GUASCO, Ottaviano (Giovanni Battista Ottaviano, Octave)
Nacque a Bricherasio, presso Torino, il 22 febbr. 1712 da Francesco Bartolomeo, giureconsulto e intendente a Susa, Pinerolo e Asti, e da Maria Anna Margherita Turinetti, dei marchesi di Priero e Pancalieri. Fu secondo di sei figli, tre maschi e tre femmine; i fratelli Giovanni Francesco e Pier Alessandro s'indirizzarono alla vita militare, mentre egli decise di abbracciare lo stato ecclesiastico e dedicarsi agli studi. Prese così gli ordini minori e si addottorò nell'Università di Torino.
Nel 1738 il G., con i fratelli, si trasferì a Parigi in seguito a contrasti del padre con l'allora primo segretario di Stato del re di Sardegna, C.V. Ferrero marchese d'Ormea. Così, a ventisei anni lasciò un ambiente e una corte descritti dai contemporanei come luoghi pullulanti di spie e delatori, per una società e un mondo intellettuale nei quali si andavano elaborando idee audaci e innovative, punto d'incontro per intellettuali, mecenati e dame ma anche per avventurieri e quant'altro, provenienti da ogni angolo d'Europa. In circa trent'anni il G. avrebbe imparato a conoscere a fondo entrambi gli aspetti.
Fino almeno al 1751 egli ("poco ricco, brutto per giunta" lo descrisse con scarsa simpatia G. Casanova) visse d'espedienti. Di uno ha lasciato memoria il libertino veneziano: il G., divenuto nel 1750 intimo di Giulietta Casamacchia, agì come cicisbeo e mediatore dei suoi amori con l'ambasciatore della Repubblica di S. Marco, un nobile boemo e l'ambasciatore austriaco, il principe W.A. Kaunitz, ricavandone così "qualche favore". Su altri, appena più dignitosi, informano lettere di contemporanei: sempre pronto a farsi invitare a pranzo ove se ne presentasse l'occasione, il G. frequentava i salotti più celebri della Parigi del tempo magnificando e vantando le sue qualità letterarie, alla ricerca d'un mecenate al cui servizio mettere la propria penna. Nello scorcio degli anni Trenta e nei primi Quaranta lo trovò nell'ambasciatore russo, il principe A.D. Kantemir, del quale tradusse in francese e pubblicò postuma un'opera, facendola precedere da una biografia zeppa di lodi iperboliche (A.D. Cantémir, Satyres, précédées de l'histoire de sa vie, Londres 1749). Non risulta che il G. conoscesse il russo, cosicché è lecito sospettare che il suo intervento fosse in realtà ben diverso da quello del traduttore.
Soprattutto, però, nel lungo soggiorno francese egli si legò a Ch.-L. de Secondat barone di Montesquieu e La Brède, che conobbe il G. prima del 1742 e gli si affezionò sinceramente, trovandolo divertente e ammirandone lo spirito. Dopo la morte del Kantemir (1744) ospitò il G. spesso e per lunghi periodi nel suo castello di La Brède, in Guienna, nonché nelle residenze di Bordeaux e Parigi. Con discrezione, nelle lettere Montesquieu giustifica questi soggiorni del G. presso di lui con l'incarico di confessore della moglie e delle figlie. La gran fama del "presidente" si rifletté un poco anche sull'ospite facendolo ascrivere ad alcune accademie francesi, quali quelle d'Amiens, di Bordeaux e delle Inscriptions et belles-lettres di Parigi (1744), prima che avesse dato alle stampe un qualsiasi scritto. Se infatti si esclude una poesia, l'Anacréontique, pubblicata in traduzione francese sul numero del gennaio 1745 del Mercure de France, la prima opera del G. fu una memoria presentata manoscritta a un concorso indetto dall'Académie des inscriptions, che la premiò nel 1746 (Mémoire sur l'état des sciences et des arts en France sous les règnes de Charles VI et de Charles VII), stampata circa dieci anni dopo nelle sue Dissertations historiques, politiques et littéraires (Tournai 1756); mentre la prima che vide i torchi fu un'altra memoria, presentata alla stessa accademia e da questa premiata nel 1747 (De la véritable signification du titre d'autonome, que prenaient plusieurs villes soumises à une puissance étrangère, et des priviléges attachés à ce titre), dapprima stampata ad Avignone nel 1748, poi comparsa in traduzione italiana nei Saggi di dissertazioni accademiche (V, Roma 1751, pp. 113-159) dell'Accademia Etrusca di Cortona, e infine inserita nel citato volume di dissertazioni del 1756.
