CHIARIZIA, Ottavio Maria
Nato a Sepino (Campobasso) il 22 ott. 1729, entrò nell'Ordine dei predicatori in giovane età. Portò a termine il noviziato e i primi studi nel convento di S. Tommaso a Piedimonte d'Alife. Fu inviato quindi a Napoli, ove risiedette per molti anni nel collegio di S. Tommaso, conseguendovi il 22 genn. 1755 la qualifica di lettore; nel 1771 fu creato maestro in teologia. Per diversi anni, sicuramente dal 1775 al 1779, fu quindi a Palermo come teologo e consigliere del viceré Marcantonio Colonna, principe di Aliano. Dal 1780 al 1782, tornato a Napoli, fu vicario della Congregazione di S. Marco dei Gavoti, cui apparteneva.
Mancano notizie sulla sua formazione culturale e soltanto la sua nomina a teologo di un uomo di governo rivela in lui un interesse verso i problemi politico-ecclesiastici, maturato sulla base di una moderata attenzione alla tradizione giurisdizionalistica napoletana, come testimonia il suo primo scritto di rilievo, pubblicato anonimo, i Lamenti delle vedove ovvero rimostranze delle vacanti Chiese del Regno di Napoli, I-II, Filadelfia 1784.
La singolarità dello scritto, uno dei tanti che fiorirono in occasione della controversia tra S. Sede e governo napoletano intorno al diritto di nomina dei vescovi, consiste nel fatto che il C. trascura quasi del tutto un esame delle ragioni giuridiche delle due parti; la sua preoccupazione è un'altra: la considerazione del danno religioso, ma soprattutto morale, quindi sociale, prodotto dalle sedi vacanti. L'assenza dei vescovi - secondo il C. - ha favorito il diffondersi dell'irreligione, cui bisogna porre rimedio; nei primi tempi della Chiesa, il vescovo era eletto dal clero e dal popolo; ora è impossibile tornare indietro, la disciplina ecclesiastica è variabile; l'importante è scegliere buoni vescovi e nell'attuale circostanza, dati i contrasti tra il papa e il sovrano, si potrebbe pensare a una futura riforma dei metodi di scelta, intensificando la frequenza dei sinodi diocesani, sia per permettere ai vescovi una più profonda conoscenza della diocesi sia per porre in vista "i soggetti degni di essere eletti vescovi". In questo caso potrebbero essere gli stessi vescovi a compilare un elenco dei soggetti adatti, grazie al quale il papa e il sovrano "sarebbero facilitati nel trovare una comune intesa sui candidati" (I, p. 64). Frattanto bisogna trovare unasoluzione urgente per frenare la corruzione dilagante, fomentata dai "libercoli di scelerati e infami Scrittori, ne' quali si fa orribile strapazzo di quanto vi ha di decenza e di decoro, di sacro e divino in Cielo, e in Terra" (I, p. 196). Il C. crede all'esistenza di un "progetto filosofico" contro la Chiesa e lo Stato; il sovrano stia attento: solo la religione "ha consolidato l'autorità de' moderni governi, ed arrestato il corso alle frequenti rivoluzioni" e più di ogni altro strumento repressivo è in grado di mantenere a freno gli uomini "Co' suoi dogmi dell'immortalità dell'anima, e de' premj, e delle pene future" (I, p. 223). In caso estremo di necessità, per il bene comune, se nessun altro vi provvede - conclude il C., richiamandosi a una vecchia "consulta" di Gaetano Argento -, dovrà essere il sovrano in qualità di protettore della Chiesa a nominare i vescovi.
