OTTICA QUANTISTICA
Locuzione di recente coniazione sotto la quale s'intende siano raggruppati tutti quegli esponenti di ottica la cui completa comprensione richiede l'uso della meccanica quantistica: esempi di tali argomenti sono la teoria quantistica della coerenza di Glauber (v. oltre), la teoria dei fotoconteggi e i relativi esperimenti. L'o. q. comprende anche gli argomenti che riguardano i laser e l'ottica non lineare. Va chiarito l'uso preciso di locuzioni quali "o. q.", "elettronica quantistica", "optoelettronica", "ottica moderna".
L' "elettronica quantistica" dovrebbe trattare nel senso più vasto tutti i dispositivi e le teorie elettroniche, o che usano le stesse tecniche dell'elettronica, che richiedono l'uso della meccanica quantistica per spiegarne il funzionamento. Rientrano così negli argomenti dell'elettronica quantistica i laser, i fotoconteggi, l'ottica non lineare, ecc., ma vi rientrano anche i dispositivi a semiconduttori, quelli a superconduttori, le teorie del magnetismo e i dispositivi da esse derivati, tutti gli effetti elettro, magneto- e acusto-ottici e i dispositivi da essi derivati. Non rientrano invece nell'elettronica quantistica le tecniche di elaborazione ottica (optical processing), l'olografia, le fibre ottiche, la propagazione in guida, l'ottica integrata, che formano il nucleo dell'"optoelettronica", la quale si occupa però anche di dispositivi fotoelettronici, come i rivelatori, i diodi emettitori di luce, i laser, ecc.
L' "ottica moderna" comprende infine l'o. q. come una parte, la teoria della coerenza, tutti gli argomenti di o. che sono trattati in elettronica quantistica e optoelettronica, e in più tecniche avanzate ottiche, quali le tecniche di superrisoluzione, la microottica, ecc.
La quantizzazione del campo di radiazione richiede una riconsiderazione della definizione delle proprietà di coerenza. La teoria classica si fonda sull'ipotesi che il campo elettrico possa in linea di principio essere misurato in ogni punto arbitrario in un fascio di luce. La teoria quantistica della coerenza inizia con un'investigazione di quanto un campo elettrico associato con un fascio di luce possa essere determinato. È necessario esaminare la teoria quantistica dell'apparato usato per fare misure su fasci di luce, per capire le proprietà del fascio di luce che possono essere misurate. Il trattamento quantistico degli esperimenti ottici ha due conseguenze principali. In primo luogo fornisce una comprensione più profonda degli esperimenti classici d'interferenza e mostra come, in generale, la quantizzazione del campo elettrico non cambi la spiegazione dei fenomeni osservabili in tali esperimenti. In secondo luogo, l'esistenza della quantizzazione porta alla possibilità di un nuovo tipo di esperimento in cui sono misurate le distribuzioni dei fotoni nei fasci di luce. Tali esperimenti formano la base d'osservazione dell'o. q. e studiano sostanzialmente la statistica dei fotoni. Essi involvono la rivelazione diretta dei fotoni e quindi escono dallo scopo dell'ottica classica.
Praticamente tutti i rivelatori di luce si basano sull'effetto fotoelettrico. L'operatore che corrisponde più da vicino all'osservabile nella misura è perciò la parte a frequenza positiva dell'operatore di campo A(+) (r, t). Esso è anche l'operatore di annichilazione associato col potenziale vettore del campo in (r, t) nella rappresentazione di Heisenberg. L'operatore che corrisponde alla misura dell'intensità luminosa totale su tutte le componenti di polarizzazione nel punto spazio-temporale (r, t) sarà
In particolare se ρ è l'operatore matrice densità del campo
Gli operatori A(+9 (r, t) sono poi strettamente connessi ai campi complessi classici V (r, t), potendosi dimostrare che l'ampiezza analitica V(r, t) è un autovalore dell'operatore A(+) (r, t). Questo già mette in luce la stretta connessione esistente fra la descrizione quantomeccanica e quella classica del campo in termini del segnale analitico complesso.
Le proprietà di coerenza del campo possono essere ora descritte dalle correlazioni degli operatori di campo (J. R. Glauber, 1963).
Tutti gli esperimenti di ottica classica possono essere trattati teoricamente nello schema del campo di radiazione quantizzato. Tuttavia in generale fare ciò non è molto remunerativo poiché le proprietà di coerenza al prim'ordine della luce caotica sono le stesse nella teorica classica come in quella quantistica ed è di solito più facile trattare esperimenti ottici classici in termini della teoria classica.
È tuttavia interessante esaminare, da un punto di vista concettuale, il modo in cui la descrizione usuale dell'esperienza d'interferenza classica può essere riconciliata con la visione corpuscolare di un fascio di luce.