Poco interessante il primo scritto, di tipo storico-erudito, il cui valore è al più ascrivibile ai domini retorico e letterario. Nel secondo, molto apprezzato e lodato da Montesquieu, il G. svolge invece un'indagine storico-politica sul diritto d'autonomia, ossia sul privilegio di governarsi con proprie leggi di cui godettero molte città greche sotto il dominio romano, dando alle proprie parole un'evidente risonanza d'attualità. Ebbe così modo di mostrarsi in perfetto accordo con le aspirazioni del partito filoborbonico della penisola, che si traducevano in pratica nella richiesta di mantenimento in Italia delle vecchie libertà locali e regionali, minacciate dalla politica viennese.
Nel 1742 il G. fu brevemente a Torino in seguito alla morte del padre, facendo forse un tentativo a corte per ottenere un incarico ma scontrandosi con l'ostilità del marchese d'Ormea. Tornato in Francia, negli anni seguenti si dedicò anche a scrivere un trattatello sull'usura ispirato ai principî scolastici, che discusse a lungo con Montesquieu ma non pubblicò e forse distrusse (il manoscritto sembra perduto). Come consolazione, nel 1746 gli giunse la notizia dell'elezione a membro dell'Accademia delle scienze di Berlino. Nel 1747 è documentato un nuovo soggiorno in patria, dove insieme con i due fratelli fu creato conte di Clavières. Portò con sé un manoscritto dell'Esprit des lois con l'intenzione, caldeggiata dallo stesso Montesquieu, di farne una traduzione in italiano dedicata al sovrano piemontese.
Il contenuto dell'opera era noto al G. fin dal febbraio 1745, quando l'autore lo invitò a leggerla riservatamente. L'esistenza della traduzione è un problema storiografico non indifferente. Ne parlano vari biografi, soprattutto francesi, ma in nessuna delle tre traduzioni italiane settecentesche dell'opera (Napoli 1750; Amsterdam, ma Venezia, 1773; Napoli 1777), la critica ha individuato la mano dell'abate piemontese. Al più, dati i contatti del G. con l'ambiente fiorentino di G. Cerati e A. Niccolini, a sua volta in rapporto con quello napoletano che promosse la traduzione del 1750, si potrebbe congetturare che dietro il termine "traduttori" col quale G.M. Mecatti alluse, nella Lettera al lettore, a suoi collaboratori nell'impresa napoletana si nascondesse anche il Guasco.
Secondo quanto sostenuto da J.-M. Quérard (p. 496) e più di recente da critici francesi è da considerare perduta la memoria con la quale il G. nel 1749 vinse per la terza volta il concorso indetto dall'Académie des inscriptions (Mémoire sur l'état des sciences en France sous le règne de Louis XI). Essa infatti non compare nelle Dissertations del 1756 e non risulta che sia stata stampata altrove, neanche in estratto. Al contrario, una con la quale, nello stesso anno, vinse un premio dell'Académie royale des sciences, inscriptions et belles-lettres di Tolosa (Dissertation sur les Volces anciens habitants du Languedoc), che Quérard dice conservata solo in breve estratto nel XXIII volume dei Mémoires de l'Académie des inscriptions (Paris 1750, pp. 187-191), compare per intero nei volumi IV e V del Recueil de la Société typographique de Bouillon (1769 e 1770, pp. 225-258 e 66-97) e in traduzione italiana, con il titolo Intorno al tempo in cui le scienze e le arti cominciarono ad essere coltivate dai Volsci e dei cambiamenti che si introdussero nei costumi e negli usi nel governo e nella religione di questi popoli, nel vol. VIII dei Saggi di dissertazioni accademiche dell'Accademia Etrusca di Cortona (Firenze 1783, pp. 39-103). Le somme assicurate da tali premi non migliorarono però le condizioni economiche del G., che per vivere dovette barcamenarsi anche con lavori quali la correzione d'una traduzione francese della Divina commedia. Quindi non è molto chiaro come poté (o, eventualmente, al seguito di chi poté) recarsi a Londra, nella primavera del 1750. La città in ogni modo lo accolse con una certa curiosità, e potenti amici ne favorirono l'ascrizione alla Royal Society.
