BAIARDI, Ottavio Antonio
Nacque a Parma il 10 giugno 1694 dal conte Paolo Camillo, appartenente a famiglia assai legata ai Famese; abbracciò lo stato ecclesiastico nel 1717 e si addottorò nel 1720 in filosofia e giurisprudenza. Mostrava largo interesse allo studio delle antichità, della matematica e dell'astronomia, ma - a quel che poi si vide - amava soprattutto far pompa della sua cultura sugli ascoltatori. Poco dopo lo troviamo a Roma ove inizia la sua catriera ecclesiastica: fu prelato domestico di Clemente XII, protonotario apostolico, referendario delle Due Segnature, consultore dei Riti. Clemente XII, il 16 ott. 1730, ebbe ad Albano un colloquio col B.: questi asseriva di poter sistemare tutta la cronologia ecclesiastica con i suoi quaranta volumi, già pronti (ma che non furono mai pubblicati), sull'argomento. Nel 1731 era ancora a Roma (lettera al marchese A. Capponi: Vatic. Cappon. 277, f. 207). Nel 1733-35 si trovava in Spagna, presso la regina Elisabetta Farnese, per la quale scrisse alcune Laudes della Vergine. Sicuramente nel 1737 era di nuovo in Italia, come risulta dalla dedica a lui dell'Astrosophiae numericae supplementum di A. Capelli. Fu anche governatore di Narni e poi di Benevento (1739-41) per conto della S. Sede, e sembra che reprimesse con accortezza ed energia la sommossa beneventana del 25 genn. 1741 (A. Zazo, Monsignor Ottavio Antonio Baiardi governatore di Benevento e la sommossa del 25 genn. 1741, in Samnium, XIV [1941], pp. 183-185). In questa circostanza, come pure negli anni successivi, il B. dispiegò grande zelo a favore del Regno di Napoli: diede consigli a Carlo di Borbone alla vigilia della battaglia di Velletri (1744) e per l'adesione al trattato di Aranjuez (1745), e, in generale, curò presso la S. Sede gli interessi di Carlo durante la guerra di successione austriaca.
A titolo di compenso Carlo concesse al B. la pensione dell'abbazia di Roccamadore in Sicilia: recatosi a ringraziarlo (giugno 1746), il B., per la gran fama di dotto, ma più forse per l'interessamento di G. Fogliani d'Aragona, suo cugino e ministro di Carlo di Borbone, ebbe l'incarico di illustrare i monumenti di Ercolano che proprio in quegli anni tornavano alla luce.
Il B., al quale non si lesinarono i mezzi, si pose al lavoro tra le gelosie e le invidie dei dotti napoletani: in un primo tempo frequentò abbastanza assiduamente gli scavi, ma poi, specialmente dopo il 1750, diradò di molto le sue visite per non aggravare l'asma di cui soffriva. Lavorava sepolto tra i suoi libri con un ristrettissimo numero di collaboratori, conoscitori magari dell'ebraico e dell'arabo, ma, come lui, del tutto ignoranti di archeologia: per di più il B., attizzando maggiormente l'ostilità dei dotti d'ogni paese, cercava d'impedire che altri pubblicasse alcunché sugli scavi d'Ercolano, riuscendo per es., con l'aiuto di Carlo di Borbone, a ritardare la pubblicazione della Descrizione delle prime scoperte..., di M. Venuti, pronta dal 1747. Alla prova dei fatti il B. si rivelò "il piú insulso e ridicolo uomo che abbia mai lasciato memoria di sé negli atti della scienza" (D. Comparetti-G. De Petra, La villa ercolanese dei Pisoni, Torino 1883, p. 59): infatti i cinque grossi tomi del Prodromo delle antichità di Ercolano (Napoli 1752, ma i tomi III-V, sebbene rechino la data del 1752, furono pubblicati in realtà nel 1756), di complessive XLVIII-2678 pagine, dopo un'introduzione fortemente polemica nei riguardi dei suoi avversari, non contenevano null'altro che discettazioni metrologiche, cronologiche, sui vari Ercoli (greco, egizio, tirio, ecc.) e soprattutto la narrazione verbosa delle prime sette fatiche d'Ercole, eponimo di Ercolano: "Schade um das schöne Papier" notava il Winckelmann (Briefe, I, p. 160).
