TUPPUTI, Ottavio
– Nacque a Bisceglie, in Terra di Bari, il 18 settembre 1789 da Domenico Antonio e da Nicoletta Fiori.
Le biografie sua, del padre e del fratello Riccardo (v. la voce in questo Dizionario) si intrecciano strettamente con le vicende del Regno di Napoli (dal 1816 Regno delle Due Sicilie) tra la fine del XVIII secolo e il 1860.
Il padre, il marchese Domenico Antonio, nato nel 1763, era andriese di origine e proprietario di vasti appezzamenti di terreni; sposatosi con la gentildonna Nicoletta Fiori, si trasferì nella vicina Bisceglie ove pose la sua dimora in un palazzo di pregevole architettura, edificato nel XVI secolo, ma da lui restaurato e decorato. Fu letterato, studioso di scienze economiche, agronomo, e si nutrì di idee repubblicane che gli valsero nel 1794 la condanna a quattro anni di carcere, scontati a Pantelleria. Nel 1799 fu tra i personaggi di spicco della rivoluzione in Terra di Bari. Si mosse tra Andria, Trani e Bisceglie per poi recarsi a Napoli in difesa della città assalita dai sanfedisti del cardinale Fabrizio Ruffo; ma, caduta la Repubblica, fu arrestato e condannato a morte. La pena fu commutata nell’esilio che trascorse in Francia, tra Marsiglia e Parigi, ove pubblicò alcune opere di economia politica che lo introdussero nel mondo culturale della capitale francese. Quando nel 1806 Giuseppe Bonaparte conquistò il Regno di Napoli, Domenico Antonio ritornò in patria, ove fu tra i fondatori della Società di agricoltura di Terra di Bari e socio del Real Istituto di incoraggiamento. Prese parte alla guerra di Spagna (assieme al figlio Ottavio), fu ispiratore e sostenitore del movimento carbonaro nella sua città e nel 1820, nel corso della rivoluzione che aveva costretto Ferdinando I a promettere la concessione di una costituzione, organizzò (assieme al cognato Massimo Fiori) e ospitò nel proprio palazzo di Bisceglie la cosiddetta Dieta delle Puglie che raccolse numerosi esponenti del mondo settario provinciale ivi confluiti per discutere sul tipo di costituzione della quale si doveva dotare il Regno. Repressa la rivoluzione grazie all’intervento di truppe austriache, Domenico Antonio fu costretto nuovamente all’esilio dal quale ritornò nel 1831 a seguito di un provvedimento di amnistia del re Ferdinando II. Trascinò stancamente la sua esistenza tra Bisceglie e Napoli e morì nel 1852.
Ottavio raggiunse il padre e il fratello nell’esilio francese a seguito della partecipazione del primo alle vicende della Repubblica napoletana del 1799. In giovane età si arruolò volontario negli eserciti napoleonici, fu alla battaglia di Jena (14 ottobre 1806), nella campagna di Polonia, nella guerra di Spagna nel 1808, 1810, 1811, in Austria a Wagram (5-6 luglio 1809) ottenendo ovunque attestati per il valore dimostrato nei combattimenti, onorificenze, cavalierati e avanzamenti di grado. Entrò nella guardia imperiale e, nel corso della campagna di Russia, a Vilna (Vilnius) il 12 agosto 1812 si comportò così valorosamente da ottenere la croce della Legion d’onore, il titolo di cavaliere dell’Impero e un’annua pensione. Per la sua audacia e sprezzo del pericolo attirò su di sé l’attenzione di Gioacchino Murat che lo aggregò al corpo di spedizione napoletano che egli capeggiava. Partecipò alla battaglia di Borodino (7 settembre 1812) e compì eroiche imprese nel corso della ritirata riuscendo a tornare a Napoli come caposquadrone di cavalleria negli ussari della guardia e con il grado di tenente colonnello. Non partecipò alle ultime imprese di Murat che portarono alla fine del suo regno a Napoli e, al ritorno dei Borboni, si mantenne in disparte finché il generale austriaco Laval Nugent, comandante dell’esercito borbonico e ministro della Guerra, gli conferì l’incarico di organizzare il reggimento Dragoni Ferdinando.
