esempio, quando la luce solare raggiunge la superficie terrestre, porta con sé un flusso di energia di circa 1.000 W/m2. Questa energia, essenziale per la fotosintesi clorofilliana nelle piante, trova anche molti impieghi pratici, dal riscaldamento degli edifici alla produzione di energia elettrica tramite particolari dispositivi a semiconduttori (celle fotovoltaiche). E del resto, senza questo costante flusso di energia, la Terra sarebbe inabitabile come i pianeti che si trovano agli estremi confini del Sistema Solare; per esempio, su Plutone, a causa della sua distanza dal Sole, il flusso di energia solare è 1.500 volte meno intenso che sulla Terra.
Ma perché il flusso di energia diminuisce all’aumentare della distanza dalla sorgente? L’energia totale, man mano che ci si allontana dalla sorgente, si distribuisce su una superficie sempre più grande. Se la sorgente, come avviene per il Sole, emette radiazione in modo uniforme in tutte le direzioni, a una distanza R la superficie sferica su cui l’energia si distribuisce è 4πR2 cioè la superficie della sfera di raggio R. E quindi il flusso, cioè l’energia per unità di superficie, si riduce con legge inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
L’ottica geometrica rappresenta la luce sotto forma di raggi luminosi, che si propagano in linea retta in modo indipendente l’uno dall’altro, nel senso che possono toccarsi o incrociarsi senza interagire. In questo modello si trascurano, così, le proprietà ondulatorie della luce, scelta del tutto ragionevole in molti casi di interesse pratico e che ha il vantaggio di semplificare notevolmente lo studio di parecchi fenomeni luminosi, in particolare quelli che riguardano i comuni strumenti ottici.
Il fenomeno luminoso più noto è la riflessione della luce. Un raggio luminoso che colpisce una superficie viene riflesso all’indietro con le stesse modalità con cui una palla rimbalza contro un muro: la traiettoria del raggio incidente e di quello riflesso formano angoli uguali con la retta perpendicolare al punto di incidenza, e con essa si trovano in uno stesso piano (v. fig. 2).
Questo fenomeno è sfruttato dagli specchi, in cui vediamo riflesse le immagini degli oggetti circostanti. Ma se la superficie non è ben liscia, la riflessione avviene in modo irregolare e si parla allora di diffusione della luce (v. fig. 3). In questo caso non si formano immagini, ma è proprio la luce diffusa dall’oggetto illuminato quella che ci permette di vederlo.
Il fenomeno della riflessione è utilizzato nelle fibre ottiche per trasmettere segnali a distanza, sotto forma di impulsi di luce: un raggio di luce che colpisce l’estremità di una sottile fibra di vetro, penetra al suo interno, subisce una serie di riflessioni sulle pareti della fibra e fuoriesce dall’altra parte. Il fenomeno sul quale si basa il funzionamento delle lenti e dei prismi è invece quello della rifrazione della luce (v. fig. 4). I raggi luminosi, infatti, subiscono una brusca deviazione quando passano da un materiale trasparente a un altro (dall’aria all’acqua, dall’aria al vetro e via dicendo). Proprio per la rifrazione un oggetto ci appare spezzato quando è immerso parzialmente nell’acqua contenuta in un bicchiere di vetro.
La deviazione dei raggi luminosi consiste in un avvicinamento dei raggi dalla retta perpendicolare alla superficie di separazione quando passano da un mezzo meno denso a uno più denso, e in un avvicinamento nel caso opposto. La rifrazione spiega vari fenomeni ottici, fra cui i miraggi, e trova impiego in molti strumenti ottici: occhiali, microscopi, telescopi e simili.