In un momento in cui Napoli era inondata di libelli violentemente anticuriali, l'opera del C. venne accolta come "cosa molto rara nel tempo corrente" (Arch. Segr. Vat., Napoli 307, f. 51) dall'inviato straordinario pontificio, Lorenzo Caleppi, cui l'autore stesso l'avevaconsegnata perché venisse inviata in omaggio al pontefice. Ma molti concetti e affermazioni in essa contenuti (storicità della disciplina ecclesiastica, moderato giurisdizionalismo, desiderio di riforma dei costumi di un clero giudicato corrotto, ed anche l'eccessiva enfasi nel dichiarare il valore strumentale della religione) suscitarono un'accoglienza fredda a Roma, donde il segretario di Pio VI, Callisto Marini, confessava al Caleppi di non scorgere nell'opera "l'accorgimento del serpente accoppiato coll'innocenza della colomba" e gli raccomandava di "disimpegnarsi coll'autore senza disobbligarlo, se Nostro Signore non può ora rispondergli" (lettera del 23 ag. 1786, in Savio, pp. 26 s.).
Di minor impegno ideologico fu la traduzione delle Recherches sur l'origine des découvertes attribuées aux modernes..., Paris 1766, di Louis Dutens, pubblicata a Napoli in due volumi nel 1787 con il titolo: Origine delle scoperte attribuite a' moderni in cui si dimostra,che i nostri più celebri filosofi hanno attinta la maggior parte delle loro cognizioni nelle opere degli antichi... (seconda edizione, Venezia 1789), cui il C. aggiunse un terzo volume, Tentativo di una transazione tra gli antichi e i moderni intorno alla preminenza sull'invenzione,miglioramento e perfezionamento delle scienze e delle arti..., Napoli 1787, in cui viene smorzata la carica antilluministica del Dutens e in cui, pur nella chiara volontà di rivalutare la cultura tradizionale, è evidente il tributo pagato dall'autore alle idee del secolo "illuminato", quali il concetto di progresso ininterrotto della storia e quello dell'inesauribile capacità della ragione umana.
Nel 1790, il C. era priore provinciale della Congregazione di S. Marco. L'anno successivo trovò il tempo di scrivere un curioso ed arguto pamphlet,Giannone da' Campi Elisi ovvero conferenze segrete tra un savio ministro di Stato e l'avvocato Pietro Giannone intorno ad importantissimi obbietti,che riguardano il ben essere della nazione napoletana, s.l. 1791.
Il C. vi immagina che gli uomini eminenti napoletani dimoranti nei Campi Elisi si riuniscano e decidano di inviare il Giannone presso il ministro di Grazia e Giustizia del Regno, marchese Simonetti, allo scopo di porlo in guardia contro i dannosi effetti che avrebbe potuto avere il contrasto con la S. Sede seguito all'abolizione dell'omaggio feudale della chinea da parte del re di Napoli, di fare il punto sulla precaria situazione interna del Regno e di suggerire quindi i rimedi atti ad impedire la degenerazione politica e morale. Il pensiero del C., dopo lo scoppio della Rivoluzione in Francia, ha compiuto un'ulteriore involuzione in senso reazionario e dimostra come la vecchia tradizione giurisdizionalistica napoletana, se non veniva alimentata dalle nuove idee politiche, finiva per esaurirsi nella vana speranza di ricostituire il blocco repressivo trono-altare; esemplare in questo senso il Giannone immaginato dal C., che confessa di aver disgraziatamente introdottò nell'Istoriacivile "la maldicenza, e 'l disprezzo contra l'Ordine ecclesiastico, e la Corte