Prese parte attiva alla rivoluzione del 1820-21 unendo il suo reggimento alle truppe di Michele Morelli, Giuseppe Silvati e Lorenzo de Concilj e sostenendo un combattimento alle porte di Napoli nel corso del quale rimase gravemente ferito. Ripresosi, il 14 ottobre fu promosso colonnello. Quando la rivoluzione fu repressa, ottenne personali assicurazioni di incolumità da parte del vicario del Regno Francesco di Borbone, ma il 10 maggio 1821 fu proditoriamente arrestato nei pressi di Caserta e con gli altri insorti fu sottoposto al giudizio di una Gran Corte speciale che lo condannò a morte con l’accusa di «aver preso, e portato le armi contro il Sovrano, e lo Stato; di aver preso il comando di un reggimento senza motivo legittimo, e senz’ordine del suo vero superiore; di essersi unito ai rivoltosi per cambiare il Governo legittimamente costituito, e di aver facilitato, e favorito il reato di Morelli, e Silvati, ed altri ribelli assenti» (Decisione della Gran Corte Speciale di Napoli specialmente delegata da S.M. (D.G.). Nella causa contro i rivoltosi di Monteforte ed Avellino per la ribellione in detti luoghi nella ribellione scoppiata nel 2 di luglio 1820, Napoli 1822, p. 8). La sentenza fu emessa il 9 settembre 1822, ma il giorno dopo, con provvedimento di grazia che eccettuava però Morelli e Silvati, la condanna a morte fu commutata in quella dell’ergastolo da scontarsi nel penitenziario di Santo Stefano.
Vale la pena menzionare la storia, riportata da Pietro Colletta e ripresa dai biografi di Tupputi, che vide a protagonista la sua promessa sposa, la marchesa di Misuraca la cui madre era dama di corte, che chiese la grazia per Ottavio rivolgendosi direttamente a Lucia Migliaccio, principessa di Floridia e seconda moglie del re Ferdinando. Questa la impetrò al marito, che già aveva l’intenzione di concederla, e la ottenne. La notizia della grazia giunse quando i condannati a morte erano già nella cappella della Vicaria riservata a coloro che dovevano essere giustiziati e la donna, che aveva gridato sotto le mura del carcere la concessione della grazia regia nella speranza di essere udita e che aveva impetrato le guardie di comunicare la lieta notizia ai condannati, ebbe un malore che ben presto la portò alla morte.
Ottavio riottenne la libertà con indulto sovrano nel 1831 e tornò a Bisceglie ove si sposò nel 1835 con Almerinda Schinosa, di venti anni, appartenente all’antico patriziato cittadino, con la quale ebbe dodici figli, tre dei quali sarebbero morti nel terremoto di Casamicciola del 21 luglio 1883. Continuamente importunato dalla polizia che lo teneva sotto stretto controllo, anche con rudi perquisizioni domiciliari, trascorse nella sua città gli anni Trenta e Quaranta e nel 1848, quando scoppiò la rivoluzione in Sicilia e i moti si propagarono a Napoli costringendo il re Ferdinando II a promulgare la costituzione e a istituire un Parlamento nazionale formato dalla Camera dei pari (di nomina regia) e da quella dei deputati, a Ottavio fu offerta la paria che egli rifiutò. Partecipò, invece, all’elezione dei centosessantaquattro deputati e risultò eletto tra i tredici che costituivano la delegazione di Terra di Bari. Fu tra i più assidui partecipanti alle sessioni parlamentari e fu componente di alcune commissioni, fra cui il Comitato di sicurezza che doveva proteggere il Parlamento dopo la tragica giornata del 15 maggio che aveva visto le truppe svizzere al servizio del re scatenarsi contro i patrioti e contro molti civili inermi.
Quando il re riprese il controllo della situazione e mise in mora la costituzione che aveva concesso e sciolse il Parlamento, sull’intero Paese si abbatté una feroce repressione. Ottavio, condannato a morte, si spostò a Bari da dove riuscì a fuggire a Corfù. Trascorse altri undici anni della sua vita in esilio tra Malta, Parigi, Torino e Firenze – tradizionale e accogliente sede per molti esuli napoletani – per ritornare in patria solo allorquando Francesco II, a spedizione dei Mille ormai iniziata, emanò il 25 giugno 1860 l’Atto sovrano, che ripristinava la costituzione del 1848, preceduto da un’amnistia per i condannati politici che consentiva loro il rientro nel Regno.
