DIODATI, Ottaviano
Nacque a Lucca il 5 ott. 1716 da Lorenzo di Ottaviano e da Isabella Bellet (o Billet), appartenente a una famiglia di comandanti militari al servizio della Spagna.
Era del ramo dei Diodati di Coreglia, che dovevano le loro fortune a un maestro Michele di Alessandro, medico, vissuto nello scorcio del sec. XIV; abilitati al governo cittadino nel 1465; rimasti in patria mentre vari esponenti di altri rami dei Diodati emigravano soprattutto a Ginevra religionis causa intorno alla metà del '500; nobilitati nel 1568; più volte rappresentati nelle cariche di anziano e di gonfaloniere della Repubblica; imparentati con i Bonvisi, i Poggi, i Balbani e altre grandi casate lucchesi.
Sull'esempio del padre, che fu anziano dodici volte tra il 1715-69 e sette volte gonfaloniere dal 1734 al 1767, nonché ambasciatore a Firenze negli anni difficili della successione medicea e in missione diplomatica a Napoli (1737-38), anche il D., compiuti gli studi a Modena, dopo un tentativo (1738) di entrare al servizio di Carlo di Borbone, iniziò il cursus honorum proprio dei rampolli delle famiglie di governo della Repubblica, ricoprendo la carica di anziano nel marzo-aprile 1744, nel gennaio-febbraio 1746, nel novembre-dicembre 1749, nel marzo-aprile del 1752. La sua carriera fu però presto stroncata - con la conseguente espulsione dalle file del patriziato - per il suo matrimonio men che "borgliese" con una donna del piccolo centro di Gragnano, nel contado lucchese, Maria Felice, figlia del chirurgo Giovanni Marcucci.
Con toni da opera buffa settecentesca, la vicenda delle nozze contrastate con la "bella Gragnanina" costituisce non solo un episodio fondamentale nella vita del D., ma una pagina suggestiva di storia della società aristocratica di antico regime. Imprigionato per qualche tempo su ordine del Consiglio generale, per percosse al futuro suocero, "in un fondo serrato delle carceri di Torre", mentre la Marcucci veniva chiusa in un conservatorio, il D. sarà costretto persino, durante il lungo conflitto con il proprio padre, a cercar rifugio, agli inizi del 1751, nel convento carmelitano di S. Piercigoli, con singolare analogia di situazioni da parte di chi, come lui, sarà l'editore della ristampa lucchese dell'Encyclopédie con le vicende di Diderot, anch'egli ostacolato dal padre nel matrimonio con la sua Nanette (Anne-Antoinette Champion) e anch'egli relegato "en súreté" ed "enfermé chez des moines". Una battaglia teologico-giuridica condotta intanto dinanzi al Consiglio generale attraverso pareri di autorevoli religiosi e uomini di Chiesa, tra i quali, a favore del D., quello del noto teologo agostiniano Gian Lorenzo Berti, stante il divieto per i membri del patriziato, in virtù di una legge del 1711, di contrarre "mariaggi turpi o vili o indecenti", pena la decadenza da tutti gli uffici d'onore e d'utile della Repubblica, culminerà nella richiesta da parte del D. di essere emancipato dal padre e nel matrimonio "tumultuario", di coscienza, che egli contrarrà con la Marcucci il 1° maggio 1751: nello stesso giorno in cui il "Gonfaloniere genitore", eletto ancora una volta alla suprema carica dello Stato, sarà costretto a rinviare la solenne entrata in palazzo, "travagliato dal disgusto", come con involontario umorismo ricordano le fonti coeve.
Emancipato dal padre, ma inabilitato alle cariche politiche della Repubblica aristocratica, pur essendo ormai unico erede del nome dopo la morte del fratello Giulio, nel 1746, durante la campagna d'Italia al servizio della Spagna, il D. rimarrà così negli anni che seguiranno esule in patria, un déraciné dal suo ceto, ma non totalmente escluso da esso, se non mancherà qualche tentativo, presto insabbiatosi, di riammetterlo tra i ranghi del patriziato, come quello avviato nel 1758 sull'onda della ristampa lucchese dell'Encyclopédie, il cui primo volume si apriva con la dedica ufficiale del D. alla Repubblica.
