COLECCHI, Ottavio
Nacque a Pescocostanzo (L'Aquila) il 3 sett. 1773 da Giovanni Battista Giocondino e da Grazia Nicoletta Spallone, che gli diedero il nome di Ottaviano Francesco. Da uno dei suoi fratelli, Bernardo, nacque nel 1807 Giuseppe che gli fu collega nell'insegnamento a Napoli. Di famiglia appena abbiente e di condizione modesta, il C. manifestò sin da giovanissimo una spiccata attitudine sia nei confronti delle discipline umanistiche sia di quelle scientifiche ed in particolare nello studio della filosofia e della matematica acquisì in breve tempo una profondaconoscenza. Orfano del padre quando era ancora adolescente e privato così di qualsiasi sostegno familiare il C. fu avviato, forse per suggerimento di uno zio sacerdote, alla carriera ecclesiastica. Compì i suoi primi studi nel paese nativo e quindi nel 1794 col nome di fra' Tommaso entrò nel convento domenicano di Ortona a Mare dove si addottorò in teologia. Da qui passò negli anni seguenti in altri conventi abruzzesi come a Chieti e a Teramo, divenendo celebre per la sua robusta oratoria sacra.
Il 29 genn. 1807, mentre si trovava nel convento di Francavilla a Mare, il C. subì una perquisizione da parte del regio giudice Ignazio Consalvi, probabilmente di carattere politico.
Poco più che ventenne il C. si era già messo in evidenza nel suo ambiente per le sue alte capacità nelle discipline matematiche e filosofiche ed anche per le sue malcelate simpatie politiche, per la sua tendenza dimostrata nei confronti del movimento liberale, cosa che non mancò di porlo in cattiva luce, allora come in seguito, presso i suoi superiori ecclesiastici.
Nell'agosto del 1809, soppressi gli Ordini religiosi da un regio decreto, il C. tornò a Pescocostanzo in qualità di semplice prete secolare. Ma l'anno seguente si recò a Napoli attratto, come gran parte degli intellettuali meridionali, dal fascino che esercitava su di loro la capitale del Regno. Fu allora che cominciò a pubblicare nella Biblioteca analitica le prime due opere matematiche intitolate Memoria sulleforze vive e, la seconda, Riflessioni sopra alcuni opuscoli che trattano delle funzioni fratte. Il 23 marzo 1811 il C. fu eletto socio della Accademia Pontaniana dove nel maggio lesse la memoria, rimasta inedita, Sul minimo dell'azione. Nel 1812 divenne professore di calcolo sublime al Reale Collegio della Nunziatella.
In questi anni pubblicò altri importanti lavori di matematica che lo resero noto anche in campo internazionale e questo fecondo periodo della sua attività scientifica fu interrotto solo dalla caduta di Gioacchino Murat.
Nel 1815 nel generale disordine e in seguito al mutamento dell'assetto istituzionale del regno meridionale, il C. lasciò Napoli e si rifugiò a Roma, dove nella quiete del chiostro si dedicò di nuovo alacremente allo studio. Nel 1816, dopo una breve dimora a Pescocostanzo, partì per la Russia, inviato lì dalle autorità ecclesiastiche a compiere una missione religiosa e chiamato ad insegnare matematica e filosofia all'università di Pietroburgo.
A questo viaggio fu indotto probabilmente anche per sottrarsi ad un ambiente divenutogli ostile ed incline persino a sospettarlo vagamente di ateismo. A Pietroburgo il C. rimase negli anni 1817 e 1818 onorato e trattato con molti riguardi. Il C. venne nominato anche membro dell'Accademia imperiale delle scienze e della Società degli amici delle scienze, lettere e arti, partecipando alle sedute, e tenne anche numerose lezioni private.
Questa permanenza in Russia ebbe grande importanza ed esercitò una profonda influenza sull'evoluzione intellettuale del C. dal momento che lo mise in contatto con ambienti culturali diversi dalla società napoletana e soprattutto perché, durante il viaggio di ritorno, il C. si trattenne, tra gli altri paesi, in Germania a Königsberg dove apprese il tedesco ed ebbe così la possibilità di studiare, tra i primi in Italia, il sistema filosofico di Kant in lingua originale e in tutte le sue articolazioni nelle numerose opere.