Giunto a Napoli e crollato il Regno delle Due Sicilie, Tupputi ebbe da Giuseppe Garibaldi il grado di tenente generale e il compito di organizzare la guardia nazionale nell’ormai ex capitale.
Iniziata nel 1861 la terza legislatura del Regno d’Italia, Ottavio partecipò all’elezione per la Camera dei deputati ottenendo 369 voti dai 585 votanti (su 884 elettori) del collegio di Molfetta (comprendente anche Bisceglie e Giovinazzo) e superando il candidato molfettese Vito Fornari ma, nominato senatore dal re, optò per quest’ultima carica.
Fu quello nel Senato del Regno l’ultimo incarico della sua avventurosa vita, anche se per le sue fragili condizioni di salute non riuscì a raggiungere Torino e a prestare giuramento nelle mani del re.
Morì a Napoli il 7 gennaio 1865.
Negli ultimi anni aveva ricevuto ulteriori riconoscimenti da parte di Vittorio Emanuele II per il patriottismo dimostrato nel corso della sua vita e per il quale aveva subito due condanne a morte e trascorso lunghi anni in esilio. Anche il principe Girolamo Bonaparte, nipote di Napoleone e marito di Maria Clotilde di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele II, nel suo soggiorno napoletano lo aveva voluto premiare, per conto del cugino, l’imperatore Napoleone III, come eroico sopravvissuto della Grande armée. Napoli lo ricordò con un’epigrafe di Paolo Emilio Imbriani murata all’ingresso della chiesa di S. Francesco, con una lapide sulla sua casa, con un monumento a Poggio Imperiale e con l’intitolazione di una caserma a Pizzofalcone.
Più sobria Bisceglie che soltanto nel 1911, in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia, dedicò al suo illustre concittadino un busto bronzeo; Raffaele de Cesare pronunciò un vibrante discorso, Mauro Terlizzi pubblicò per l’occasione una monografia e Giovanni Pascoli dettò il testo di un’epigrafe, mai scolpita, destinata a essere apposta all’ingresso del palazzo di famiglia.
Fonti e Bibl.: Atto di accusa nella causa degli avvenimenti politici del 15 maggio 1848, Napoli 1851, passim; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli. Dal 1734 sino al 1825, Torino 1852, passim; Atti del parlamento italiano, Sessione del 1861, Discussioni della Camera dei Deputati, Torino 1861, ad ind.; P.E. Imbriani, Parole epicedie pel generale O. T. senatore del Regno, Napoli 1865; M. Terlizzi, Elogio funebre del marchese O. T., Napoli 1865; A. Vannucci, I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848, Milano 1872, ad ind.; G.C. Berarducci - V. Bisceglia, Cronache dei fatti del 1799, Bari 1900, ad ind.; G. De Mayo, Cavalieri italiani. Il tenente generale marchese O. T., Roma 1907; G. Beltrani, In onore di O. T., in Rassegna pugliese di scienze lettere arti, XXIV (1908), pp. 149-152; M. Terlizzi, O. T., Trani 1911; Commemorazione di O. T. XII novembre MCMXI. Il discorso del senatore de Cesare, in Rassegna pugliese di scienze lettere arti, XXVI (1911), pp. 349-357; A. Lucarelli, La Puglia nel Risorgimento, I-IV, Bari-Trani 1931-1953, ad indices; N. Cortese, Costituenti e costituzioni italiane del 1848-49, I-II, Napoli 1951, ad ind.; G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, II, Dalla Restaurazione alla Rivoluzione nazionale 1815-1846, Milano 1978, ad ind.; M. Cosmai, Bisceglie nella storia e nell’arte. Vita di un comune pugliese, Bari 1982, ad ind.; A. Lepre, Storia del Mezzogiorno d’Italia, II, Dall’antico regime alla società borghese (1657- 1860), Napoli 1986, ad ind.; C. Lodolini-Tupputi, Il Parlamento napoletano del 1848-1849. Storia dell’istituto e inventario dell’archivio, Roma 1992, ad ind.; A. Spagnoletti, Storia del Regno delle Due Sicilie, Bologna 1997, ad ind.; O. T. Avvenimenti politici a Bisceglie dal 1820 all’Unità d’Italia, a cura di G. La Notte - M. Ingravalle, con prefazione di G. Liberati, Molfetta 2002; Camera dei Deputati, Portale storico, https://storia.camera. it/deputato/ottavio-tupputi-17890918#nav.