Non è chiaro l'inizio dell'impegno del D. nell'attività editoriale, non potendosi con certezza ritenere tale il suo cenno, nella richiesta di emancipazione dal padre, ad una "importante società di negozio", nella quale egli avrebbe avuto in quel momento (1751) rilevanti interessi personali. È certo invece che un concreto procedere del D. tra stampatori ed editori e la stessa preistoria della intrapresa enciclopedica siano da individuare nella stampa della traduzione italiana "con nuove aggiunte" del quindicinale Journal encyclopédique di Liegi, portavoce con una certa moderazione, nella fase 1756-59, delle idee dei philosophes.
Un contratto tra il D. e lo stampatore Vincenzo Giuntini del 4 apr. 1756 è infatti a ridosso dell'apparizione del primo numero del Journal encyclopédique (1° genn. 1756); e il Giornale enciclopedico apparirà presso il Giuntini dal I volume al XVI, 2, mentre dal XVI (1758), 3, al XXVII (1759), 3, sarà pubblicato dallo stampatore Giusti, essendo il Giuntini intanto impegnato nella più gravosa ristampa dell'Encyclopédie. Tanto nelle note quanto nelle prese di posizione degli anonimi curatori, tra i quali dobbiamo ipotizzare la presenza del D., la pubblicazione del Giornale enciclopedico, pur con limiti e incertezze culturali e riserve di fronte alla ideologia dei "lumi", stimolava energie e interessi latenti dalla piccola Lucca all'Europa illuministica ed era alla base del progetto di ristampa dell'Encyclopédie, nella edizione originale, ma anch'essa con note integrative e correttive, se il manifesto del Giuntini per la nuova edizione, con la data del 15 nov. 1756, apparirà nel Giornale enciclopedico, V, 2, pp. 93-95.
Delineatosi e definitosi il nuovo e più ambizioso progetto nell'ambito di un'Accademia o adunanza dei Fisici, non priva, come sembra, di venature massonizzanti, sarà il D. prima nell'Accademia, e poi nell'impresa editoriale, ad avere un ruolo di primo piano nella ristampa dell'Encyelopédie soprattutto sotto il profilo pratico-organizzativo.
In effetti fu il D., che già nel contratto del 4 apr. 1756 appariva come il vero proprietario della stamperia Giuntini, a stipulare il iS marzo 1757 un nuovo contratto con il Giuntini, in cui figurava con il medico Sebastiano Paoli come direttore e deputato di una società per azioni, costituita da undici caratisti, anticipatrice dei capitali necessari per l'acquisto di nuovo macchinario e di più adeguate attrezzature. Ed era ancora il D. a prendere in affitto, come "direttore del negozio di stampa e baratto di libri che corre sotto il nome di Vincenzo Giuntini", i locali per la nuova stamperia, riassumendo poi, con altro atto notarile del 4 maggio 1760, il pieno controllo proprietario della stamperia Giuntini che il contratto societarlo del 1757 per l'Encyclopédie sembrava avergli in qualche modo sottratto.
In questo quadro, pur tra le difficoltà e l'interruzione della stampa, parallele alle vicende e alla temporanea sospensione dell'Encyclopédie parigina dal 1759 al '66, l'Encyclopédie apparirà a Lucca, presso il Giuntini, in diciassette volumi di testo (1758-71) e undici volumi di tavole incise ex novo (1765-76), risultando una delle maggiori imprese editoriali non solo in ambito locale, dove l'arte tipografica come "branca di commercio", per sostenere le residue risorse di una languente economia, veniva potenziata nella seconda metà del secolo, ma in riferimento al livello tipografico-editoriale dell'intero '700 italiano. Alla ristampa il D. fu soprattutto sollecitato dalla concezione, per altro diffusa e vulgata tra i contemporanei, che l'Encyclopédie fosse la summa delle conoscenze umane, da integrare eventualmente e da correggere, senza che però - stando almeno alla dedica del D. alla Repubblica e alle sue note sparse nei diversi volumi - affiorassero in lui quegli orientamenti propri dell'"illuminismo cattolico", forse troppo enfatizzati dal Weinert: orientamenti che in ogni caso, uniti a più definiti interessi filosofico-scientifici, storico-antiquari e controversistico-apologetici, sono riscontrabili negli altri curatori e annotatori, da Carlo Antonio Giuliani a Gian Domenico Mansi, futuro arcivescovo di Lucca, da Ubaldo de' Nobili a Sebastiano Paoli, da Sebastiano Donati a Filippo Venuti, preposto di Livorno e amico di Montesquieu, sino ai più plumbei e diffusi Nicolao Viviani e Lorenzo Nicoletti.
