GLORIZIO, Ottavio
Nacque a Tropea, in Calabria, da Giulio, dottore in legge, ascritto nel 1567 al patriziato cittadino per avere ricoperto la carica di sindaco, dopo la chiusura della lista degli eleggibili imposta da Filippo II.
Lo storico V. Capialbi, in un cenno dedicato al G. nell'opera sulla Chiesa tropeana - illustrata con documenti ormai dispersi - scrisse che egli nacque il 26 nov. 1536 e conseguì il dottorato nel 1555. Il Capialbi dedusse quest'ultima data non dagli atti del Collegio dei dottori di Napoli - dove il G. appare essersi laureato nel 1585 - ma dall'epistola dedicatoria, indirizzata al cardinale V. Lauro, premessa al Tractatus de sacramentis e datata 15 marzo 1558: qui il G. scrive di avere composto l'opera all'età di 21 anni, tre anni dopo il conseguimento del dottorato. Tuttavia, molti elementi inducono ad assegnare il Tractatus non al 1558, bensì al 1588: l'anno apposto in calce all'epistola è infatti in palese contrasto con lo scopo della dedica, che celebra la nomina a cardinale del Lauro, avvenuta il 13 dic. 1583 e formalizzata, con l'attribuzione del cappello cardinalizio, il 20 maggio 1585; nel Tractatus, poi, si segnalano molteplici riferimenti alle sessioni 23 e 24 del concilio Tridentino, svoltesi negli ultimi mesi del 1563; infine, nel testo il G. riferisce che il padre, mentre era auditor di G. De Rusticis (vescovo di Tropea tra il 1570 e il 1593) aveva recepito in un consulto una dichiarazione in materia di matrimonio della congregazione del Concilio che era stata sollecitata da G.M. De Alessandris (vescovo di Mileto tra il 1573 e il 1585). Sembra probabile, dunque, che la data apposta in calce alla dedica a V. Lauro sia frutto di un errore tipografico (1558 anziché 1588): se l'ipotesi - non più verificabile su quel che resta dei documenti conservati presso l'Archivio vescovile di Tropea - fosse esatta, ne deriverebbe che il G. nacque alla fine del 1556.
Il Tractatus de sacramentis raccoglie le lezioni che il G. tenne privatamente nei tre anni successivi alla laurea: nell'opera egli si propone di dare ordine alla materia, dopo la revisione del Tridentino. Un altro saggio, sulle Institutiones giustinianee, argomento delle lezioni impartite, sempre in forma privata, nella sua città, rimase inedito. Il G. iniziò la professione forense presso la curia vescovile di Tropea al tempo di G. De Rusticis, e nell'esercizio della sua attività redasse, con il contributo del padre, circa cinquanta consilia, che però non pubblicò. Nel frattempo, pronunciati i voti sacerdotali, fu nominato dal De Rusticis canonico del capitolo della cattedrale con relativo titolo di abate e, tra il 1595 e il 1596, divenne vicario del vescovo T. Calvo, insediatosi nella curia tropiense nel giugno 1593.
Il Calvo, di nobile famiglia messinese a quel tempo nel ceto dirigente cittadino, dovette influire sulla decisione del Senato di Messina di assegnare al G., nel 1597, la cattedra di diritto canonico come ordinario e poco dopo quella di diritto feudale come straordinario, alla riapertura dell'ateneo cittadino, ottenuta con privilegio di Filippo II nel 1591 e con sentenza definitiva della Sacra Rota nel 1596. Con I. Gallo e G. Ferro alle due cattedre di diritto civile, il G. fu chiamato a costituire il primo nucleo di un nuovo corpo docente controllato dal Senato e investito del compito di formare un ceto di giuristi esperti nella tutela dei privilegi cittadini e di funzionari, da destinare alle magistrature locali e centrali, pronti a impegnarsi nella medesima tutela.
Nei primi anni del suo soggiorno messinese il G. mantenne i rapporti con l'ambiente ecclesiastico, svolgendo attività di consulente presso la curia arcivescovile durante il vescovato di F. Velarde de la Cuencha, tra il 1598 e il 1605, e continuando a recarsi a Tropea per assistere alle riunioni del capitolo della cattedrale. Nel 1600 il Calvo gli conferì la prebenda di S. Isidoro ma, ottenuta nello stesso periodo la conferma della condotta di diritto canonico e feudale, il G. decise di porre il proprio sapere giuridico al servizio del gruppo dirigente messinese, dei suoi progetti egemonici sulla feudalità locale e sulle altre città del Regno, delle sue istanze autonomistiche dal governo centrale, divenendone il consapevole strumento.