di Roma" (p. 13), ma accusa i suoi epigoni anticuriali di aver travisato il suo pensiero cogliendone soltanto gli errori. Costoro nelle loro opere trattano di problemi che nulla hanno a vedere colla chinea e i diritti del sovrano, attaccano la gerarchia ecclesiastica sostenendo l'eguaglianza tra i preti e i vescovi e negando il primato di giurisdizione del papa; in tal modo "non vogliono che il Sacerdozio e l'Imperio si comunichino vicendevolmente le loro virtù ed energia, tanto necessaria pel ben'essere dello stato... Dall'avvilimento dell'Ordine Ecclesiastico si va a dirittura allo stabilimento della libertà, edella eguaglianza. Stabiliti una volta questi sacri diritti dell'uomo, e del cittadino, mancar non può di vacillare il Trono, e turbarsi la tranquillità dello Stato" (pp. 157 s.). Per il C. è evidente l'esistenza di una congiura, contro cui è necessario prendere delle severe misure repressive: "far valere l'autorità paterna..., governo istituito dalla natura, prima che vi fossero i Re nel mondo" (p. 228), che deve agire anche con "la sferza e il Castigo" (p. 230); "avvalorare l'autorità maritale" (p. 231); dare a tutti un'educazione rigida "corrispondente al fine dello stato sociale (p. 234); ispirare a tutti il "timor di Dio"; controllare accuratamente la condotta degli studenti di Napoli, con una schedatura presso il cappellano maggiore e l'iscrizione obbligatoria a una congregazione religiosa; istituire rigorosi concorsi per maestri e professori con una selezione rispondente a criteri moralistici; rafforzare la subordinazione del clero ai superiori gerarchici; invitare i vescovi a difendere con la predicazione "i diritti della sovranità assoluta, e che da tutti i Cattolici si sostiene indipendente dal patto sociale, e proveniente a dirittura da Dio" (p. 253).
L'opera trovò il consenso degli ambienti clericali (vedi la rec. in Giornale ecclesiastico di Roma, 5 maggio 1792, p. 67) e una forte opposizione da parte dei regalisti, i quali riuscirono in un primo tempo a farne proibire la vendita (Nicolini, p. 37); ma ben presto la mutata situazione politica generale consigliò il governo di permetterne la diffusione: ne fu fatta una seconda edizione, sempre anonima, e il C. poté rispondere alle critiche mossegli pubblicando la Lettera di un curato provinciale ad uno de' compilatori dell'Analisi ragionata cominciata in Napoli nell'Ottobre del 1791, il quale si è nascosto sotto le seguenti lettere iniziali F.S.P.A., Napoli 1794, in cui lamentava "le nebbie dell'illuminato secolo XVIII, che ha abbacinati gli occhi finanche di coloro, che si spacciano per filosofi, e tali vogliono essere creduti sulla lor parola" (p. 28).
Durante l'occupazione francese, dopo il 1806, il C. fu costretto a deporre l'abito domenicano per la soppressione dell'Ordine nel Regno. Rimase tuttavia legato ai circoli culturali ufficiali, tanto è vero che a spese del Gabinetto letterario di Napoli "con pubblica autorizzazione" pubblicò la sua ultima opera, la Dieta filosofica a fin di arrestare,per quanto è possibile,la Polemarchia, e promuovere l'Irenarchia nell'Europa o sia congresso de' più celebri politici che comparvero nel mondo incivilito sino a noi, per discutere infra di loro in grazia dell'umanità oppressa, se i mali cagionati dalle guerre di tanti anni in tutta l'Europa ammettano alcun rimedio politico, Napoli 1808.