Tornato in Francia, nel marzo 1751 il G. fu eletto membro dell'Accademia di Nancy. Soprattutto, però, fu raggiunto dalla notizia della concessione da parte dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria d'una pensione e d'un canonicato a Tournai, in Fiandra. È probabile che la decisione dell'imperatrice fosse propiziata dalle pressioni dei due fratelli del G., entrambi generali dell'armata austriaca e membri influenti della corte. Questi benefici assicurarono al G. una certa tranquillità economica e, con essa, la possibilità di intensificare i viaggi in Francia, Italia e altri paesi d'Europa.
Tra l'autunno del 1751 e la primavera del 1752 fu di nuovo a Torino, dove ascoltò la dissertazione che un giovane professore d'etica naturale di quell'Università, il barnabita G.S. Gerdil, lesse con l'intento di contrastare la diffusione delle idee contenute nell'Esprit des lois. Il G. ne inviò un resoconto dettagliato a Montesquieu. Nell'estate del 1752 andò in Fiandra, probabilmente per prendere possesso del canonicato. Nei primi mesi del 1753 fu a Vienna, presso la corte imperiale, dove fu insignito del titolo di cavaliere dell'Ordine della croce imperiale; poi, dall'estate 1753 all'autunno 1754, compì un lungo giro in Italia toccando Verona, Bologna, Firenze, Roma e Napoli. Nella città partenopea, grazie a una lettera di presentazione avuta a Firenze da L. Mehus, conobbe F. Galiani. Rientrato a Parigi nel dicembre del 1754, quasi immediatamente riprese il suo girovagare per l'Europa; la notizia della morte di Montesquieu, il 10 marzo 1755, lo colse in Toscana, con suo dichiarato rammarico.
Il continuo viaggiare caratterizzò la vita del G. anche nel decennio successivo, dando così spazio a crescenti sospetti e maldicenze, secondo i quali egli era in realtà una spia delle corti di Vienna e di Torino. In ogni caso, in quel periodo la sua produttività intellettuale non fu dissimile da quella degli anni precedenti. Nel 1756 fece stampare a Tournai due volumi di Dissertations historiques, politiques et littéraires, che oltre comprendere le memorie precedentemente indicate ne raccoglievano altre due inedite, un Traité sur les asiles, tant sacrés que politiques, depuis les temps les plus reculés jusqu'à ceux du christianisme e una Dissertation sur le préteur des étrangers. La seconda, che illustrava in modo chiaro e lineare i compiti dell'antico praetor inter cives et peregrinos, ebbe una traduzione italiana (Sopra il pretor peregrino) che comparve nel VII volume dei Saggi di dissertazioni accademiche dell'Accademia Etrusca (Roma 1758, pp. 67-87). Qualche anno più tardi si fece editore (anonimo) delle Lettres familières du président de Montesquieu (Firenze 1767), raccogliendovi un gruppo di lettere di Montesquieu agli amici fiorentini e tutte quelle che aveva inviato a lui. Infine, l'anno dopo, diede alle stampe l'opera più originale, De l'usage des statues chez les anciens. Essai historique (Bruxelles 1768).
La composizione del volume fu lunga e assai laboriosa. Il G. vi lavorò per quasi dieci anni, tra l'altro compiendo numerosi viaggi di documentazione a Roma. La sua tesi fondamentale fu che presso i Latini e i Greci le statue avevano svolto una funzione civile ed educativa di primo piano, quali veri e propri modelli di comportamento morale, religioso e politico. L'opera è notevole come tentativo di rompere l'alternativa fra erudizione ed estetica negli studi antiquari, e diede origine a un filone di ricerche largamente praticato nella seconda metà del XVIII secolo. Fu molto imitata, tanto che uno dei nomi più famosi degli studi antiquari del periodo, P. Hugues, sedicente barone d'Hancarville, nelle sue opere saccheggiò letteralmente il libro del Guasco.