Di là dall'aspetto ideologico dell'opera, e oltre al significato latamente culturale dell'impresa, il D., cointeressato com'era con lo stampatore Giuntini e legato alla società editoriale, dovette, della ristampa, avvertire però - stando al ben informato Zibaldone del Chelini - soprattutto il prevedibile, buon tornaconto finanziario, che in effetti si realizzò in particolare sul mercato italiano sulla base di una tiratura di 800 (o - secondo altra fonte - 2.000) esemplari, in concorrenza con i poco più che 4.000 esemplari dell'edizione parigina, rispetto alla quale il prezzo della ristampa lucchese fu per altro di un terzo inferiore. In questa direzione andrebbero visti perciò anche il personale intervento del D. e l'impegno indiretto della Repubblica di Lucca a tutela dell'impresa, allorché l'Encyclopédie era sul punto di essere colpita dalla condanna del S. Offizio romano, resa pubblica il 3 sett. 1759.
Sin dall'inizio dell'iter che porterà alla condanna, mentre l'opera veniva esaminata dalla congregazione dell'Indice, il D. inoltrerà all'abate Filippo Buonamici, agente della Repubblica di Lucca a Roma, tramite l'offizio sopra la Giurisdizione, un memoriale che l'offizio suggerì al Buonamici di appoggiare tuttavia solo in via privata, senza alcun impegno ufficiale. E sarà ancora il D., quando l'esame dell'Encyclopédie passerà alla congregazione del S. Offizio, a far pervenire alla congregazione stessa alcuni fogli a stampa con aggiunte di note correttive ai primi due volumi già apparsi, che verranno inserite poi, con un "avviso" del D. "aux si;avans" e con una "protesta" sempre del D., all'inizio del terzo e del quarto volume dell'opera, pubblicati frettolosamente nel corso del 1759. Tale tentativo in extremis del D. per salvare l'edizione "corretta" dell'Encyclopédie dai fulmini romani, se provocherà una cauta disponibilità da parte di un qualificatore del S. Offizio, il padre Arcangelo Mingarelli, sarà di fatto vanificato dalla dura requisitoria di un influente consultore, il domenicano Giuseppe Agostino Orsi, maestro del Sacro Palazzo, cui si associerà, con tutto il prestigio della carica, lo stesso segretario del S. Offizio, il cardinale Neri Corsini. Ma il passo compiuto dal D. e le divergenze in qualche modo affiorate nella congregazione, insieme con le larvate pressioni della Repubblica, consentiranno il compromesso che nel decreto di condanna dell'Encyclopédie, pur rivolto contro edizioni dell'opera anche con note e correzioni, non venisse fatto esplicito riferimento alla ristampa lucchese. Tanto bastò perché, negato dalla Repubblica l'exequatur al documento romano, il D. potesse portare a termine l'impresa una volta che, nel 1766, fossero apparsi in blocco i restanti volumi dell'edizione diderotiana.
Negli anni di forzata interruzione dell'impresa maggiore riaffiorava più evidente la vera natura del D., nobile ma modesto Diderot di provincia, non privo di una certa curiosità intellettuale, ma non guidato da una reale passione riformatrice della cultura. Appassionato invece di teatro, secondo un gusto assai vivo negli ambienti aristocratici del tempo, e non solo in quello lucchese, il suo "enciclopedismo" approdò allora alle plaghe più tranquille della Biblioteca teatrale italiana (12 voll., Lucca 1762-65), dedicata con compiacenza cortigiana al duca di Parma Filippo di Borbone.