Quando un fascio di luce passa attraverso un prisma di vetro o di plastica, viene deviato a causa della rifrazione. L’entità di questa deviazione cambia leggermente a seconda della lunghezza d’onda della luce, sicché dal prisma emergono separatamente i diversi colori, dal rosso al violetto, che insieme formano la luce bianca. A ciascun colore corrisponde una diversa lunghezza d’onda, maggiore per il rosso, più piccola per il violetto. La separazione della luce bianca nei colori che la costituiscono prende il nome di dispersione della luce. Possiamo osservare questo fenomeno anche esaminando la superficie di un CD colpita dai raggi del Sole: variando l’inclinazione del disco, vedremo apparire bande intensamente colorate in cui si scorge tutta la sequenza dei colori. La dispersione della luce spiega vari fenomeni ottici, fra cui l’arcobaleno e i colori cangianti delle ali di alcune farfalle, che cambiano a seconda della direzione scelta per osservarle.
Perché i corpi ci appaiono colorati? Tutto dipende dalle proprietà microscopiche dei materiali che li costituiscono, più precisamente da quali lunghezze d’onda della luce essi assorbono e quali invece diffondono, rimandandole indietro, in modo che raggiungano i nostri occhi. Così un corpo ci appare verde (oppure rosso) quando diffonde la luce verde (oppure quella rossa) assorbendo invece gli altri colori. E qui vanno menzionati due casi estremi: i corpi bianchi, che diffondono (idealmente) tutti i colori della luce allo stesso modo, e i corpi neri, che li assorbono tutti (sempre idealmente). Ma ci appare nero anche un corpo di un colore determinato (per esempio rosso), quando è illuminato con luce di un altro colore (per esempio verde).
Un discorso a parte merita il colore blu del cielo. Innanzitutto, va detto che il cielo appare luminoso grazie all’aria che diffonde la luce solare in tutte le direzioni: non a caso, sulla Luna, che è priva di atmosfera, le ombre sono nettissime e il cielo è buio sicché è possibile vedere le stelle anche di giorno. Sulla Terra, la luce solare, più precisamente, viene diffusa dalle molecole dei gas che formano l’aria: queste molecole hanno dimensioni piccolissime e privilegiano le lunghezze d’onda più piccole così che nella luce diffusa prevale il colore blu.
Corpi che emettono e corpi che riflettono luce. Noi possiamo vedere soltanto i corpi che emettono luce essi stessi (sorgenti luminose) o quelli che riflettono la luce ricevuta da una sorgente (corpi illuminati). Così, per esempio, possiamo distinguere il Sole e le stelle, che sono vere sorgenti luminose, dai pianeti e dalla Luna, che sono invece corpi illuminati e che rimandano indietro la luce ricevuta dal Sole.
Luce per effetto termico. Molte sorgenti luminose emettono luce per effetto termico, cioè quando si trovano a temperature sufficientemente elevate (2.500 °C per i filamenti delle lampadine, 5.500 °C per la superficie del Sole). Qualsiasi corpo, in effetti, emette radiazioni elettromagnetiche quando si trova a una temperatura diversa dallo zero assoluto. Questa radiazione ha due proprietà importanti: la prima è che l’energia emessa aumenta assai rapidamente con la temperatura, più precisamente con la quarta potenza della temperatura assoluta; la seconda è che la lunghezza d’onda corrispondente al massimo (picco) dell’emissione è inversamente proporzionale alla temperatura del corpo. Così, la radiazione emessa da un corpo riscaldato diventa visibile soltanto al di sopra di una certa temperatura, in corrispondenza della quale si osserva luce rossa. Aumentando la temperatura, la luce diventa sempre più intensa e il picco dell’emissione si sposta dal rosso verso il violetto, ma il risultato complessivo (dovuto alla sovrapposizione dei vari colori emessi) è di una luce via via sempre più bianca. Ed è esattamente quel che accade quando un fabbro scalda a temperature sempre più elevate un pezzo di ferro, inizialmente scuro: dopo un po’ il ferro diventa incandescente passando gradualmente dal rosso (il cosiddetto ferro al calor rosso) al bianco (ferro al calor bianco).
Altre sorgenti di luce. Ma le sorgenti possono emettere luce anche grazie a vari altri processi: la luce delle lampade fluorescenti, per esempio, proviene da una scarica elettrica attraverso i gas in esse contenute; la luce delle lucciole è prodotta da particolari reazioni dette fotochimiche; la luce dei LED (i diodi emettitori di radiazione visibile usati come indicatori luminosi) viene emessa grazie al passaggio di una corrente elettrica in un semiconduttore; la luce dei laser proviene dall’eccitazione e dalla diseccitazione coerente degli elettroni in determinate sostanze.
