SAMMARCO, Ottavio
SAMMARCO, Ottavio. – Nacque verosimilmente negli anni Sessanta del XVI secolo a Napoli, da Gian Vincenzo, mentre è incerto il nome della madre. Secondo la Biografia universale antica e moderna (1829), essa era Maria dei conti della Genga, di nobile famiglia marchigiana. La notizia, però, non ha trovato finora riscontro documentale.
In realtà, a parte l’identità paterna, tutta la sua vita è avvolta da una fitta nebbia. Il poco che si sa di certo, infatti, si apprende dalla successione feudale di Rocca d’Evandro, di cui Sammarco era barone (Croce, 1913, p. 80), e da un suo scambio epistolare con Tommaso Campanella (Fulco, 1996). Grazie ad altre fonti, comunque, è possibile precisare elementi sui suoi agnati, che contribuiscono a rischiarare anche il profilo dello stesso Ottavio.
Il feudo di Rocca d’Evandro con il villaggio di Camino, in Terra di Lavoro, era stato acquistato nel 1577 da suo nonno, Fabrizio Sammarco (Croce, 1913, p. 80). Questi, a quanto pare, apparteneva a «nobil casa» ed era «uno de’ principali avocati di Napoli», secondo la dedicatoria indirizzata da Tommaso Porcacchi a un altro Ottavio Sammarco, figlio di Fabrizio ma a lungo confuso con l’Ottavio di cui qui si parla, mentre era il fratello cadetto di suo padre (ibid.; le citazioni nella dedicatoria di Porcacchi alla sua edizione di Bernardo Gamucci, Le antichità della città di Roma..., Venezia 1569, p. †3r).
La data d’acquisto del feudo, la dedicatoria di Porcacchi e la dimora napoletana dei Sammarco, inducono a respingere l’ipotesi che egli fosse nato a Rocca d’Evandro (come si legge in Tafuri, 1755, p. 225), poiché è molto probabile che nascesse prima del 1577. Nel 1569, infatti, suo padre Gian Vincenzo doveva essere già in età matura, se suo fratello minore Ottavio era dedicatario dell’edizione di Porcacchi. Tanto più considerando che quest’Ottavio aveva pubblicato a Padova una raccolta di versi nel 1568 (Il Tempio della divina signora Donna Geronima Colonna d’Aragona), nella quale aveva scritto: «Molti anni sono ch’io desidero di mostrare a V. E. l’antica divotione [...] ch’io porto al suo molto valore» (c. a2). Nel 1566, inoltre, egli era in corrispondenza con Paolo Manuzio e di passaggio a Padova. Peraltro, se Fabrizio Sammarco morì nel 1601, lasciando il feudo al figlio Gian Vincenzo, questi morì poco dopo, nell’ottobre del 1608. Circostanza che induce a ritenere che, a quella data, fosse molto in là con gli anni.
Dalla somma di tali elementi, appare probabile che Sammarco nascesse negli anni Sessanta del Cinquecento a Napoli, se non poco prima. Data e luogo peraltro compatibili con una Oratio pro legum laudibus, edita a Napoli nel 1580 (Toppi, 1678, p. 231, la dice scritta «quando era giovane») e verosimilmente sua, poiché se è certo che l’Ottavio qui biografato fu dottore in legge (Fulco, 1996, p. 37), non sembra che lo fosse l’omonimo zio.
Dallo scambio epistolare con Campanella, del dicembre del 1614, si apprende invece che al tempo Sammarco era in prigione a Napoli (pp. 38, 50), per una «persecutione [...] lunga» (p. 53) le cui cause sono, a oggi, ignote. Nella sua missiva egli si dichiarava al filosofo «conosciuto servidor di Vostra Signoria come instromento», nonché «obligatissimo discepolo», pregandolo di elaborare un pronostico per un amico «cavaliero» (p. 50). Prima di fornirgli l’oroscopo, però, Campanella replicò a Sammarco accusandolo di plagio: «Mi fu avisato da certe persone – scrisse – che Vostra Signoria vuol mandare a stampa li Aforismi miei politici come suoi, e che per tali li spaccia per tutta la Vicaria, non meno che faceva in Castel dell’Ovo [...]. Doveva Vostra Signoria [...] commentare detti Aforismi e leggere l’istorie tutte, e Plutarco, e Budino, Aristotile, Platone, e Macchiavello con licenza, et altri che di tale materia scrissero, e difendere le cose mie in che discrepo da loro. E non, senza aver visto nullo di questi libri, solo con finger di voler leggere Aristotile e Tacito, cavar fuori l’Aforismi miei come sue inventioni» (pp. 51 s.). Inoltre, Campanella aggiungeva che «io l’aveva onorato e dedicatoli un libro, pregandolo che lo difendesse e commentasse» (p. 52). Dalla lettera, dunque, si apprende che a un certo punto il filosofo aveva deciso di dedicare al barone i suoi Aforismi politici, composti più di dieci anni prima, incitandolo a studiare la politica per preparare un’apologia delle idee campanelliane. Nel rapporto con Campanella, quindi, affondano le radici dell’interesse di Sammarco verso la politica, la materia che garantirà al suo nome la posterità.
