TRONSARELLI, Ottavio
– Nacque a Roma intorno al 1586, ultimogenito di Antonio e di Chiara Diaz Radice.
Il padre, nato a Gallese (1527/1528 circa) da padre francese, visse fin dalla prima infanzia in Roma; sposatosi nel 1573, ebbe altri tre figli: Vittoria (1574 circa), Pier Francesco (1579 circa) e Orazio (1584). Di agiate condizioni economiche, visse con la famiglia in una casa in piazza di S. Pantaleo. Noto collezionista di oggetti preziosi, gioielli, medaglie, monete antiche, statue, busti e vasi di marmo e bronzo, dipinti, ma soprattutto disegni e incisioni, morì in Roma nel 1601.
Altri membri della famiglia ebbero cariche di rilievo nella prelatura: lo zio Antonio Diaz fu nunzio apostolico a Salisburgo e a Napoli, e dal 1616 vescovo di Caserta. Il fratello Pier Francesco, formatosi nell’ambiente degli oratoriani romani, fu vicario di Giovenale Ancina, vescovo di Saluzzo; alla morte di questi (1604) si trasferì a Bologna, entrando nella cerchia dell’arcivescovo Alessandro Ludovisi, poi papa con il nome di Gregorio XV (Erythraeus, 1648, p. 148).
Stando al medaglione biografico che gli dedicò l’Eritreo (1648), principale fonte della sua biografia, Tronsarelli studiò al Collegio Romano, dove ebbe maestri del rango di Famiano Strada, Bernardino Stefonio e Terenzio Alciati, fondamentali nella sua formazione letteraria e teatrale, oltre che per l’erudizione classica. Laureatosi in utroque iure, esercitò la professione legale, ma fin da giovane coltivò uno spiccato interesse per le lettere. Un suo distico latino fu inciso in un’epigrafe nei pressi di S. Giovanni dei Fiorentini a ricordo dello straripamento del Tevere del 1599 (Franchi, 2009, p. 1917). Fu membro di varie accademie romane, tra cui gli Umoristi, dai quali si distaccò per entrare negli Ordinati, che si riunivano presso il cardinal Giovan Battista Deti, poi nei Desiosi, e più tardi negli Sterili (per rapporti con altre accademie, cfr. Terzaghi, in Intrecci virtuosi, 2017). Fu in amicizia con Giovan Battista Marino, conosciuto a Roma probabilmente nella cerchia del cardinal Pietro Aldobrandini. Allo stile e alla figura del celebre poeta restò legato per tutto il corso della vita, anche quando, agli inizi del pontificato di Urbano VIII, si instaurò un clima decisamente avverso alla poetica marinista. A detta dell’Eritreo, Marino avrebbe suggerito a Tronsarelli di tessere un componimento drammatico sul soggetto di Dafne, forse traendolo dall’omonimo idillio della Sampogna. Nondimeno, Scipione Errico nelle sue paradossali Guerre di Parnaso (1643) lo schierò, con Gabriello Chiabrera, in testa all’esercito dei poeti incaricati di debellare Marino (ed. a cura di G. Rizzo, Lecce 2004, pp. 50 s., 70 s.).
Poco prima che L’Adone di Marino fosse messo all’Indice (febbraio 1627), Tronsarelli scrisse La catena d’Adone, «favola boschereccia» tratta dall’episodio della maga Falsirena che, invaghitasi del giovane cacciatore, lo imprigiona legandolo con una catena incantata (canti XII e XIII del poema). Il cardinale Ippolito Aldobrandini ne avrebbe affidata la composizione musicale a Sigismondo d’India, allora al servizio del cardinale Maurizio di Savoia: ma il musicista siciliano avrebbe rinunciato per via di un’indisposizione (Reiner, 1968, pp. 248, 256; cfr. la lettera del compositore al marchese Enzo Bentivoglio, 2 settembre 1627, in Fabris, 1999). Il libretto fu dunque posto in musica da Domenico Mazzocchi, allora al servizio di Aldobrandini (nella citata lettera D’India dichiara di aver dovuto comporre daccapo la parte di Adone per il castrato Lorenzino Sances; cfr. Morales, 2019, pp. 445-447), e fu rappresentata il 12 febbraio 1626 nel palazzo del marchese Evandro Conti sotto la protezione del principe Giovan Giorgio Aldobrandini, fratello del porporato. Per prevenire le possibili critiche circa la scelta del soggetto, Tronsarelli – in aggiunta alle numerose edizioni del libretto – pubblicò l’Argomento della Catena d’Adone favola boscareccia [...] ordinata dal sig. Francesco de Cuppis (Roma 1626), comprensivo di una Allegoria moraleggiante poi ripresa in calce alla partitura stampata (Venezia 1626), dedicata al duca Odoardo Farnese. Sul piano drammaturgico-musicale La catena si differenzia dai precedenti modelli, soprattutto fiorentini, per la presenza di numerose «mezz’arie sparse nell’opera che rompono il tedio del recitativo» (così il compositore in fondo al sommario delle «arie e chori a varie voci» nella partitura a stampa).