Nel 1819 il C. era di nuovo a Pescocostanzo ed il 10 novembre di quell'anno ottenne con un regio decreto la cattedra di fisica e matematica sublime al liceo dell'Aquila e con decreto del 15 maggio 1820 fu nominato socio corrispondente della Reale Società economica. Ma, quando nel 1820-21 il Regno di Napoli fu travolto dallo scoppio della rivoluzione liberale, nei cui confronti assunse un atteggiamento nettamente favorevole, ilC., al sopraggiungere della reazione restauratrice, fu destituito dal suo insegnamento in quel liceo. Secondo il Falcocchio, che fu suo discepolo e biografo, egli lasciò, invece, di sua iniziativa la cattedra in quanto "inasprito dalle false accuse di alcuni preti che di ateismo il denunciarono". Da questo momento ebbero termine i successi ufficiali del C. il quale, dopo essersi dedicato all'insegnamento privato a Pescocostanzo dal 1821 al '29, l'anno seguente si trasferì a Napoli, rimanendovi gli ultimi diciassette anni della sua vita.
Dopo il fallimento della rivoluzione napoletana del 1820-21, iniziarono periodi molto difficili per i sostenitori delle idee liberali dal momento che la politica reazionaria soffocava qualsiasi impulso innovatore non soltanto nel campo e sotto il profilo politico ma anche e soprattutto in quello culturale ed ideologico ed è noto il disprezzo e la critica astiosa che Ferdinando II di Borbone indirizzava agli intellettuali liberali stigmatizzandoli con l'epiteto poco lusinghiero di "pennaruli".
Il C., che aveva un temperamento aperto e sincero ma intransigente e pieno del senso della sua dignità, trascorse a Napoli anni molto tristi. Questo governo non gli concesse l'autorizzazione a divenire titolare neppure di una scuola privata ed egli dovette ridursi allora, anche per vivere, ad un insegnamento semiclandestino negli istituti privati del nipote Giuseppe, nella scuola di Domenico Abate e poi di Luigi Priore. Verso la fine del 1831 il C. poté riprendere l'insegnamento di belle lettere, filosofia e matematica, ma il 28 settembre 1833 fu destituito dall'insegnamento con l'accusa di ateismo su proposta di monsignor Francesco Colangelo, vescovo di Castellammare e allora ministro della Pubblica Istruzione. Poté in seguito ottenere la revoca del provvedimento sospensivo dell'incarico, forse dopo l'ampia dichiarazione di fede contenuta in alcuni suoi Pensieri teologali.
Condusse tuttavia gli ultimi anni della sua vita in maniera povera e travagliata sino a quando morì a Napoli il 25 ag. 1847, alla vigilia dei moti rivoluzionari del '48. La polizia, che lo aveva vigilato in vita, vietò ai giornali di dare la notizia della sua morte, ma scolari ed amici, tra cui i fratelli Spaventa, trassero occasione dalla cerimonia delle sue esequie per una dimostrazione di significato politico.
Negli anni di permanenza e di insegnamento a Napoli, il C. esercitò un influsso culturale e politico di notevole rilievo sugli intellettuali liberali che si contrapponevano agli studenti "posati e obbedienti", devoti all'"ottimo principe", appartenenti alla scuola privata e pubblica di P. Galluppi contro cui il C. rivolse la maggior parte delle sue critiche in campo filosofico. Il C. fu il punto di riferimento e il maestro di quei patrioti napoletani come L. Settembrini, F. De Sanctis e i fratelli Spaventa e di questa generazione curò la formazione culturale e politica.
Come ha osservato G. Gentile: "gli scrittori di storia politica non debbono trascurare, tra gli elementi onde si formò la coscienza in quel periodo di trepida preparazione, l'influsso edificante della severa morale kantiana" (Storia della filosofia italiana..., p. 147).
Il C. coltivò con risultati ugualmente notevoli tanto la matematica che la filosofia, anzi, a detta dei contemporanei, si segnalò ancora di più in quella che in quest'ultima disciplina. La sua produzione in campo matematico, che era molto estesa ed alla cui pubblicazione egli si era dedicato fin dagli anni giovanili, non èpervenuta fino a noi, cosicché non è possibile determinare la sua statura di matematico per mancanza di documentazione diretta. Sulla concezione filosofica del C., invece, è possibile esprimere una valutazione più precisa poiché possediamo la sua opera speculativa più rappresentativa intitolata Sopra alcune quistioni le più importanti della filosofia,osservazioni critiche (Napoli 1843), che raccoglie articoli in gran parte precedentemente pubblicati nel periodico napoletano Il Progresso e che non è giunta a compimento a causa dell'intervento censorio di Giuseppe Maria Mazzarella, professore di filosofia e ispettore generale della Pubblica Istruzione, il quale negò al C. il visto per la stampa della terza parte dell'opera considerata eccessivamente pericolosa dal punto di vista teologico. L'opera fu dunque pubblicata postuma in forma completa qualche anno più tardi nella rivista Il Giambattista Vico ed è stata ora riedita, a cura di F. Tessitore: Quistioni filosofiche, 3 voll., Napoli 1980 (con nota bibl.).