Questi sono i soli documenti noti relativi alla vita di Sammarco. Qualche altro frammento, però, può trarsi dalle opere da lui pubblicate. Se l’Oratio su citata è attualmente irreperibile, nel 1626 pubblicò a Napoli un Discorso politico intorno la conservatione della pace dell’Italia, tradotto in spagnolo l’anno dopo per lo stesso editore (Lazzaro Scoriggio). Il testo era dedicato al principe Luigi Carafa di Stigliano: uno dei principali feudatari del Regno di Napoli, che aveva contribuito a fondare l’Accademia degli Oziosi (Villari, 2012, pp. 180 s.). I rapporti con Campanella e con Carafa, quindi, rivelano l’inserimento di Sammarco nel mondo culturale napoletano; ed è probabile, pertanto, che egli interagisse con l’ambiente degli Oziosi, benché il suo nome non compaia nel parziale elenco dei soci elaborato da Camillo Minieri Riccio (1862). Certo è che Francesco de Pietri, principe dell’Accademia nel 1622-23, appose come revisore il suo si stampi all’opera più importante di Sammarco: il Delle mutationi de’ Regni (Napoli 1628, p. [164]).
L’opera rivela come egli avesse fatto tesoro della lezione del filosofo calabrese, sia perché vi emerge la lettura di tutti gli autori che gli aveva consigliato, sia perché, in filigrana, si scorgono tracce del pensiero dello stesso Campanella. Tra gli autori antichi, accanto a Tacito, non mancano Platone, Aristotele e Plutarco menzionati dal filosofo, affiancati da altri storici dell’antichità come Tucidide, Polibio, Sallustio e Tito Livio. E sebbene tra i moderni sia Guicciardini l’autore più citato, e né Campanella né Machiavelli né Bodin vi siano nominati, occorre evidenziare che essi erano autori messi all’Indice, ma la presenza degli ultimi due è stata messa acutamente in evidenza (Borrelli, 2001, pp. 39 s.), mentre per Campanella il confronto resta da approntare.
Già alcuni calchi lessicali, comunque, sono spie rivelatrici, a partire dall’uso del termine rivoluzioni già tendente al senso moderno di rivolgimenti politici (O. Sammarco, Discorso politico, cit., pp. 16, 26 s., 47; Delle mutationi, cit., pp. 4 s., 96, 111, 127, 138 s.), secondo un uso che si trova precocemente, appunto, in Campanella (cfr. Villari, 2010, p. 66). E laddove Sammarco scriveva che «lo Stato d’un solo p[u]o’ ricever più mutationi che gli altri» (p. 50), è palese la consonanza con gli Aforismi del filosofo, che aveva sentenziato: «Più presto si guasta il monarca che» lo Stato di «molti» (Campanella, 1941, p. 122, af. 94). In realtà, l’esordio stesso dell’opera, nel definire tutti i sistemi politici soggetti a mutamento, dipende sicuramente anche da Campanella (1941, p. 117, af. 86; Delle mutationi, pp. 1 s.). E a ben vedere, in effetti, è il tema stesso delle Mutationi che appare uno sviluppo (anche se in senso più conservatore) dell’ultima parte degli Aforismi campanelliani, dedicata proprio a una serrata casistica delle cause di decadenza e mutamento dei sistemi di governo (pp. 125 s., aff. 104-150). Sviluppo, per esser più precisi, di quegli aforismi (aff. 104-129) incentrati sulla decadenza delle monarchie, che sono ben presenti nel testo di Sammarco. Conseguentemente, si può ipotizzare che il plagio denunciato da Campanella altro non fosse che il perduto Ur-text delle Mutationi. A ogni modo, nell’immediato il testo ebbe un notevole successo: riedito nel 1629 sia a Venezia sia a Torino, l’anno dopo apparve anche a Milano.
Sammarco, tuttavia, non poté beneficiare di tale rinomanza, poiché scomparve poco dopo la stampa del suo libro, prima dell’agosto 1630, quando il fratello Antonio ne denunciò la morte, dicendolo «deceduto senza figli» (Croce, 1913, p. 80).
Secondo la Biografia universale (1829), aveva sposato una Porzia Nobilione, verosimilmente della nobile famiglia di Sorrento, ma è stato impossibile trovare conferma documentale alla notizia.
Fonti e Bibl.: N. Toppi, Biblioteca napoletana, Napoli 1678, p. 231; G.B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, III, 4, Napoli 1755, p. 225; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, 1, Modena 1791, p. 795; San-Marco Ottavio, in Biografia universale antica e moderna, a cura di G.B. Missiaglia, LI, Venezia 1829, p. 22; C. Minieri Riccio, Cenno storico intorno all’Accademia degli Oziosi in Napoli, Napoli 1862, pp. 4 s., 8 s.; B. Croce, Intorno alle «Mutazioni de’ Regni» di O. S., in La Critica, XI (1913), pp. 77-80; T. Campanella, Aforismi politici, a cura di L. Firpo, Torino 1941, pp. 117, 122, 125 s.; E. Nuzzo, I percorsi della «quiete». Aspetti della trattatistica politica meridionale nella crisi dell’«aristotelismo politico», in Bollettino del Centro di studi vichiani, XVI (1986), pp. 8, 11, 20, 25, 67 s.; G. Fulco, Il fascino del recluso e la sirena carceriera: Campanella, O. S. e Napoli in una scheggia inedita di carteggio (dic. 1614), in Bruniana & Campanelliana, II (1996), pp. 33-56; G. Borrelli, Il progetto di O. S.: Machiavelli, Guicciardini e la politica aristocratica, in Machiavelli e la cultura europea del meridione d’Italia, a cura di G. Borrelli, Napoli 2001, pp. 36-47; Id., Tacitismi e scienza politica nel regno di Napoli: Fabio Frezza e Antonio Sammarco, in Tacito e tacitismi in Italia da Machiavelli a Vico, a cura di S. Suppa, Napoli 2003, pp. 93-111; R. Villari, Politica barocca. Inquietudini, mutamento e prudenza, Roma-Bari 2010, pp. 16, 66; Id., Un sogno di libertà. Napoli nel declino di un impero, Milano 2012, pp. 247, 605.