Dato il rango sociale della famiglia e le agiate condizioni economiche, Tronsarelli non ebbe mai necessità di mettersi al diretto servizio di un padrone. Intrattenne nondimeno intensi rapporti con le famiglie dell’aristocrazia romana, riuscendo così a entrare nei principali consessi accademici cittadini; questa sua attività è testimoniata in numerosi componimenti poetici, in parte dati alle stampe nelle Rime (Roma 1627). Su questo versante della sua produzione spiccano le singolari Favole (1626), dedicate al cardinale Maurizio di Savoia, esemplificative di un genere poetico coltivato nell’accademia promossa dal porporato, i Desiosi, il cui statuto prevedeva che in ciascuna tornata quattro accademici portassero «quattro favole di senso nobile e recondito, con allegoria tale che non sia stiracchiata e che abbia seco moralità» (Merolla, 2008, p. 54). Negli anni Venti il poeta si affermò come autore primario nel campo della poesia drammatica. Lo dimostra la silloge dei Drammi musicali (Roma 1631), in cui raccolse trentadue componimenti per musica, stilati nel corso del decennio precedente, quali drammi (favole pastorali o boscarecce, e drammi sacri), cantate dialogiche di soggetto profano, sacro, morale e spirituale, e due «recitativi per musica».
I riferimenti allegorici e araldici nei testi, come pure le dediche, consentono d’individuare gran parte dei committenti dei drammi e degli altri componimenti, e in qualche caso di collocarli cronologicamente: Il ritorno d’Angelica nell’India, posto in musica forse da Stefano Landi, fu con ogni probabilità eseguito nel Carnevale 1623 per i novelli sposi Niccolò Ludovisi, nipote di Gregorio XV, e Isabella Gesualdo, che aveva portato in dote al marito il principato di Venosa (già l’anno prima due componimenti di Tronsarelli erano apparsi in una collettanea epitalamica curata da Giovanni Luigi Valesio). Alla committenza del cardinale Maurizio sono da ricondurre Il ballo de’ segni celesti, in onore del duca Vittorio di Savoia, e La mensa di Nettuno, rappresentati negli anni 1625-26. A quell’epoca risalgono anche La danza di Diana, ambientata ad Ariccia e scritta probabilmente per il principe Paolo Savelli, feudatario del luogo, e L’età dell’oro, dedicata al principe Michele Peretti Damasceni. Per le nozze di Taddeo Barberini e Anna Colonna fu composta la cantata dialogica La sirena, probabilmente eseguita a Castelgandolfo nell’ottobre del 1627 per un banchetto offerto da Urbano VIII, zio dello sposo. Su commissione del cardinale Ippolito Aldobrandini fu composta la cantata dialogica Belvedere, eseguita nell’omonima villa di Frascati per la visita di Ferdinando II, granduca di Toscana, nel marzo del 1628. Allo stesso cardinale si deve probabilmente la committenza del dramma sacro Faraone sommerso, eseguito nel 1628 nell’arciconfraternita di S. Maria dell’Orazione e Morte, di cui il porporato era protettore. Per il cardinale Francesco Barberini compose il dramma Marsia, posto in musica probabilmente da Giovanni Girolamo Kapsperger ed eseguito nel 1628 nel palazzetto Sforza alle Quattro Fontane. Ancora ai Barberini è legata la cantata Preneste, scritta nel 1629-30 in occasione dell’acquisto del feudo di Palestrina (l’antica Preneste) da parte di Carlo Barberini, fratello di Urbano VIII. Per le nozze fra il nobile genovese Giovanni Andrea Doria e Maria Polissena Landi, principessa di Val di Taro, scrisse il Fetonte, dramma messo in musica da Kapsperger, che nel 1630 ne pubblicò la partitura a Roma presso Paolo Masotti (perduta; cfr. Allacci, 1633, p. 159). Al cardinale Scipione Borghese è infine dedicato il dramma Minoe.
La poesia drammatica di Tronsarelli è intrisa di riferimenti storico-mitologici tratti dalla letteratura classica, ingegnosamente intrecciati per creare nessi allegorici con la storia delle famiglie committenti o dedicatarie. La produzione drammatica del poeta sembra tuttavia arrestarsi negli anni Trenta, in concomitanza con l’ascesa dei drammi musicali di Giulio Rospigliosi e l’eclissi dei soggetti mitologici, avversati dal pontefice regnante. Tra i componimenti pubblicati nei Drammi musicali vanno pure segnalate le cantate dialogiche La figlia di Iefte e L’essequie di Christo, che possono essere considerate tra i primissimi esempi del nascente genere dell’oratorio.
