PANTAGATO, Ottavio
PANTAGATO (Pacato, Bagatta), Ottavio. – Nacque a Brescia il 30 luglio 1494 (non, come alcuni riferiscono, il 15 agosto), da una famiglia di umili condizioni. Il cognome era Bagatta, ma si fece chiamare Pacato, nome poi mutato in Pantagato (in greco «tutto buono») dagli amici Guglielmo Sirleto, Paolo Manuzio, Marc-Antoine Muret e da quelli dell’Accademia Romana. Non si conoscono i nomi dei genitori, ma solo quelli di una sorella, Nunziata, nata intorno al 1492, e dei nipoti Marta, Agostino e Giovanni Antonio Rizzardi, che furono i suoi eredi. Da questi dati è possibile identificare la famiglia della sorella con quella del barbiere Bernardo Rizzardi, descritta in una polizza d’estimo del 1534 (Archivio di Stato di Brescia, Archivio storico civico, Polizze d’estimo, b. 233, f. 139).
Le fonti sulla vita di Pantagato sono rare. Oltre alle lettere, il documento più importante per ricostruire la sua biografia è un codice miscellaneo conservato presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano (J.29 inf.), che alle carte 123-169 contiene un’accurata registrazione autografa, in latino, della sua contabilità dal 1517 al 1561, denominata Codex rationum.
Una falsa tradizione vuole Pantagato discepolo, a Roma, di Pomponio Leto, che però morì nel 1498. Più probabilmente, egli seguì gli studi di umanità a Brescia presso i serviti di S. Alessandro, nel quartiere dove risiedeva la famiglia. Lì ebbe l’occasione di seguire i corsi di Diodato Capirola e Fortunato Signoroni, ma probabilmente anche di Giovanni Britannico, noto umanista e membro di un’importante famiglia di tipografi-editori bresciani. Non è dunque un caso che proprio nell’Ordine dei servi Pantagato abbia trovato la propria vocazione.
Nel 1516 abbandonò la città natale e si trasferì prima a Vicenza e poi a Cremona, dove fu ordinato sacerdote nel 1517. Nel 1518 compì il primo viaggio a Roma, dove probabilmente rimase fino al 1520, quando si recò a studiare a Parigi. Giunto nella capitale francese all’inizio di novembre, vi rimase per circa nove anni, godendo del sostegno economico di importanti personaggi locali, tra cui il magistrato e diplomatico Jean de Selve. Dopo essersi addottorato in utroque iure e in teologia, e dopo un periodo di studio del greco, divenne professore di teologia alla Sorbona. A Parigi fu in contatto con grandi umanisti come Guillaume Budé, Giulio Cesare Scaligero, Henri Estienne e Paolo Emili. Non conobbe invece, come egli stesso afferma in una lettera a Onofrio Panvinio, Adrien Turnèbe, così come non ci sono prove della frequentazione, di cui parlano le biografie antiche, del conterraneo Giovanni Francesco Conti da Quinzano.
Tra il settembre e l’ottobre 1529 abbandonò Parigi e tornò in Italia al servizio del cardinale Giovanni Salviati, nipote di Lorenzo il Magnifico. È da ritenere falsa la notizia secondo la quale avrebbe lasciato Parigi su invito del cardinale Antonio Del Monte, protettore dei serviti, e, trasferitosi a Roma, avrebbe ricevuto da Clemente VII una cattedra alla Sapienza. Salviati era stato creato cardinale nel 1517 da Leone X, suo zio, e quindi nominato vescovo di Ferrara nel 1520. I primi contatti tra Salviati e Pantagato risalgono al 1527 a Parigi, in occasione di alcuni incarichi diplomatici affidati al cardinale.