Via via che uscivano, i tomi del Prodromo suscitavano tra i dotti di Napoli e di tutta Europa, più ancora che delusione, sdegno, sarcasmo e perfino feroci epigrammi: il Winckelmann definì il B. una "stupidissima bestia" ("erzdummes Vieh": lettera del 25 luglio 1755 ad H. D. Berendis, in Ausgew. Briefe, Leipzig 1925, p. 148). Il B. cercò malamente di difendersi sia nel V tomo del Prodromo (pp. 2119 ss.), sia nel primo volume del Catalogo degli antichi monumenti dissotterrati dalla discoperta città di Ercolano (Napoli 1755), in cui, tuttavia, riconosceva che tutto il mondo "grida, strepita, smania" per il ritardo di un'adeguata illustrazione dei reperti archeologici. Comunque B. Tanucci, succeduto frattanto al Fogliani, pensò bene di affidare l'illustrazione dei monumenti all'Accademia Ercolanese, costituita appunto a questo scopo (13 dic. 1755), che di fatto curò i successivi volumi del Catalogo (quello curato dal B. non era che un'introduzione). Il B., pur nominato per riguardo tra gli accademici, comprese che era meglio andarsene, e con una lettera al Tanucci (4 maggio 1756), lagnandosi del proprio stato di salute, promettendo di scrivere altri due tomi del Prodromo (che poi per fortuna non scrisse) e mendicando l'appoggio di Carlo di Borbone per ottenere un beneficio ecclesiastico, chiese il congedo: desiderio che fu prontamente esaudito.
Si ritirò a Roma, ove fu subito preso da un altro grandioso progetto: un compendio di storia universale (Breviarium temporum) in dodici volumi. Credeva di essere già a buon punto essendo riuscito a determinare il sito esatto ove Dio, all'atto della creazione, aveva fissato il sole: questo sito mostrò, infatti, su un globo al Barthélemy che lo visitò sia a Napoli sia a Roma e sembrava ritenerlo superiore alla sua cattiva fama ("... il devroit se contenter de parler et de ne pas écrire. Sans son Prodrome, il seroit plus estimé car il sait et sait beaucoup..."). Da ultimo il B. chiese ed ottenne da Clemente XIII un vescovado in partibus: gli fu concesso l'arcivescovado di Tiro (16 febbr. 1761). Mori a Roma il 7 marzo 1764 e fu sepolto in S. Pantaleo.
Oltre le opere ricordate, e prescindendo da alcune altre minori, il B. aveva stampato, durante il suo soggiorno in Spagna, dedicandole a Elisabetta Farnese, Beatae M. V. sine labe conceptae... panegyricus (Siviglia 1733) e Beatae M. V. sine labe originali conceptae singulis horis dicendae laudes... (Lisbona 1735). Non è sicuro che siano state effettivamente stampate le Lettere erudite al cardinale A. M. Querini, che dovevano pubblicarsi a Napoli nel 1755: comunque sarebbe l'unico volume pubblicato dei sei promessi. Il Barthélemy, che ha lasciato un saporoso quadro del B. (Voyage d'Italie, Paris 1802, pp. 53 s., 125 ss., 312 ss., 409 ss.), ricorda di aver visto presso il B. un trattato sulla filosofia di Newton e numerose poesie latine, inedite, alcune delle quali dovette ascoltare per forza.
Bibl.: La vita del B., se si eccettua il decennio napoletano, è scarsamente nota: si veda soprattutto A. Pezzana, Mem. degli scrittori... parmigiani, raccolte dal p. I. Affò, VII, Parma 1833, pp. 157-165. Sul decennio napol.: G. Castaldi, Della regale Accademia Ercolanese, Napoli 1840, pp. 32 s., 91 s.; F. Barnabei, Gli scavi di Ercolano, in Mem. d. Accad. d. Lincei, Classe di scienze morali, II (1878), pp. 760 s.; M. Schipa, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, II, Milano-Roma 1923, pp. 42 s., 207, 229, 232 ss., 274; C. Justi, Winckelmann und seine Zeitgenossen, Leipzig 1923, II, pp. 240 s., 248, 394; III, p. 419; E. C. Corti, Untergang und Auferstehung von Pompeji und Herculaneum, München 1944, pp. 157 s., 166 ss.; G. Castellano, Mons. O.A.B. e l'illustrazione degli scavi di Ercolano, in Samnium, XVI-XVIII (1943-45), pp. 65-86, 184-194 (assai ben documentato: vi si tenta una rivalutazione, peraltro impossibile, del Baiardi); J. J. Winckelmann, Briefe, I-IV, Berlin 1952-1957, passim. Sulla sua nomina ad arcivescovo di Tiro v. R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevì, VI, Patavii 1958, p. 423.