Consideriamo il ben noto esperimento d'interferenza di Young, considerando la luce incidente sui due fori del primo schermo come un fascio di fotoni. È possibile eseguire l'esperimento in condizioni d'illuminazione così debole da far sì che solo un fotone alla volta passi nell'apparato (C. A. Taylor, 1909).
Si trova che se si registra (per es., su una lastra) per un tempo sufficientemente lungo si ottiene esattamente la stessa figura di interferenza che si ha nel caso di forte illuminazione. Si deve concludere che l'interferenza è un effetto a un fotone che non dipende in alcun modo dall'interazione dei fotoni fra loro.
Nell'esperienza di Young ogni fotone dev'essere capace d'interferire con sé stesso in modo tale che la probabilità di colpire il secondo schermo in un dato punto sia proporzionale all'intensità calcolata classicamente in quel punto. Questo può essere ottenuto solo se ogni fotone passa parzialmente attraverso entrambi i fori cosicché può avere conoscenza dell'intera disposizione geometrica dei fori quando colpisce lo schermo. Non vi è infatti alcun modo per stabilire se il fotone passa da un foro o dall'altro e registrare le frange. Per es., se si pone un fototubo dietro un foro per rivelare il passaggio del fotone, questo oscura il foro e quindi si distrugge la figura d'interferenza.
Queste osservazioni sono in accordo con i princìpi della meccanica quantistica. I fotoni non interagiscono fra loro e ogni effetto d'interferenza dev'essere visto nel processo con cui ogni fotone singolo passa dalla sorgente al secondo schermo.
Dal punto di vista della meccanica quantistica, si ha l'interferenza fra le ampiezze di probabilità per il passaggio dalla sorgente allo schermo attraverso i due cammini differenti che corrispondono ai due fori.
L'intensità sul secondo schermo è proporzionale al modulo quadrato della somma delle due ampiezze di probabilità. La struttura del calcolo quantistico è la stessa di quella del calcolo classico, che è anch'esso fondato sul modulo quadrato della somma delle due ampiezze, e i due calcoli dànno la stessa distribuzione d'intensità.
Queste considerazioni possono essere applicate a una variante dell'esperienza con due fori, in cui due fasci di luce sono ottenuti usando due sorgenti di luce completamente indipendenti. Si osservono anche in questo caso degli effetti d'interferenza nel campo formato dalla sovrapposizione dei due fasci (R.L. Pfleegar e L. Mandel, 1967). La situazione concettuale è tuttavia simile a quella dell'esperimento di Young. Si ha interferenza fra le ampiezze di probabilità che un fotone arrivi al rivelatore essendo emesso da una sorgente oppure dall'altra. Non vi è alcun sistema per cui un fotone possa simultaneamente contribuire agli effetti d'interferenza ed essere assegnato a un fascio particolare fra i due.
Fotostatistiche. - Uno dei metodi più pratici per studiare le fluttuazioni dei fasci luminosi nonché per determinare le loro proprietà spettrali e statistiche è l'uso dei rivelatori fotoelettrici. L'apparato più semplice di questo tipo può essere schematizzato da un atomo singolo che può emettere, per effetto fotoelettrico, un elettrone che viene susseguentemente rivelato. Il processo di rivelazione è intrinsecamente quantistico. La trattazione teorica per un insieme di tali atomi permette di scrivere la probabilità di fotoemissione p(t) di un elettrone in un intervallo di tempo da t a t + Δt
dove I(t) è l'intensità istantanea, definita tramite il segnale analitico
e α è l'efficienza quantica del rivelatore, che dipende dalla forma geometrica e da altri parametri.
La [1] è ricavata nell'ipotesi che la luce che cade sul rivelatore sia un'onda piana quasi-monocromatica e che l'intervallo di tempo Δt sia molto più piccolo del tempo di coerenza τ della luce, ma molto più lungo del periodo.
Interessa conoscere la relazione fra la statistica dei conteggi di fotoelettroni e quella della luce che cade sul rivelatore. Più specificamente, interessa conoscere la probabilità p(n, t, T) di contare n fotoni nell'intervallo di tempo fra t e t + T. Nel caso che il campo di radiazione sia stazionario, si può eliminare la dipendenza da t e scrivere semplicemente p(n, T). L'espressione di tale probabilità fu ricavata per la prima volta da Mandel (1958,1964). Intuitivamente essa può essere ricavata col seguente ragionamento. Supponiamo per cominciare che non vi siano fluttuazioni casuali nell'intensità. In questo caso, ogni fotoelettrone viene emesso in modo indipendente con una probabilità piccola e costante data dalla [1]. La distribuzione risultante è una distribuzione di Poisson
dove
In realtà V(t) e quindi I(t) sono variabili casuali stocastiche. Quindi la [3] si riferisce alla distribuzione dei conteggi appropriata per una singola realizzazione dell'insieme dell'intensità. Per tener conto della proprietà stocastica di I(t) si deve fare la media della distribuzione [3] sulla distribuzione dell'intensità. Introducendo la grandezza
che è essa stessa una variabile stocastica con una certa distribuzione p(U), si trova
Le fluttuazioni nell'emissione fotoelettrica possono così essere considerate come dovute a due cause:1) fluttuazioni intrinseche al processo di rivelazione, dovute all'emissione casuale dei fotoelettroni che si ha anche se non ci sono fluttuazioni nell'intensità della luce che cade sul rivelatore e che dànno luogo a una distribuzione di Poisson dei conteggi fotoelettrici; 2) fluttuazioni nell'intensità della luce che cade sul rivelatore.