Frattanto la pubblicazione delle lettere di Montesquieu aveva suscitato grande rumore nel campo letterario e nel bel mondo della capitale francese per alcune cose dette su madame Marie-Thérèse Rodet Geoffrin, provocando proteste, recriminazioni, smentite e controsmentite. Il chiasso delle polemiche giunse fino in Italia, dove gli intellettuali più legati alla cultura francese stigmatizzarono, anche violentemente, l'operato del Guasco. È in questo quadro che vanno letti i giudizi molto crudi su di lui ("vero animale", "parassita sporchissimo") espressi da F. Galiani e dai fratelli Verri nei loro carteggi. Di conseguenza egli, che fin dai primi mesi del 1767 era a Firenze (il 22 giugno partecipò a una riunione dell'Accademia dei Georgofili, proponendo un nuovo statuto che fu approvato), ritenne giunto il momento di lasciarsi definitivamente alle spalle l'esperienza francese. Si stabilì dapprima nella città toscana, dove disponeva d'entrature e d'amicizie tanto influenti che, dopo qualche tempo, secondo N.-T. Le Moyne des Essarts, gli fu offerta la direzione degli studi, incarico questo rifiutato (ma la notizia pare poco credibile, e comunque allo stato manca di riscontri). Poi forse fu a Roma, dove nel 1773 fece stampare un'altra edizione, accresciuta, delle Lettres familières di Montesquieu, nonché una dissertazione Dell'edificio di Pozzuolo volgarmente detto il tempio di Serapide. Infine, nell'ultimo scorcio degli anni Settanta, lo troviamo nei pressi di Mantova, legato al conte G. d'Arco: F. Venturi segnala, infatti, una sua corrispondenza al Journal encyclopédique (Extrait d'une lettre écrite de Valezzo, près de Mantoue, le 15 du mois dernier, aux auteurs du Journal par m. de Guasco, in Journal encyclopédique, 15 ag. 1780, tomo VI, parte I, pp. 147 ss.), che magnificava l'attività filantropica del nobile lombardo.
Il G. morì a Verona, nella casa di una sorella, la contessa Teresa Bernardi, il 10 marzo 1781.
Fonti e Bibl.: Cortona, Biblioteca comunale e dell'Accademia Etrusca, Mss., 399 (497), cc. 133, 139; 473 (572), cc. 16, 18; 474 (573), cc. 142, 211, 340; 475 (574), cc. 31-50; 476 (575), cc. 1-2 [15 lettere del G. a vari membri della famiglia Venuti]; F. Galiani, Correspondance, I, Paris 1878, p. 231; Ch.-L. Montesquieu, Correspondance, a cura di F. Gebelin (con la collab. di M.-A. Morize), Paris 1914, ad ind.; A. Verri - P. Verri, Carteggi, a cura di E. Greppi - A. Giulini, II, Milano 1923, pp. 189-191; G. Casanova, Storia della mia vita, a cura di C. Cordié, I, Roma 1961, p. 518; N.-T. Le Moyne des Essarts, Les siècles littéraires de la France, III, Paris 1800, pp. 352 s.; J.-M. Quérard, La France littéraire, III, Paris 1829, p. 496; A. Lombardi, Storia della letteratura italiana nel secolo XVIII, IV, Modena 1830, pp. 123 s.; C.A. Valle, Storia di Alessandria, III, Torino 1854, pp. 407 s.; F.F. Carloni, Gli italiani all'estero dal secolo VIII ai dì nostri, I, 2, Città di Castello 1890, p. 277; G. Natali, Il Settecento, Milano 1929, pp. 56 s.; F. Nicolini, Amici e corrispondenti francesi dell'abate Galiani, Napoli 1954, p. 89; G. Grente, Dictionnaire des lettres françaises, IV, 1, Paris 1960, s.v.; P. Berselli Ambri, L'opera di Montesquieu nel Settecento italiano, Firenze 1960, pp. 14-16, 23, 152, 221; R. Shackleton, Montesquieu. A critical biography, Oxford 1961, pp. 19 ss.; E. De Mas, Montesquieu, Genovesi e le edizioni italiane dello "Spirito delle leggi", Firenze 1971, pp. 15-17, 50; L. Desgraves, Montesquieu, Paris 1986, ad ind.; F. Venturi, Settecento riformatore, V, 1, Torino 1987, pp. 409, 654; J.N. Shklar, Montesquieu, Bologna 1990, ad ind.; L. Mascilli Migliorini, Ercolano, Pompei, Egitto: una "questione delle origini" nell'archeologia italiana del XVIII secolo, in Clio, XXVIII (1992), p. 207; G. Carabelli, Veneri e Priapi. Culti di fertilità e mitologie falliche tra Napoli e Londra nell'età dell'Illuminismo, Bari 1996, p. 112; J.-C. Hoefer, Nouvelle Biographie générale, XXII, coll. 329 s.; V. Spreti, Enc. stor.-nobiliare italiana, Suppl., II, p. 181.