Tronsarelli diede alle stampe, in Roma, altre raccolte poetiche, quali La gara delle tre dee (1632; raccolta di rime con un’appendice di Praefationes di Claudio Claudiano volgarizzate) e L’Apollo (1634; componimenti per musica dedicati ai due Savoia), e due poemi eroici, II Costantino (1629) e, preceduta da un Discorso sopra l’onestà del poema eroico, La vittoria navale (1633), incentrata sulla battaglia di Lepanto: su di essi spese fervide parole d’elogio Marino (Riga, 2017, pp. 139 s.). La sua produzione poetica riflette una nitida padronanza della cultura classica, gli interessi per la pittura e la scultura nonché l’erudizione storica e antiquaria. I contatti personali con il mondo dell’arte emergono dai versi che omaggiano celebri pittori e scultori, tra cui il Caravaggio, il Domenichino, il Cavalier d’Arpino (lo scenografo della Catena d’Adone), il Grechetto, Giovanni Baglione, Astolfo Petrazzi e Francesco Mochi, e ne descrivono talvolta in forma ecfrastica singole opere. Fondamentale fu l’apporto di Tronsarelli alle Vite de’ pittori, scultori et architetti di Baglione (Roma 1642); benché il critico Giovanni Pietro Bellori riducesse l’intervento del poeta all’avere «distese le vite con le cognitioni et sensi del Baglione» (cit. in Terzaghi, in Intrecci virtuosi, 2017, p. 222), sminuendone così l’autorevolezza in campo artistico, la critica più recente ne ha evidenziato la competenza e i «gusti artistici abbastanza indipendenti» da quelli dell’autore en titre (ibid., p. 223; Terzaghi, 2016, p. 152). Tronsarelli ricevette in dono da Baglioni due suoi dipinti: una Allegoria della Pittura con la Poesia e la Musica e un Ercole al bivio (Carminati, 2011, p. 140). Recenti studi storico-artistici hanno constatato come le descrizioni poetiche di taluni soggetti mitologici o epico-cavallereschi elaborate da Tronsarelli nei suoi drammi abbiano offerto particolari spunti iconografici ai pittori del tempo, com’è stato mostrato, ad esempio, per Eco e Narciso e Rinaldo e Armida di Nicolas Poussin (Unglaub, 2006).
Tronsarelli mantenne pure intensi rapporti con eruditi, antiquari e collezionisti romani. Lo provano, tra l’altro, le collaborazioni ad alcune opere di carattere storico: nel 1634, in appendice al Ristretto dell’historie del mondo di Orazio Torsellino, pubblicò il saggio Le grandezze dell’imperio romano cavate da Giusto Lipsio e da altri autori, una sorta di guida del mondo antico con cenni storici su istituzioni, costumi, architetture ed esempi di virtù (Federici, in Intrecci virtuosi, 2017, p. 229). Compilò molte voci per i Ritratti et elogii di capitani illustri che ne’ secoli moderni hanno gloriosamente guerreggiato editi da Filippo De Rossi (Roma 1646). Collaborò poi ad altre opere di erudizione antiquaria, venendo in aiuto agli autori con l’identificazione dei soggetti e con dotte esegesi iconografiche di sculture, bronzi e altre opere d’arte dell’antichità classica. Un contributo rilevante diede negli anni 1644-46 alle Memorie sepolcrali di Francesco Gualdi, un trattato di epigrafia medievale (rimasto inedito) consistente in un repertorio commentato, corredato dalla trascrizione di iscrizioni e da un centinaio di xilografie delle lastre tombali marmoree realizzate tra il XIV secolo e l’inizio del XVI, ancora esistenti nelle chiese di Roma, ma la cui conservazione era pregiudicata dai frequenti rinnovamenti architettonici degli spazi ecclesiali. L’apporto di Tronsarelli all’opera di Gualdi fu determinante: ricevute le xilografie e gli abbozzi dei capitoli con la trascrizione degli epitaffi, il poeta stendeva le sue digressioni, arricchendole con innumerevoli citazioni dai classici latini, che venivano poi incluse nel testo (Federici, in Intrecci virtuosi, 2017, pp. 234 s.).
L’ultimo componimento drammatico di Tronsarelli fu Il martirio de’ santi Abundio prete, Abundantio diacono, Marciano e Giovanni suo figliuolo cavalieri romani (1641). Il dramma sacro fu musicato da Domenico Mazzocchi, amico suo, che glielo commissionò per farlo recitare nella cattedrale della città natale, Civita Castellana. Lo stesso compositore, oltre alla Catena d’Adone, aveva posto in musica tre madrigali su versi di Tronsarelli, pubblicati nei Madrigali a cinque voci (Roma 1638) e nelle Musiche sacre e morali (Roma 1640).
Morì a Roma il 31 agosto 1646 (cfr. Erythraeus, 1648, p. 152, ma con un errore di stampa: 1641). Gli furono tributate solenni esequie, durante le quali il padre scolopio Francesco Baldi pronunciò l’orazione funebre. Tra le opere inedite lasciò una storia della riconquista di Pavia a opera di Carlo Magno (ibid.).
Due drammi di Tronsarelli vennero ripresi, pur modificati e con l’aggiunta di parti comiche, a una ventina d’anni dalla prima versione, dopo la morte dell’autore, in due città dello Stato pontificio: La catena d’Adone andò in scena a Bologna nel teatro Malvezzi nel Carnevale del 1649 (ci fu poi un allestimento a Piacenza, nel febbraio dell’anno dopo); la «favoletta pastorale e tragica» Echo e Narciso, già pubblicata nei Drammi musicali, fu rappresentata a Pesaro nel Carnevale del 1651, come documenta lo scenario stampato per l’occasione.
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