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BAROLO, Ottavio Falletti marchese di

di Giuseppe Locorotondo - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 6 (1964)
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BAROLO, Ottavio Falletti marchese di

Giuseppe Locorotondo

Nacque a Torino il 24 luglio 1753 da Carlo Gerolamo e da Marianna Giuseppina Wicardel di Fleury Beaufort. Portato agli studi, ricevette un'accurata educazione privata, ma frequentò anche le scuole pubbliche e studiò per alcuni anni nella regia università. Nel 1772 intraprese la carriera militare entrando a far parte del reggimento dei Dragoni del duca di Genova, poi reggimento dei Cavalleggeri del re, dove raggiunse il grado di capitano. Ma la vita d'Armi non era fatta per lui; abbandonatala, si dedicò allo studio, alla famiglia e ai viaggi. Nel 1780 sposò Paolina Teresa d'Oncieu di Chaffardon, dalla quale gli nacque due anni dopo Carlo Tancredi, ultimo marchese di Barolo. Nel 1786 fu nominato gentiluomo di camera di re Vittorio Amedeo. Nel biennio 1790-92 compì viaggi di studio per l'italia, e conobbe gli artisti e gli scienziati più illustri del tempo. Segnalato per nome, ricchezze ed ingegno, ricoprì cariche sia durante la prima occupazione francese, sia durante l'occupazione austro-russa: nel 1798 fu membro della municipalità di Torino e nel biennio successivo fu comandante del corpo reale dei volontari incaricati della sicurezza pubblica. Rinnovatosi e consolidatosi il dominio francese, tornò ad aderire al nuovo ordine di cose e ricevette da Napoleone vari incarichi e onorificenze. Sotto il consolato fu membro del cosiddetto "jury per gli studi"; nel 1801 divenne membro della Regia Accademia delle Scienze di Torino, ribattezzata Accademia nazionale, nella quale fu per un decennio direttore della classe di lettere e filosofia. Fu proprio nelle vesti di accademico che incontrò la prima volta l'imperatore. Nel 1805, infatti, guidò una commissione incaricata di offrire a Napoleone, di passaggio a Stupinigi, la presidenza onoraria dell'Accademia nazionale. Entrato nelle sue grazie, venne creato senatore (1806) e conte dell'impero (1808) e alla fine del 1807 fu nominato ufficiale della Legion d'Onore; nel febbraio 1810 ricevette il brevetto di commendatore dell'Ordine della corona di Baviera e nel marzo del 1812 fu decorato della Gran Croce dell'ordine imperiale della Reunione. La caduta di Napoleone lo sorprese all'estero, dove negli ultimi anni si era recato di frequente, visitando la Germania, l'olanda, la Svizzera e soprattutto la Francia, nella cui capitale aveva soggiornato ogni volta parecchi mesi. Tornato in patria, non si mosse più da Torino, dove morì il 29 genn. 1828.

Dotato di buona cultura e di ingegno alacre, il B. prese parte alla vita culturale dei suoi tempi. Socio di varie società "piacevoli", scientifiche e letterarie (per qualche tempo aveva perfino radunato in casa sua l'Accademia Sampaolina), lesse il suo primo lavoro, la vita dell'Abate di Saint-Réal, nella società del conte di San Raffaele (Memorie spettanti alla vita ed alle opere dell'Abate di S. Réal, in Piemontesi illustri, Torino 1787, V, pp. 319422) e pubblicò dotte dissertazioni di critica e di erudizione, di etica e di metafisica negli Atti della R. Accademia delle Scienze (da ricordare Eclaircissements sur plusieurs points concernans la théorie des opérations et des facultés intellectuelles, in Mémoires de l'Académie des Sciences, Littérature et Beaux-arts de Turin, XIII [18031, pp. 60-178). In filosofia si ispirò al pensiero di Locke e di Condillac partecipando ai dibattiti filosofici del primo Ottocento con un'opera - uscita anonima - Aperpus philosophiques (3 voll., Turin 1816-1817), che ebbe una certa risonanza negli ambienti piemontesi. In letteratura, pur schierandosi contro le regole e i precetti e in generale contro la pedanteria (cfr. la sua satira Pedanteofilo. Notizia storica d'incerto autore..: Torino 1809), attaccò lo "sfrenato romanticismo" nella polemica opera Della Romanticomachìa, in 4 libri (Torino 1818), cui rispose il Berchet sul Conciliatore (n. 17 del 29 ott. 1818). Nonostante gli atteggiamenti di disinvolta modernità il B. , fu' essenzialmente, un conservatore (mostrò ad esempio di non comprendere appieno Vittorio Alfieri, del quale si occupò nelle Quattro Lettere al Signor Prospero Balbo rettore dell'Accademia di Torino intorno ad alcune opere postume di Vittorio Alfieri ultimamente stampate, Torino 1809; 2 ediz.,1810) e il suo stile, trovato "dignitoso e leggiadro" dall'Abate Di Breme, era in realtà piuttosto paludato.

Altri scritti, oltre quelli già ricordati, sono L'ombra di Luciano Samosatense, Torino 1818; Peregrinazioni ed avventure del nobile Romeo da Provenza, voll. 2, Torino 1824; Teodoro Callimachi Greco in Italia, voll. 2, Torino 1825.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Carte Alfieri, m. 45/1; Ibid., Istruz. Pubblica, R. Accademia delle Scienze di Torino, M. 2 Opera Pia Barolo di Torino, e. 175, f. 24; C. 209, ff. 9-17; C. 211, f. 37; c. 212, f. 17; Torino, Biblioteca Nazionale, A. Manno, Il patriziato subalpino (vol. dattil.), IX, p. 49; necrologio in La Gazzetta Piemontese, 16 febbr. 1828; T. Vaflauri, Delle società letterarie del Piemont; libri due, Torino 1844, pp. 191, 198, 200, 217, 220; A. Dufour, La famille des Seigneurs de Barol, Turin 1884, pp. 41-43; G. Lanza, La marchesa Giulia Falletti di Barolo nata Colbert, Torino 1892, p. 25; V. Fiorini-F. Lemmi, Il periodo napoleonico (1799-1814), Milano 1918, pp. 412, 893; L. Di Breme, Polemiche, introd. e note di C. Calcaterra, Torino 1923. PI). 156-159 e note relative; G. Fenoglio, Il Palazzo dei marchesi di Barolo, Torino 1928, PI). 45 nota 105, 46, 47, 49, 50; Il paese del Barolo, Alba 1928, p, 39, note 1, 2; R. M. Borsarelli, La marchesa Giulia di Barolo, Torino 1933, PI). 14-16; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento, Torino 1935: passim; Id., I manifesti romantici del 1816, Torino 1951, pp. 410-415, passim; F. Cognasso, Vita e cultura in Piemonte, in Storia del Piemonte, Torino 1961, 11, pp. 690, 691, 697, 699, 713.

Vedi anche
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