MORALI, Ottavio
, Ottavio. - Nacque nel 1763 a Bonate Superiore, presso Bergamo; il nome dei genitori non è noto.
A Bergamo frequentò il collegio Mariano, l’istituzione scolastica religiosa più importante della città, nella quale, secondo Ambrosoli (1826), abbracciò il sacerdozio; non trova però conferma la notizia dell’appartenenza alla Compagnia di Gesù. Per il periodo successivo si hanno informazioni scarse e non sempre documentate: secondo Ambrosoli esercitò l’insegnamento privato a Brescia e a Venezia. Di certo si mantenne in contatto con Lorenzo Mascheroni, già docente presso il collegio Mariano e dall’ottobre 1786 insegnante di matematica all’Università di Pavia, il quale il 3 maggio 1787 gli indirizzò una missiva intestata scherzosamente «Carissimo e stimatissimo giansenista» (Bergamo, Biblioteca civica, Mss., MMB.461, f. 5, c. 1r). Lo stesso anno partecipò con alcuni suoi componimenti lirici, di cui uno in greco antico, a due raccolte d’occasione stampate a Bergamo: in Monacandosi tra le vergini di s. Antonio la nobile damigella contessa Cattina Pesenti de’ conti di Claviano (c. 6r) si trovò in compagnia dello stesso Mascheroni; in La partenza da Bergamo di sua eccellenza n[obil] u[omo] Andrea da Mula applauditissimo podestà (p. 92) è indicato quale «bibliotecario del conte e canonico Camillo Agliardi», un alto ecclesiastico bergamasco.
Nel 1788 era a Brescia, da dove il 2 marzo inviò una lettera a un destinatario ignoto riguardo all’acquisto di manoscritti antichi e moderni, testimonianza della sua passione antiquaria e del gusto per il collezionismo librario, tendenza assai diffusa nell’ambiente colto bergamasco dell’epoca (Bergamo, Biblioteca civica, Specola epistolario, 255-271). Sempre da Brescia, il 18 luglio 1788 e nell’estate 1789 scrisse due brevi epistole in greco antico a Mascheroni (Ibid., Mss., MMB.666, cc. 551-552; MMB.667, cc. 83-84). Questi dati, pur frammentari, evidenziano l’avvio di Morali all’insegnamento e la spiccata propensione per gli studi letterari e filologici. Salvo che per una lettera del 16 febbraio 1791 da Bergamo a un destinatario ignoto (ibid., MMB.558, cc. n.n.), fino al 1797 non si hanno altre notizie: il soggiorno di studio in Francia in questo periodo riportato da Ambrosoli non trova conferme. È però probabile che Morali avesse raggiunto una discreta fama, se Gregorio Fontana, incaricato di proporre riforme per l’Università di Pavia nel 1796-97, avanzò il suo nome come candidato alla cattedra di lingua e letteratura greca; gli fu però preferito il sacerdote Antonio Mussi (Memorie e documenti…, III, p. 193).
Dopo l’ingresso delle truppe francesi nel territorio bergamasco alla fine del 1796, la Repubblica democratica bergamasca, proclamata il 13 marzo 1797, lo vide tra i protagonisti. In occasione dell’innalzamento del secondo albero della libertà il 21 marzo 1797, tenne un acceso discorso, nel quale, dopo aver deplorato la tirannide veneziana che fino all’ultimo aveva tentato di soffocare gli aneliti di libertà del popolo bergamasco, proclamò l’avvento di una nuova epoca che costituiva «il colmo della felicità, […] che vi rimette in possesso de’ vostri naturali, inalienabili, sacrosanti diritti, che vi trasporta dalle fauci atrocissime del dispotismo al caro altare della Patria » (Discorso recitato al popolo sovrano di Bergamo dal cittadino Ottavio Morali all’incontro della piantagione dell’albero di libertà in Borgo S. Leonardo seguita il 1. Germinale anno V repubblicano e I della libertà italiana, manifesto a stampa, Bergamo, Biblioteca civica, Opuscoli, II.407). Circa tre mesi dopo risiedeva a Milano, come si ricava da una missiva spedita a Bergamo il 7 giugno 1797 all’abate Giuseppe Alborghetti, fondatore del giornale Il patriota bergamasco, al quale inviò il suo plauso.