Il 31 maggio 1601 il G. ultimò la stesura di un commento alla decretale Super literis, tit. de rescriptis (X, 1, 3), che aveva costituito argomento delle ventitré lezioni svolte nell'anno accademico 1600-01. L'opera fu pubblicata due anni dopo (Commentarius in capitulo super literis de rescriptis, Messanae 1603), probabilmente senza subire una revisione, dato che conserva lo stile della lectura e risente della formazione giuridica napoletana del G., come mostrano le frequenti citazioni di M. Frezza, T. Grammatico, R. Maranta, G.T. Minadoi, P. Follerio, P. Caravita, G.V. De Franchis, G.V. D'Anna, dei capitoli e delle prammatiche del Regno di Napoli, del rito della Gran Corte della Vicaria, anche se non mancano cenni a G. Perno, P. De Gregorio, G.A. Cannezio, G. Cumia, e alla recente feudistica siciliana. Più volte è richiamato un saggio (oggi non rintracciabile) dal titolo De probationibus (X, 2, 19), probabile argomento delle lezioni svolte dal G. nei primi quattro anni d'insegnamento. Egli si riprometteva di dare alle stampe l'intero corpus delle sue lezioni accademiche ed è forse per tale motivo che il saggio, benché inedito, si trova citato spesso negli scritti successivi.
Il Commentarius contiene una dedica oltremodo elogiativa ai senatori di quell'anno, alla città di Messina e al suo ateneo. Strenuo difensore della laicità dello Studio e del suo prestigio, quando, tra il 1602 e il 1603, al tempo del viceré L. Suárez de Figueróa duca di Feria, i gesuiti (con il sostegno di alcune potenti famiglie messinesi) tentarono di reinserirsi nell'insegnamento universitario, dopo l'estromissione di alcuni decenni prima, il G. sostenne in un responsum (forse perduto) l'improponibilità di tali pretese, poiché la fondazione dello Studio derivava non già dalla breve stagione del collegio gesuitico di un cinquantennio prima, ma piuttosto dai privilegi concessi da Alfonso V d'Aragona nel 1434, da Giovanni II nel 1459 e dalla loro riconferma nel 1591 per merito di Filippo II.
Nel 1605, il fratello Carlo pubblicò a Messina e a Venezia due commedie composte dal G. a Napoli negli anni giovanili, Impresa d'amore, già rappresentata nell'Accademia degli Amorosi di Tropea nel 1600, e Le spezzate durezze, con dedica al sindaco perpetuo di Messina V. D'Angelica e alla sua potente famiglia feudale di avvocati e funzionari. Le due commedie, che ebbero una buona diffusione tra i contemporanei (una seconda edizione a Venezia, nel 1606, ebbero Le spezzate durezze e, nel 1607, Impresa d'amore), alternano riflessioni di ispirazione platonica e stilemi di gusto umanistico a briosi dialoghi in vernacolo napoletano dal contenuto a tratti licenzioso.
Nel 1607 il Senato invitò il G. a ricoprire la prestigiosa cattedra di diritto civile, vacante da alcuni anni, ma poco dopo ritenne più proficuo impegnarlo in ruoli di rilievo politico e assegnare la cattedra al senese I. Piccolomini. Il 1° genn. 1609, con una Allegatio pro Universitate studiorum Messanae, che si ispirava nel contenuto al precedente responsum dato al tempo del duca di Feria, il G. difese l'attribuzione all'arcivescovo di Messina della carica di cancelliere dell'ateneo dalle nuove pretese dei gesuiti. Il 25 gennaio si recò a Madrid su incarico del Senato e vi rimase fino al giugno 1609 per sostenere le ragioni di Messina di fronte al Supremo Consiglio d'Italia. Il responsum composto per l'occasione fu pubblicato nello stesso anno a Madrid (Pro nobilissima et fidelissima Urbe Messanae in iure responsum, an merum et mixtum imperium casalium Venetici, sit urbis et magistratus Messanae, et an debeant per supremum Italiae Senatum in possessione conservari [Matritii 1609], poi in Responsa, III, ed. 1624).
La missione del G. si dispiegò su tre fronti: ottenere la tutela della piena giurisdizione della Corte stratigoziale sul distretto di Messina, insidiata dalla pretesa dei feudatari locali di esercitare atti di mero imperio; la salvaguardia del privilegio della Zecca che il viceré J. Fernández de Pacheco marchese di Villena aveva tentato di abolire a vantaggio della rivale Palermo; la ridefinizione, su basi tecnico-formali, del controprivilegio, l'atto elaborato in Senato e sottoscritto dalla Corte stratigoziale qualora un provvedimento regio o viceregio fosse stato ritenuto contrario ai privilegi. A tal fine, il G. sostenne la tesi secondo cui la dichiarazione della Corte stratigoziale era da assimilare a una sentenza interlocutoria e rivendicò la natura extragiudiziale dell'atto di controprivilegio, che pertanto non doveva esser subordinato alla citazione delle parti. La questione era stata posta da una lettera reale esecutoriata in Palermo il 26 febbr. 1608 e in Messina nel mese di aprile, che ordinava la previa citazione dell'atto alle parti avverse e al Regio Fisco, allo scopo di rallentarne gli effetti perentori, con rilevanti conseguenze d'ordine pratico.