La quantità fondamentale che entra nella formula per la distribuzione dei conteggi fotoelettrici è la densità di probabilità dell'intensità luminosa integrata U.
Nel caso di luce da una sorgente termica, se la luce è completamente polarizzata essa può essere descritta da un processo casuale scalare con una funzione V(t) che è rappresentata da un processo gaussiano complesso stazionario (Mandel e E. Wolf, 1965). L'intensità istantanea I(t) è data dalla [2] e poiché V(t) è distribuita secondo una gaussiana la densità di probabilità di I è una funzione esponenziale:
dove
I valori di U e della sua varianza sono
dove per ricavare la [5] si è usata la proprietà gaussiana del campo.
Ricavare un'espressione esatta per la densità di probabilità di U per un valore arbitrario di T è estremamente difficile. E possibile tuttavia avere espressionì asintotiche nei due casi di T molto piccolo o molto grande rispetto a τ.
a) Se T ≪ τ l'intensità I(t) può essere considerata costante nell'intervallo di tempo T, e U può essere scritta come U = IT. Quindi dalla [4] si ha:
e
dove 〈n> = α〈I> T, che è la ben nota distribuzione di Bose-Einstein per n particelle identiche in uno stato quantico. Questo è facilmente compreso considerando che durante il tempo di misura si sono contati solo i fotoni contenuti in un volume di lunghezza T ≪ τ che rappresenta solo una cella nello spazio delle fasi, in cui i fotoní sono distribuiti secondo la statistica di Bose-Einstein. La varianza della distribuzione è 〈(Δn)>2 = 〈n> [1 + 〈n>].
b) Se T ≫ τ le fluttuazioni di I(t) durante il tempo d'integrazione vengono praticamente ad annullarsi durante l'integrazione e U può essere considerata una costante corrispondente a una distribuzione a δ di Dirac: p(U) = δ(U − 〈U>). Quindi
e 〈(Δn)2> = 〈n>. Nel caso di luce da un laser, la cui intensità sia stabilizzata, può scriversi p(I) = δ(I - 〈I>) e quindi
Infine dalla [6] si vede che la varianza dei fotoconteggi è in generale differente da quella della distribuzione di Poisson e maggiore di questa. Questo riflette il fatto che i fotoni non arrivano a caso ma posseggono una certa proprietà di addensarsi, caratteristica dei bosoni.
Gli effetti di addensamento possono essere visti più chiaramente in termini della probabilità condizionale pc(t/τ) dτ che si registri un fotoconteggio al tempo t + τ se un fotone è stato registrato a t. Se la luce è stazionar. a si dimostra che
Nel caso di un laser ideale pc(t/τ) = α〈I>, costante e indipendente da τ. Per luce termica polarizzata pc(t/τ) = α〈I> [1 + ∣γ(τ)∣2].
La figura mostra i fotoconteggi per luce termica (B.L. Morgan e L. Mandel, 1967) da una sorgente a mercurio e luce bianca da una lampada a tungsteno. Le ordinate rappresentano essenzialmente una quantità che è proporzionale all'integrale
pc(τ)dτ, dove Δτ è una costante. Nella fig. B il largo spettro della lampada a tungsteno porta a correlazioni d'intensità su un tempo così breve da non poter essere misurato. La luce di un laser ideale avrebbe dato una linea orizzontale in ogni istante.
Quanto finora detto vale nell'ipotesi di eseguire l'esperienza considerando i fotoni che arrivano su un'area sul fotomoltiplicatore molto più piccola dell'area di coerenza (al limite fotomoltiplicatore puntiforme) e trascurando il tempo finito di risposta del fotomoltiplicatore stesso e dell'elettronica a esso associato. In casi reali sarà necessario correggere i dati sperimentali tenendo conto delle dimensioni finite del fotomoltiplicatore e del suo tempo di risposta.
Le tecniche di fotoconteggi ora descritte sono entrate nell'uso comune per un gran numero di misurazioni estremamente precise soprattutto in spettroscopia per la misurazione della larghezza di righe. Esse sono, per es., impiegate per lo studio di spettri ottenuti in esperienze di diffusione della luce.
Bibl.: J.R. Glauber, E.C.G. Sudarshan, Fundamentals of quantum optics, New York 1968; M. Bertolotti, Photon statistics, in Photon correlation and light beating spectroscopy (a cura di H.Z. Cummins, E.R. Pike), ivi 1974, pp. 41-74.