Dopo che la Repubblica bergamasca, il 4 agosto 1797, fu assorbita all’interno della Repubblica Cisalpina con la denominazione amministrativa di Dipartimento del Serio, per effetto della legge del 9 novembre 1797 furono chiamati a rappresentare il Dipartimento all’interno del corpo legislativo della Cisalpina 15 consiglieri, 5 per il Consiglio dei seniori e 10 per quello degli Iuniori. Tra questi ultimi figuravano Morali e Mascheroni. Come consigliere, Morali si distinse per il ruolo svolto all’interno di varie commissioni, prima fra tutte quella sulla Pubblica Istruzione, creata nel dicembre 1797 con il compito di stendere un piano di riforma del sistema scolastico.
I biografi di Mascheroni sono concordi nell’attribuire a lui la paternità intellettuale del piano di riforma, ma anche il ruolo di Morali sembra essere stato importante, visto che assunse quasi sempre il ruolo di portavoce della Commissione, come nella seduta del 18 gennaio 1798, in cui presentò un progetto di riforma provvisorio in 13 punti da introdurre in attesa di quello definitivo (Assemblee della Repubblica Cisalpina…, II, pp. 80-83). Il 16 luglio successivo si discusse la copertura finanziaria della riforma (stimata da Mascheroni in 3 milioni di lire). A fronte di alcuni interventi che invitavano a utilizzare solamente i fondi già a disposizione, Morali sostenne che tali risorse erano assolutamente insufficienti e insieme con Luigi Valeriani propose di destinare a tale scopo i beni nazionali. Il 22 termidoro ottenne l’approvazione di una risoluzione che destinava tali beni primariamente al sostegno dell’istituzione scolastica e per la parte rimanente all’estinzione dei debiti nazionali.
Sospeso il dibattito sulla riforma in seguito ai contraccolpi del colpo di Stato dell’ambasciatore francese a Milano Claude-Joseph Trouvé, tra settembre e novembre la Commissione si occupò dell’ingente patrimonio librario che si stava raccogliendo in seguito alla soppressione di numerose congregazioni religiose e che correva il rischio di essere disperso. Al termine dei lavori preparatori, il 30 novembre 1798 Morali lesse il rapporto di risoluzione, che prevedeva l’istituzione di biblioteche nazionali in tutti i comuni in cui non fossero già presenti e la nomina di delegati col compito di ispezionare le biblioteche conventuali e monastiche soppresse o in procinto di esserlo. I delegati avrebbero dovuto selezionare e dividere i libri «non interessanti la pubblica istruzione» da quelli meritevoli di conservazione, i quali, registrati in un apposito catalogo, sarebbero stati consegnati alla biblioteca nazionale più vicina. Una copia del catalogo, sottoscritto dal delegato e dal bibliotecario, sarebbe stata spedita al ministero dell’Interno a Milano, che avrebbe avuto facoltà di scegliere i pezzi più rari e destinarli alle biblioteche nazionali di Milano, Bologna, Pavia. I libri non descritti nei cataloghi dovevano essere posti in vendita e il ricavato versato alle Biblioteche nazionali per essere destinato all’acquisito delle «migliori opere moderne in ogni ramo del sapere» (Assemblee della Repubblica Cisalpina…, IX, pp. 365-370). Dopo un dibattito protrattosi per vari mesi, il progetto fu approvato con alcune modifiche nella seduta del 20 gennaio 1799 (ibid., X, pp. 10-21).
Con la restaurazione asburgica, alla fine di aprile 1799 Morali si rifugiò a Genova, Nizza e in varie città francesi. Nell’estate 1800, dopo la vittoria napoleonica di Marengo e la formazione della seconda Repubblica Cisalpina, fece ritorno a Milano, divenuta capitale politica e culturale del nuovo Regno d’Italia. Qui fu bibliotecario a Brera, insegnante di lettere greche al liceo S. Alessandro e dal 1801 membro del Magistrato di revisione (Foglio ufficiale…, p. 90 n. 41); in quest’ultimo ufficio fu confermato con decreto del 2 aprile 1803 e una seconda volta con decreto vicereale del 17 luglio 1806 sotto la denominazione più rassicurante di Ufficio della libertà di stampa.