Gli organi della visione costituiscono un sistema complesso: l’occhio provvede a raccogliere le immagini, e il nervo ottico trasmette le informazioni (riguardanti l’intensità e il colore della luce nei diversi punti) al cervello, perché questo le elabori fornendoci la percezione visiva. Il cervello, infatti, confronta l’immagine con un catalogo di forme conosciute e ci informa su cosa stiamo osservando, anche se a volte può condurre a risultati ingannevoli, come nel caso delle illusioni ottiche.
Le parti essenziali dell’occhio sono una lente (il cristallino) e una superficie sensibile alla luce (la retina). La lente, di tipo convergente, serve a trasmettere l’immagine sulla retina. Si tratta di una lente variabile: appositi muscoli possono infatti modificarne la forma in modo da consentire una buona visione di oggetti sia lontani che vicini (questa capacità diminuisce però con l’età). La retina è costituita da cellule sensibili alla luce, alcune soltanto all’intensità (bastoncelli), altre anche ai colori (coni), da cui si dipartono le fibre nervose che costituiscono il nervo ottico.
Caratteristica importantissima dell’occhio è la grande sensibilità a luci debolissime accompagnata dalla capacità di sopportare senza danni luci molto forti, anche cento milioni di volte più intense di quelle minime apprezzabili. A ciò contribuisce la pupilla, cioè il foro attraverso cui la luce penetra nell’occhio, il cui diametro si aggiusta automaticamente all’incirca nell’intervallo 2÷8 mm. Quando la luminosità è debole, la visione si riduce all’essenziale, cioè vediamo in bianco e nero anziché a colori. I coni, infatti, funzionano soltanto quando la luce è sufficientemente intensa.
Il fisico tedesco Heinrich Hertz osservò che colpendo la superficie di un metallo con radiazione elettromagnetica si liberavano elettroni quando la lunghezza d’onda della radiazione incidente era sufficientemente piccola. La spiegazione del fenomeno (chiamato effetto fotoelettrico) fu data da Albert Einstein nel 1905: la radiazione elettromagnetica è costituita da quanti di energia, ciascuno dotato di energia inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda e per estrarre un elettrone dal metallo l’energia della particella deve superare un valore di soglia. Così soltanto alcuni fotoni – quelli associati alle lunghezze d’onda minori – possono liberare un elettrone dal metallo (v. fig.).
Sebbene la luce sia velocissima, tanto che la sua propagazione ci appare istantanea, i tempi che essa impiega a percorrere le distanze astronomiche possono essere grandissimi. Se la luce del Sole ci raggiunge in poco più di 8 minuti, quella emessa dalla stella più vicina (Proxima Centauri) impiega circa 4,2 anni. Per questo gli astronomi adottano come unità di distanza l’anno luce (pari a circa diecimila miliardi di chilometri), cioè la distanza che la luce percorre in un anno. Notate che osservare gli oggetti astronomici più lontani, situati a miliardi di anni luce da noi, significa anche esplorare l’Universo quando esso era assai più ‘giovane’, cioè miliardi di anni fa.
La luce del Sole è essenziale per la vita, sia per il nostro nutrimento sia per l’aria che respiriamo. Le piante utilizzano infatti l’energia della luce solare per trasformare, tramite la fotosintesi, molecole semplici – acqua e anidride carbonica – in molecole più complesse – carboidrati – di cui gli animali e l’uomo si nutrono (i vegetali sono quindi il primo gradino della catena alimentare che è alla base della vita). Da questo stesso processo, inoltre, proviene l’ossigeno contenuto oggi nell’atmosfera; nell’atmosfera primitiva l’ossigeno era assente ed è stata la sua produzione da parte delle piante e dei batteri che vivevano nell’acqua a permettere la colonizzazione delle terre emerse da parte dei viventi.