A ciascun volume il D. premise un capitolo di "drammaturgia", nel quale di volta in volta trattava non solo dell'arte drammatica probriamente detta, ma della scenografia e della decorazione teatrale - in consonanza con le sue inclinazioni di architetto "dilettante" di cui si dirà più avanti - della recitazione e del canto, senza però che una visione unitaria sorreggesse una eclettica quanto ovvia precettistica classicheggiante e arcadica. Toni più personali sono da ravvisare non tanto nel richiamo, che resta esterno, a Diderot ed Alembert, entrambi "vivo lume ed eterno dell'avvenire" (I, Prefaz., pp. XV s.), quanto nella spiccata preferenza per la sensibilità larmoyante e per il patetismo del teatro francese tra Nivelle de La Chaussée e Voltaire. La raccolta annovera cosi tra gli altri, affastellati, testi di Voltaire - tra cui Il caffè o La scozzese, tradotto dal D. -, di Alfonso Varano e del La Chaussée - con L'amore per amore, tradotto anch'esso dal D. -, del Metastasio e del Crébillon, del La Motte e del Racine, del Chiari e del Goldoni, nonché alcuni lavori originali dello stesso Diodati. Nelle tragedie del D., oltre che ne L'Atamante (vol. VII), il modello voltairiano è avvertibile nell'intreccio tra amore e politica del Lisimaco (vol. VIII) e nella ripulsa delle astute finzioni della casta sacerdotale del Cerauno (vol. XII). Delle tre commedie, se Celidonia e Corimeo (vol. XI) presenta qualche tono garbato nella satira del cicisbeismo, L'Arville o sia La filosofessa italiana (vol. IX) è ricavata da un romanzo del Chiari e L'Ispana in Tauris-Abas (vol. X) si riallaccia, col suo vago esotismo, alla moda messa in circolazione dal Gozzi, dal Goldoni e soprattutto, per il D., ancora dal Chiari. Del tutto convenzionali e d'occasione appaiono infine un "pantomimo giocoso", La presa di Troia (vol. VIII), e il dramma per musica, Il triumvirato di Cesare, Crasso e Pompeo (vol. X), con la sua fiacca esaltazione della "libertà" repubblicana.
Dietro questo scenario, le non molte note del D. nei diversi volumi dell'Encyclopédie permettono di individuare più da vicino, per quanto possibile, la sua fisionomia intellettuale anche riguardo ad altri aspetti dei suoi gusti e della sua cultura.
Una sensibilità scenografica, l'attenzione al gioco prospettico, la preferenza per la magnificenza e il particolare decorativo, derivategli dai fratelli Galli Bibiena (cfr. la nota a Décoration, IV, pp. 583 s.), non escludono nei progetti architettonici del D. - almeno per quel che egli stesso ne dice - il riferimento, razionale e settecentesco, all'harmonie e alla bienséance, alla simmetria dell'insieme (cfr. le note alla voce Architecte, I, pp. 522 s.), vista però soprattutto nel rapporto tra l'edificio e lo spazio antistante. I progetti che egli presentò effettivamente, intorno al 1751, per la reggia di Caserta risentirebbero perciò chiaramente dell'influenza di F. Juvarra, attivo del resto a Lucca tra il 1724-25, e del contemporaneo gusto decorativo francese (cfr. le note alle voci Allées, I, p. 234; Amphithédtre, I, pp. 318 s.; Appartement, I, p. 464; Distribution [Jardinage], IV, p. 884) e mostrerebbero, in particolare nella pianta del palazzo, con la sua organizzazione centrifuga, una soluzione antitetica a quella centripeta poi realizzata dal Vanvitelli. Più tardi, nel 1772, su disegno del D. fu edificato a Lucca il teatro del Castiglioncello per l'Accademia "Magis viget", mentre a suggerimenti del D. si possono attribuire con certezza le trasformazioni del parco della villa Garzoni a Collodi dagli straordinari effetti scenografici e, come semplice ipotesi, la costruzione ivi compiuta del padiglione dei bagni (1786-87).
"Bizzarro ingegno", oltre che "gran progettista" (Chelini), il D. indirizzò però la sua vena di ricerca ad un tempo concreta e fantasiosa verso questioni ed esperienze di metallurgia e di chimica (cfr. le note alle voci Chaudière, III, p. 211; Ciseau, III, p. 396; Essai, V, pp. 843 s.) e la sua inventiva da Franklin in formato ridotto verso invenzioni che vanno dal progetto di un edificio antisismico dopo il terremoto di Lisbona del 1755 (cfr. la nota alla voce Bâtiment, II, p. 120) alla elaborazione di una complessa scrittura convenzionale, che collega ad una esigenza illuministica di più larga comunicazione e diffusione del sapere le antiche aspirazioni della mnemotecnica e della logica combinatoria (cfr. le note alle voci Écriture, V, p. 312, e Langue nouvelle, IX, p. 219), dalla costruzione di una sorta di pressa portatile, paragonabile ad un moderno ciclostile (cfr. la nota alla voce Imprimerie, VIII, p. 53), alle particolari modifiche da introdurre nei veicoli per diminuire le spese di trasporto e facilitare il trasferimento di carichi considerevoli (cfr. la nota alla voce Voiture, XVII, p. 366).