Il C. iniziò a pubblicare scritti filosofici in senso stretto a partire dal 1836 sul Progresso manifestando quella tendenza al razionalismo che lo fece entrare in polemica vivace con le gerarchie ecclesiastiche alle quali apparve sempre come uno spirito ribelle ed antidogmatico.
Approfondita in modo diretto la conoscenza di tutte le opere di Kant, durante il viaggio di ritorno dalla Russia, il C. divenne subito entusiasta delle sue dottrine. Si impegnò quindi alla diffusione e alla esposizione in Italia del sistema filosofico kantiano, sollevando in tutti i suoi scritti di argomento speculativo rilievi critici ed obiezioni polemiche nei confronti del coscienzialismo di Pasquale Galluppi. Il C. sviluppò una riflessione intensa e approfondita sulla filosofia critica di Kant durante l'intero terzo decennio del secolo XIX. Il C. accetta e fa sua la posizione teoretica kantiana relativa alle due nozioni di spazio e di tempo ritenendole soggettive e in ciò differenziandosi criticamente dal Galluppi. Ed in polemica con il filosofo di Tropea, che per negare la soggettività necessaria della nozione di tempo ricorre al principio psicologico di associazione, il C. osserva che l'associazione non può darci che ciò che è empirico e non è dunque in grado di spiegarci la nozione di tempo infinito. Neppure il concetto di sostanza, secondo il C., ha una origine empirica, come invece pensava il Galluppi, dal momento che noi percepiamo degli oggetti sensibili le sole qualità e mai quel legame per cui le qualità sono connesse. Lo spirito dunque possiede una facoltà di sentire con una disposizione originaria a produrre in occasione degli stimoli esterni le nozioni di tempo e di spazio ed ha inoltre l'intelligenza con le idee di sostanza e di causa che imprimono il carattere unitario al molteplice sensibile. Il C. ammette anche una terza facoltà, la fantasia, intermedia tra il senso e l'intelletto, che ha nello "schematismo" il suo corrispettivo kantiano che però il C. critica perché conduce allo scetticismo. Secondo il C., gli schemi sono utilizzati da Kant per passare dalle categorie agli oggetti empirici, mentre occorre, a suo avviso, prendere le mosse dal singolo e risalire per mezzo delle leggi dell'intelligenza alle categorie. Il suo pensiero teoretico dunque è sostanzialmente mutuato da quello di Kant di cui il C. accetta i tre incondizionali e cioè l'anima, l'universo e Dio, che sono anche per lui le funzioni necessarie della ragione, il cui principio fondamentale è che, dato il condizionale, è data anche la serie intera delle condizioni e per conseguenza è dato anche l'incondizionale compreso nella totalità delle condizioni. Ma il C. si differenzia da Kant sul problema metafisico di Dio perché sostiene la necessità di ammetterne l'esistenza anche per dimostrazione logica e non solo per convinzione relativa alla legge morale. Studiò a fondo anche la Critica della ragion pratica a cui ispirò tutta la sua concezione morale considerando la legge morale come un giudizio sintetico a priori. Come per quel che riguarda la Critica del giudizio quella del C. è la prima e più completa rappresentazione fatta in Italia dell'estetica kantiana. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò anche all'approfondimento culturale dei sistemi idealistici di Fichte, di Schelling e di Hegel che in quegli anni di massima espansione della cultura romantica tedesca polarizzavano l'interesse precipuo degli intellettuali. Di fronte alla filosofia idealistica tedesca l'atteggiamento speculativo del C. fu completamente negativo e di critica serrata. Era proprio in nome e per rispetto del kantismo che egli si oppose alle dottrine di Fichte e di Schelling definendole "due sistemi che disonorano la filosofia". E solo nei confronti di Hegel nell'ultimo periodo della sua vita il C. nutrì una grande stima.
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