L'anno seguente, il 18 nov. 1610, il G. compose un responsum per contrastare, con I. Gallo, F. Furnari e M. Giurba, l'ingerenza del potere viceregio sull'elezione dello strategoto, che un privilegio assegnava al sovrano: Pro nobilissima et fidelissima Urbe Messanae in iure responsum, an electio facta per ill.mum et rev.mum d. s.r.e. cardinalem de Oria, pro sua cath. maiestate in hoc Siciliae Regno locumtenentem generalem, de offitio straticoti dicta Urbis, in personam don Caesaris Gaetano marchionis Sortini, sit contra privilegia Messanae, 19 nov. 1610 (poi in Responsa, IV, ed. 1624). Nel 1612 il Senato lo inviò ancora a Madrid per impugnare un provvedimento del viceré P. Girón duca d'Osuna che imponeva una gabella sull'esportazione della seta, la cui produzione, voce essenziale nell'economia messinese, godeva per privilegio di esenzione fiscale. Il relativo responsum, tra i più impegnativi composti dal G., fu pubblicato a Madrid nel 1614: Pro immunitate Urbis Messanae in iure responsum, in quo de immunitatum privilegiis ac de validitate eorumque efficacia adversus obiecta late, faciliter et ordinate disseritur, ita ut nullus remaneat dubitationi locus pro iustitia Messanae, Matritii 1614 (poi in Responsa, I, ed. 1624).
Negli anni successivi il G. continuò a svolgere l'attività di avvocato del Senato e di professore di diritto canonico e feudale, nel 1618 partecipò, come priore del Collegio dei dottori, alla riforma dei capitoli dello Studio. Intorno al 1620 fu insignito del titolo di conte palatino.
Il 1° ott. 1623 completò una silloge dei responsa composti tra il 1608 e il 1621 nell'esercizio della sua attività di avvocato del Senato e di consulente, in parte già pubblicati separatamente ma ora rielaborati con l'aggiunta della dottrina più recente.
La silloge documenta il primo tentativo di proporre a professori di diritto, forensi e funzionari, un'interpretazione sulla natura dei privilegi di Messina, per collocare la materia nell'ambito tecnico-giuridico e sottrarla al dibattito politico - assai vivace in quel tempo -, allo scopo di garantirne una più efficace tutela. Il G. si riconosce debitore di G. Bolognetti che, in una controversia tra Messina e il viceré, aveva difeso con un consilium il diritto della città all'esenzione fiscale sulla produzione della seta in base ai capitoli del Regno, ai suoi speciali privilegi e alla tradizione ermeneutica del diritto comune. Come il Bolognetti, il G. si pone nel solco della feudistica siciliana - che fondava su un presupposto pattizio di natura privatistica il rapporto tra Regno e monarca - sostenendo la vis contractus a titolo oneroso di tale rapporto e la conseguente irrevocabilità degli obblighi assunti dal sovrano. Ma, nell'applicare tali teorie al rapporto monarca-universitates, egli reputa la natura onerosa del contratto trarre prioritariamente la sua ragione giuridica dalla "Teodosiana digna vox" (C. 1, 14, 4) e dalla tradizione interpretativa di indirizzo legalistico dei maestri del Commento, da Cino da Pistoia e Baldo degli Ubaldi a F. Decio. Nel periodo di massima conflittualità tra Messina e i poteri esterni, fu riconosciuto al G. il merito di avere sviluppato ed esaltato le tesi del Bolognetti e di avere conferito certezza e dignità dottrinale a principî divenuti poi dominanti fra i giuristi messinesi del secolo XVII. Le sue teorie furono riprese da M. Giurba, suo successore nella cattedra di diritto feudale - a lui legato da un solido rapporto di amicizia, di scambi culturali e da una sostanziale identità di vedute - e che ne divenne l'interprete più maturo.
Il G. morì a Messina il 29 dic. 1623.
Il volume di Responsa fu stampato a Messina nel 1624: Iuris responsa… pro nobili et fidelissima Urbe Messanae pro tempore edita. In quibus de variis d. Urbis privilegiis praesertim immunitatum et iurisdictionum et eorum interpretatione secundum iuris communis terminos ordinate et faciliter disseritur, ita ut nullus pro viris studiosis dubitationi remaneant locus…, Messanae 1624. Lo stesso anno a Venezia ne furono stampati altri due, composti rispettivamente nel 1619 e nel 1620, che formarono la seconda parte dell'opera; un'edizione completa apparve a Napoli nel 1629.
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