Letteratura, architettura, curiosità scientifica e "meccanica" si confondono dunque nel D., con amabile "diletto", ma anche con istinto "mercantile" connotato di elegante utopia, per muoversi in una visione politica statica e nella esaltazione più ampia e generale della civiltà italiana e della pace esistente nella penisola, grazie al mecenatismo dei principi e ad un riformismo derivato in chiave moderata dai "lumi" (cfr. le note alla voce Italie, VIII, pp. 771 s.; Aole, V, p. 282; Maremmes de Sienne, X, p. 79). Ma il quadro più vero entro il quale, per mentalità e tradizione familiare, continuerà a collocarsi il D. sarà sempre quello del "perfetto Stato" di Lucca, con i suoi confini ideali e istituzionali (cfr. le note alle voci Aristocratie, I, p. 553; Aducation, V, p. 338; Inquisiteur d'Etat, VIII, p. 637; Noblesse, XI, p. 133; République, XIV, p. 128), che delineano l'itinerario della visione repubblicano-aristocratica conservatrice di un tipico esponente, nonostante tutto, di un patriziato cittadino italiano al tramonto del '700.
Visione tuttavia non chiusa, questa del D., verso quanto andava contemporaneamente avvenendo nell'ambito di altri sistemi repubblicani. In una lettera non datata, indirizzata ad un lontano parente ginevrino, Gabriel Diodati, già incontrato durante un precedente viaggio a Ginevra di cui però non conosciamo altri particolari, il D. in effetti mostrerà di apprezzare la posizione del congiunto nel partito dei "mediatori", nel corso delle "turbolenze intestine" che travagliavano allora la città. E - stando ad un'altra lettera del D. allo stesso Gabriel del 18 apr. 1759 - il D. riceverà dal suo corrispondente un opuscolo a stampa riguardante la voce Genève dell'Encyclopédie e le polemiche che ne erano scaturite: opuscolo che egli promette di utilizzare - ma ne ignoriamo la misura - nelle note che appariranno di lì a poco (1760), anonime, alla corrispondente voce della ristampa lucchese (VII, pp. 507-9). Oltre alle lettere indirizzate dal D. all'erudito e giornalista Giovanni Lami tra il 1759-69 (Firenze Bibl. Riccardiana, Ricc. 3722), con la fichiesta di recensioni per l'Encyclopédie e la Biblioteca teatrale italiana, va appunto segnalato questo gruppo di lettere ginevrine che il D. indirizzò, oltre che a Gabriel Diodati, a Mme Diodati Tronchin (Archives géndrales de Genève, Archives de familles, s. l., VII, Diodati. Documents rglatifs à la branche de Lucques 1314-1884), nelle quali lo sguardo discreto del D. dalla provincia italiana all'Europa dei lumi si intrecciava con il sentimento della "reputazione" personale e del decoro della famiglia, che il D. con ingenua, ma non disinteressata megalomania sollecitava nei suoi corrispondenti (a Mme Diodati Tronchin, 11 maggio 1757, e a Gabriel Diodati, 3 genn. 1759), perché alla edizione lucchese fossero assicurati nuovi associati e alle note addirittura la collaborazione di Voltaire, della quale sembra non esservi alcuna traccia né diretta né indiretta nella sterminata corrispondenza del patriarca di Ferney.