Nell’esercizio della funzione censoria, Morali sembrò dimenticarsi dei suoi trascorsi radicali, per aderire a una concezione del letterato e del suo ruolo sociale «ancorato all’antico» (Berengo, 1980, p. 258), come dimostra la vicenda della legge del 9 maggio 1801, che introduceva nei territori della Repubblica Cisalpina il diritto della proprietà letteraria appartenente al solo autore per tutta la vita e per dieci anni dopo la morte. Nonostante l’impianto legislativo fosse piuttosto fragile, perché in assenza di accordi diplomatici con gli altri Stati italiani non si poteva fornire agli autori alcuna tutela efficace mediante provvedimenti legislativi adottati all’interno di un solo Stato, nel rispondere al ministro dell’Interno, che aveva chiesto un parere consultivo, Morali e i suoi colleghi espressero forti riserve sulla tutela del diritto d’autore. Il suo limite maggiore, a loro giudizio, consisteva nel sottoporre a tutela giuridica ogni genere di libri, tanto buoni quanto cattivi, favorendo in questo modo la produzione di autori privi di talento. La legge avrebbe dovuto valere solo per gli scrittori più validi, in quanto essi «non pubblicano le loro opere per guadagno, ma per acquistare gloria, la quale principalmente in un governo repubblicano conduce agli onori e alle cariche» (ibid.). Tra l’altro, il Magistrato di revisione fu oggetto degli strali polemici di Melchiorre Gioia, che intendeva difendere il suo saggio sul divorzio dalle accuse di corruzione della religione e della morale.
Nello stesso periodo Morali entrò nella redazione della Società tipografica dei classici italiani di Milano, che dal luglio 1802 al 1814 mise in campo una delle più imponenti imprese editoriali del tempo, dando alle stampe ben 249 titoli di classici italiani. Pur essendo tra i collaboratori più preparati, si impegnò in misura limitata all’attività redazionale, curando nel 1804 La coltivazione di Ludovico Alamanni e Le Api di Giovanni Rucellai (di cui riprodusse l’edizione padovana del 1718) e nel 1807-12, in otto volumi, le Opere di Annibal Caro. A margine di questa attività editoriale non mancarono omaggi cortigiani: nel 1807, per i tipi della Stamperia reale, pubblicò una versione con testo a fronte dell’Inno a Giove di Callimaco «nella faustissima occasione del soggiorno in Milano di Napoleone il grande ». L’opera che gli arrecò i maggiori riconoscimenti fu l’edizione dell’Orlando furioso per i tipi dell’editore milanese Giovanni Pirrotta nel 1818. Nella prefazione, dopo aver riepilogato quasi tutte le stampe antiche del Furioso, dimostrando un’informazione bibliografica di prim’ordine, rilevò le «errate lezioni» delle edizioni postume e in particolare le varianti introdotte dai curatori cinquecenteschi. Per la sua edizione si basò su quella ferrarese del 1532, l’ultima rivista dall’autore, ma tenne in considerazione anche quelle settecentesche (Venezia 1730 e 1766; Birmighan 1773) e quella curata per i Classici italiani dall’amico Francesco Reina nel 1812. Il successo dell’edizione fu tale che ebbe otto ristampe fino al 1877, ma soprattutto fruttò all’autore l’ascrizione all’Accademia della Crusca nel maggio 1824.
Tuttavia, il consenso dei dotti non fu unanime nemmeno nella stessa cerchia dei suoi sodali milanesi: l’amico Giulio Ferrario nel 1829 lo rimproverava di aver seguito «troppo ciecamente l’edizione del 1532 non mancante di vari errori tipografici» (p. 121); per non parlare di Vincenzo Monti, che in più d’una occasione lanciò frecciate all’«Infarinato Morali », definendolo in una lettera ad Andrea Mustoxidi del 25 gennaio 1825 «il re dei pedanti» (Epistolario…, VI, p. 81). In questi strali polemici si rifletteva probabilmente anche un giudizio d’altro genere su Morali, passato indenne dal giacobinismo democratico del 1797 al servizio al regno napoleonico a quello dei restauratori asburgici, mantenendo intatte le sue cariche al prezzo di una pesante conversione in senso conservatore e moralista: ciò lo rendeva incline – scriveva Ludovico di Breme il 7 agosto 1816 – ad adeguarsi a «gli schifosi pregiudizi e la tenebrosa ignoranza del paese» (Lettere…, p. 348).