Rientrato nella penisola si stabilì a Firenze, viaggiando molto nell’Italia centrale al seguito di Salviati. Durante questo periodo fu coinvolto nelle complesse vicende politiche che portarono al potere Alessandro de’ Medici, primo duca di Firenze dal 1532 al 1537. Benché Pantagato abbia sempre mantenuto grande equilibrio sulla vicenda e non si sia mai esplicitamente pronunciato, si guadagnò l’ostilità di Cosimo de’ Medici, probabilmente a causa del sostegno offerto da Salviati ad Alessandro. Ciò sembra avergli precluso la via al cardinalato durante i pontificati di Paolo III (1534-49) e Paolo IV (1555-59).
Nel 1537, in seguito all’omicidio di Alessandro de’ Medici e all’ascesa al potere di Cosimo, Pantagato si trasferì a Ferrara, dove rimase fino al luglio 1539 e dove ebbe modo di frequentare Benedetto Accolti, allora arcivescovo di Ravenna. Le notizie secondo cui avrebbe trascorso un periodo al servizio di Accolti sono smentite dal Codex rationum, dal quale si evince, invece, che egli rimase alle dipendenze di Salviati fino alla morte del cardinale nel 1553.
Nel 1539 fece ritorno a Roma, dove rimase fino al 1548. In quell’anno, alla morte di Agostino Steuco, prefetto della Biblioteca apostolica Vaticana, fu tra i candidati alla successione, ma senza esito. Probabilmente a seguito di ciò fu nominato abate dell’abbazia di S. Maria delle Giummare, presso Mazara del Vallo, forse su intervento di Salviati, che voleva garantirgli una stabile rendita. Le prime entrate provenienti dall’abbazia datano al luglio 1548; in questo momento, pare, Pantagato abbandonò i serviti per divenire sacerdote secolare.
Recatosi in Sicilia per prendere possesso dell’abbazia solo verso la fine del 1549, soggiornò nell’isola fino al 1551, quando tornò definitivamente a Roma, dove abitò presso Salviati fino alla morte di quest’ultimo, dal quale ricevette una parte di eredità, non riscossa fino al 1555. Morto Salviati, Pantagato sperava di entrare alla corte del cardinale Reginald Pole, che proprio nel 1555 era rientrato in Inghilterra come legato pontificio. Le sue condizioni di salute, però, gli impedirono la realizzazione del progetto.
Nel gennaio del 1554 passò allora al servizio di Vincenzo De Nobili, ma vi restò solamente fino all’inizio dell’agosto 1556, quando, abbandonato l’incarico, si ritirò in una casa privata. Non trova conferma la notizia, riportata dai biografi antichi, secondo la quale egli avrebbe lavorato al servizio del cardinale Alessandro Farnese, di cui però, probabilmente, frequentò la corte.
Nel 1558 Paolo IV, con la bolla Contra non residentes, intimò a tutti gli ecclesiastici di tornare a vivere nelle proprie strutture di riferimento. Pantagato, ripreso forse l’abito dei servi di Maria, si ritirò presso il convento romano di S. Maria in Via, ottenendo una dispensa che gli permise di non tornare in Sicilia per ragioni di salute. Qualche problema dovette comunque sorgere riguardo alla rendita dell’abbazia, come si deduce da una sua lettera, datata 1° febbraio 1559, a Jean Matal, illustre giureconsulto (Epistolae clarorum virorum, Venezia, G.B. e D. Guerra, 1568, cc. 122v-124r, poi Köln, J. Gymnic, 1586, pp. 217-20). La cosa non dovette avere conseguenze: la rendita non venne mai a mancare.
Pantagato morì a Roma il 19 dicembre 1567. Nel chiostro di S. Maria in Via si conserva la lapide con l’epigrafe redatta da Latino Latini, che lo assistette negli ultimi mesi di vita.