Seguendo un modello caro all'utopismo illuministico, l'opera è un "sogno filosofico". Nella prima parte, dopoché è stato delineato un pessimistico quadro dell'Europa martoriata dalle guerre, si forma l'assemblea dei dotti. È necessario che ogni partecipante, "oltre alla perizia della scienza politica professar debba pubblicamente e senz'alcun equivoco l'esistenza d'un Dio creatore, provvisore, rimuneratore della virtù, punitor del vizio: che creda sinceramente la divina rivelazione già sparsa per tutte le quattro parti del globo, e comune a tutte le sovranità e nazioni europee dal Turco in fuori" (I, p. 56). Sono esclusi in pochi: Machiavelli, "ingegno sublime e di abilità somma" ma "troppo favorevole al governo democratico" nei Discorsi e "maestro di delitti" nel Principe (I, pp. 72 s.); Gregorio Leti; Jean Bodin; Joseph Duguet; John Milton; Giovanni Mariana; Locke; Hobbes e Spinoza. Nella seconda parte l'assemblea discute sull'origine dei mali che affliggono l'Europa e sui principî e mezzi che debbono presiedere alla sua rinascita. La causa della rivoluzione è individuata nella congiura ordita dai philosophes contro il trono e l'altare. Ne era derivata l'anarchia "mille volte più funesta del dispotismo" (II, p. 23); ma se erano crollati i troni, la Chiesa era subito ritornata al suo antico splendore. Per mantenere l'ordine sociale spetta ai sovrani proteggerla; poco invece possono fare i popoli "spettatori, nati per essere uccellati e derisi dai furbi demagoghi" (II, p. 44). Dato il suo giusto posto alla religione, spetta poi alla ragione, l'"oracolo infallibile de' giorni nostri", agire per vincere le passioni degli uomini. È necessaria una doppia pacificazione: all'interno dei singoli Stati e nelle reciproche relazioni tra di essi. Per raggiungere la prima tappa è necessaria un'amnistia totale per i reati politici; e per il futuro non bisogna dimenticare che la libertà "accordata ai popoli ha portato la rovina che si piange tuttora" (II, p. 89). Va quindi restaurata la monarchia assoluta, in cui però il principe "piglia a petto l'interesse nazionale" secondo i dettami della ragione. Sul piano internazionale va costituito un duraturo equilibrio fondato sullo statu quo e su uno stabile sistema di alleanze. Il C. crede che ciò sia agevole nell'Europa continentale, ove l'egemonia incontrastabile della Francia può garantire la pace con la sua forza; più difficile sarà convincere l'Inghilterra, troppo avida di potenza e di ricchezze, a rispettare l'ordine europeo e ad allearsi con la Francia. La ragione comunque addita come unica via di salvezza alle due grandi potenze di "primeggiare l'una in terra, l'altra in mare; ma non già tiranneggiar l'uno o l'altra la terra o il mare; ed allora arriverà al colmo della gloria l'una e l'altra nazione quando potranno esser le mediatrici pacifiche nelle ordinarie emergenze che turbano frequentemente gli abitatori della terra, e i noleggiatori del mare" (p. 321). La proposta politica del C. quindi era ben lungi dal precorrere idee di unità o di federazione europea; al contrario postulava una sorta di santa alleanza da attuarsi mediante la spartizione dell'Europa in due rigide sfere d'influenza.
Dopo il 1815, ricostituito l'Ordine domenicano nel Regno, si ignora se il C. vi sia rientrato. Morì a Napoli il 14 marzo 1824.
Fonti e Bibl.: G. Melzi, Diz. di opere anonimee pseudonime..., II, Milano 1852, pp. 62, 285;F. Nicolini, L'"Istoria civile" di P. Giannone ed i suoi critici recenti..., Napoli 1907, p.37; D. Zangari, Anonimi, pseudomino, eteronomi scrittori calabresi o di opere attinenti alla storia letter. delle Calabrie, Napoli 1930, pp. 30 s.; G. Natali, Il Settecento, I, Milano 1935, pp. 308, 353; L. Marini, P. Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento..., Bari 1950, pp. 177 s.; P. Savio, Dottrina ed azione dei giurisdizionalisti del sec. XVIII, in Archivio veneto, s. 5, LXII(1958), pp. 8, 26 s.; F. Zerella, Un precursore dell'unità europea, in Palaestra, I (1962), pp.306-310;D. Marrocco, P. O. C. O. P. (1729-1824) precursore dell'idea dell'Unità europea, in Memorie domenicane, n. s., XXXIX (1963), pp.26-42; C. Caristia, Riflessi politici del giansenismo italiano, Napoli 1965, pp. 269 s.; R. Ajello, P. Giannone fra libertini ed illuministi, in Riv. stor. ital., LXXXVII(1975), pp. 128 s.