Conclusa l'impresa dell'Encyclopédie, morta la moglie già nel 1762 e morto, dopo due figli maschi e due femmine scomparsi in tenera età, anche l'unico figlio sopravvissuto, Lorenzo Antonio, mentre era, seguendo la tradizione familiare, al servizio militare nell'esercito spagnolo, il D., privo ormai di discendenza, pur potendo contare su un ancor solido patrimonio familiare come erede universale del padre dal 1769, penserà di disfarsi della importante raccolta avita, arricchita con acquisti personali, che, a suo dire, annoverava dipinti "di prima sfera", da Tiziano a Raffaello, da Giulio Romano al Guercino, da Paolo Veronese al contemporaneo Pompeo Batoni, sollecitandone, tramite Gabriel Diodati, nella lettera senza data già ricordata, presumibilmente nel corso degli anni '70, l'acquisto nientedimeno che da parte di Caterina II di Russia, in concorrenza con il collezionista e uomo politico ginevrino FranQois Tronchin. Meno fortunato del Tronchin, la cui collezione in effetti sarà acquistata dalla zarina, il D. - della cui raccolta ignoriamo la sorte - dovrà contentarsi dell'elogio che aveva dedicato alla grande Caterina nella nota alla voce Zaara dell'Encyclopédie (XVII, pp. 593 s.), il cui tono di smaccata adulazione è comprensibile solo se letto alla luce di una prospettiva e di una speranza poi delusa.
Negli ultimi anni il D. accentuò il suo ripiegamento, compiendo intera quella parabola che spesso connotava l'intellettuale aristocratico o borghese settecentesco. Vestito l'abito di abate, si dedicò alla stesura di un ambizioso poema, I fasti del mondo antico, rimasto incompiuto, ma apparso a Lucca nel 1783, in due tomi, dedicati rispettivamente al mondo antidiluviano e a quello postdiluviano, dove l'"enciclopedismo" di un tempo si perdeva in una monumentale cronologia versificata e nella stanca visione della storia delle civiltà umane. Il D. morì a Lucca, ultimo della sua famiglia, il 18 sett. 1786.
Nel suo testamento, accanto a vari lasciti di reliquie, arredi e mobili preziosi, designerà erede della somma di 1.000 scudi, di casa e orti, la governante Maria Donati, mentre del più vasto complesso ereditario, facente capo al palazzo Diodati (poi Orsetti), non v'è specificazione, probabilmente perché già regolato da una successione fedecommissaria.
Fonti e Bibl.: Oltre alle indicazioni fornite nel testo, essenziale per la biografia del D. e per le vicende riguardanti la ristampa dell'Encyclopédie è la raccolta di documenti in Secondo centenario dell'edizione lucchese dell'Enciclopedia, a cura dell'Accademia lucchese di scienze, lettere ed arti, Firenze 1959, qui largamente utilizzati senza il rinvio a specifiche indicazioni; cfr. anche Arch. di Stato di Lucca, Zibaldone di Iacopo Chelini, in particolare pp. 71 ss., e per le discussioni relative alla condanna romana dell'Encyclopédie, Roma, Bibl. dell'Accademia naz. dei Lincei, Corsiniana, cod. Cors. 1484, in part. cc. 184r-191r. Altre indicazioni di fonti e bibl. in M. Rosa, Encyclopédie, "lumières" et tradition au 18e siècle en Italie, in Dixhuitième siècle, n. 4, 1972, pp. 109-168, in part. pp. 121 ss.; cfr. però: K. Weinert, Frankreich in der Sicht italienischer Enzyklopädisten des 18. Jahrhundert, in Zeitschrift für französische Sprache und Literatur, LXVI (1956), pp. 223-230; Id., La Repubblica di Lucca presentata nell'edizione lucchese dell'Encyclopédie di Diderot. Ritratto, autoritratto e ideale di uno Stato modello, in Studi in onore di A. Monteverdi, II, Modena 1959, pp. 911-22 s.; Id., L'opera degli enciclopedisti di Lucca, in Secondo centenario..., cit., pp.VII-XI. Sugli interessi del D. riguardo al teatro, cfr. E. Bertana, Il teatro tragico ital. del secolo XVIII prima dell'Affleri, in Giorn. stor. della letter. ital., Suppl. n. 4 (1901), pp. 7 n., 147 n.; L. Ferrari, Le traduzioni italiane del teatro tragico francese nei secoli XVII e XVIII. Saggio bibliografico, Paris 1925, pp. 278 s. Per i progetti e le realizzazioni architettoniche del D. cfr. I. Belli Barsali, La villa a Lucca dal XV al XIX secolo, Roma 1964, pp. 16, 135 s., 192, 195, 198, 211.