Ben inserito nel clima erudito della cultura curiale romana del pieno Cinquecento, caratterizzata dalla combinazione tra filologia, archeologia, cronologia e antiquaria, fu in contatto anche con gli ambienti accademici e in particolare fu membro, insieme a Claudio Tolomei, Pirro Ligorio e Latino Latini, dell’Accademia degli Sdegnati, un sodalizio fondato da Girolamo Ruscelli e Tommaso Spica all’inizio degli anni Quaranta del Cinquecento. In tale contesto furono concepite le Antichità romane, attribuite a Pirro Ligorio, ma frutto, in realtà, di un’ampia collaborazione all’interno dell’Accademia. A Roma fu in contatto anche con Lilio Gregorio Giraldi, Giovanni Battista Pigna, Vincenzo Maggi, Antonio Agustín, Gabriele Faerno, Lorenzo Gambara, Pietro Vettori, Fulvio Orsini, mentre nella sua terra d’origine mantenne rapporti con il circolo culturale raccoltosi a Lonato intorno a Pier Francesco Zini.
Opere. Pantagato, nonostante la grande erudizione, non pubblicò quasi nulla. Il suo nome compare nell’edizione di Varrone, De lingua Latina (Roma, A. Blado per V. Luchino, 1557). Tracce della sua erudizione emergono anche dalla celebre biblioteca di Fulvio Orsini, nella parte oggi conservata alla Biblioteca apostolica Vaticana. Qui si trovano i quattro volumi di Plinio stampati a Venezia dagli eredi di Aldo Manuzio nel 1536, con postille ed emendazioni manoscritte autografe di Pantagato (Biblioteca apostolica Vaticana, Aldine, III.123-126) e un manoscritto con annotazioni di Antonio Agustín a vari autori classici, nel quale ci sono anche note di Pantagato (Vat. lat. 3391). Tra i suoi scritti si deve annoverare, infine, anche un inedito trattato sulle antiche monete, in passato attribuito a Paolo Manuzio (Vat. lat. 5211), che Pierre de Nolhac ha ricondotto alla sua penna. Le lettere sono edite in A. Soler i Nicolau, La correspondència d’O. P. (1494-1567), Bellaterra 2008.
Fonti e Bibl.: O. Rossi, Elogi historici di bresciani illustri, Brescia 1620, pp. 343-345; G.B. Rufo, Octavii Pantagathi Vita, Roma 1657; L. Cozzando, La fenice de gl’ingegni de suoi tempi, O. P., abate servita bresciano, Brescia 1682; A.M. Querini, Specimen variae literaturae, II, Brescia 1739, pp. 322-328; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, 2, Modena 1778, pp. 227-230; V. Peroni, Biblioteca bresciana, III, Brescia 1823, pp. 26-29; P. de Nolhac, Lettres inédites de Paul Manuce, in Mélanges d’archéologie et d’histoire, III (1883), pp. 267-289; Id., La Bibliothèque de Fulvio Orsini, Paris 1887, ad ind.; W. McCuaig, Antonio Agustín and the reform of the Centuriate Assembly, in Antonio Agustin between Renaissance and Counter-Reform, a cura di M.H. Crawford, London 1993, pp. 61-80; A. Fappani, Enciclopedia bresciana, XII, Brescia 1996, pp. 60 s.; A. Soler i Nicolau, O. P. (1494-1567), humanista del Cinquecento, in Humanismo y pervivencia del mundo clásico. Homenaje al profesor Antonio Fontán, a cura di J.M. Maestre Maestre et al., V, Alcañiz-Madrid 2002, pp. 2279-2284; W. Stenhouse, Reading inscriptions and writing ancient history. Historical scholarship in the late Renaissance, London 2005, sub nomine; G. Vagenheim, Appunti per una prosopografia dell’Accademia dello sdegno a Roma: Pirro Ligorio, Latino Latini, O. P. e altri, in Studi umanistici piceni, XXVI (2006), pp. 211-226; Ead., La critique épigraphique au XVIe siècle. O. P., Paolo Manuzio, Onofrio Panvinio, Antonio Agustin et Pirro Ligorio: à propos des tribus romaines, in Aevum, LXXXVI (2012), 3, pp. 949-968; Ead., Qui a écrit les Antichità romane attribuées à Pirro Ligorio (1512-1583), in Auteur, traducteur, collaborateur, imprimeur... Qui écrit?, a cura di M. Furno - R. Mouren, Paris 2012, pp. 59-68.