Negli ultimi anni Morali si cimentò soprattutto con lavori di traduzione: per l’editore Vincenzo Ferrario tradusse in italiano la Storia del regno dell’imperatore Carlo Quinto di William Robertson (Milano 1820-21, in 4 tomi), eseguita sulle edizioni in inglese (Londra 1777 e Vienna 1787) e non su quelle in francese, come era avvenuto nelle precedenti stampe italiane, giudicate piene di mende e gravi alterazioni. Per conto della Direzione generale dei ginnasi, dipendente dal governo austriaco, preparò la versione italiana della Crestomazia greca a uso dei ginnasi della Lombardia (Parte I, Milano 1821; Parte II, ibid. 1824), che come tutti i libri di testo del Lombardo- Veneto era stata prescelta dalla Commissione aulica per gli studi di Vienna e imposta d’autorità a tutte le scuole. Morali tradusse dal tedesco un precedente manuale e corredò i passi antologizzati di brevi annotazioni grammaticali e di un ampio glossario. In una nota dell’introduzione della Parte I (p. VII) menziona inoltre un glossario del Furioso di più di 8000 voci, che si accingeva a completare e si riprometteva di consegnare agli Accademici della Crusca affinché ne facessero uso per la nuova edizione del Vocabolario.
Mentre si accingeva a ultimare questa impresa e attendeva a un’edizione critica delle Satire di Ariosto, fu colto da un colpo apoplettico, che nel volgere di pochi giorni lo portò alla morte, avvenuta a Milano l’11 febbraio 1826.
Fonti e Bibl.: Foglio ufficiale della Repubblica italiana contenente i decreti, proclami, circolari ed avvisi riguardanti l’amministrazione, pubblicati nel 1803, anno II con aggiunta di notizie politiche officiali, Milano [1804]; M. Gioia, Memoria al Magistrato di revisione, in Id., Opere minori, IX, Lugano 1834, pp. 261-281; Assemblee della Repubblica Cisalpina, II, a cura di C. Montalcini - A. Alberti, Bologna 1917, pp. 80-83; IX, a cura di A. Alberti et al., ibid. 1940, pp. 365-370; X, a cura di A. Alberti et al., ibid. 1943, pp. 10-21; V. Monti, Epistolario, a cura di A. Bertoldi, IV, Firenze 1929, pp. 304 s.; VI, ibid. 1930, pp. 79- 81; Lettere inedite del Mascheroni e di O. M., in Bergomum, XXXIII (1939), pp. 47-49; L. Di Breme, Lettere, a cura di P. Camporesi, Torino 1968, p. 348; Bergamo, Biblioteca civica, Mss., MMB.558: F. Ambrosoli, Necrologia di O. M., Milano, 23 febbraio 1826 (poi in Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo XVIII e de’ contemporanei, a cura di E. De Tipaldo, II, Venezia 1835, pp. 277-279); G. Ferrario, Storia e analisi e bibliografia dei romanzi di cavalleria e dei poemi romanzeschi d’Italia, II, Milano 1829, p. 120; IV, ibid. 1829, pp. 68, 75, 107, 109 s., 120 s., 273 s., 278; G.B. Zannoni, Rapporti ed elogi di O. M. e di Pietro Ferroni..., in Atti dell’Imper. e Reale Accademia della Crusca, III (1829), pp. 387-390; Memorie e documenti per la storia dell’Università di Pavia e degli uomini più illustri che v’insegnarono, III, Pavia 1878, pp. 192 s.; G. Mazzola, Lorenzo Mascheroni e il Piano generale di Pubblica Istruzione per la Repubblica Cisalpina (1798), in Bollettino della Civica Biblioteca di Bergamo, V (1911), pp. 165-255 passim; G. Agnelli - G. Ravegnani, Annali delle edizioni ariostee, I, Bologna 1933, pp. 218 s., 222 s., 226 s., 231, 233, 238 s., 241, 248; G. Gervasoni, L’ambiente letterario milanese nel secondo decennio dell’Ottocento..., Firenze 1937, pp. 9 s.; Id., La riforma scolastica della Repubblica Cisalpina preparata da Lorenzo Mascheroni, in Atti del XXIII congresso di storia del Risorgimento italiano (Bologna 11-14 settembre 1935), Roma 1940, pp. 181-190; I. Ciprandi - D. Giglio - G. Solaro, Problemi scolastici ed educativi nella Lombardia del primo Ottocento, II, L’istruzione superiore, Milano 1978, p. 93; M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino 1980, pp. 9-21, 164- 166, 258 s., 340-342, 352; S. Parodi, Catalogo degli accademici [della Crusca], Firenze 1983, p. 294; Catalogo delle lettere e delle opere di Lorenzo Mascheroni, a cura di F. Tadini et al., in Bergomum, XCIV (1999), 2-3, ad ind.; G. Albergoni, La censura napoleonica (1802-1814): organizzazione, prerogative e uomini di uno spazio conflittuale, in Istituzioni e cultura in età napoleonica, a cura di E. Brambilla et al., Milano, 2008, pp. 188 s.