DE MARTINIS, Ottaviano
Nato intorno all'anno 1430 e originario di Sessa, come egli stesso dichiara nella Prefazione alla sua Vita di s. Bonaventura, fu avvocato concistoriale nell'ultimo quarto del sec. XV. Dalla medesima fonte è anche noto il suo rapporto di familiarità, nello stesso periodo, con il cardinale Giuliano Della Rovere, il futuro Giulio II, che egli chiama "suo benignissimo benefattore". Il D. ci informa inoltre del viaggio compiuto in Francia, in occasione della legazione dello stesso cardinale a Luigi XI per risolvere la questione del processo e della scarcerazione del cardinale J. Balue, nel giugno del 1480, viaggio durante il quale egli fu testimone "dell'incredibile affetto" con cui il Della Rovere volle recarsi a visitare il sepolcro di s. Bonaventura, nella chiesa di S. Francesco a Lione, dove esso era stato trasportato nel 1450. E fu probabilmente in questa circostanza che il D. poté raccogliere in abbondanza le testimonianze sull'attività e sui miracoli di Bonaventura, che utilizzò in seguito nel redigerne la Vita. Per l'interessamento del Della Rovere, infatti, il D. fu incaricato da Sisto IV di tenere in pubblico concistoro la relazione che doveva chiudere il processo di canonizzazione del grande generale dell'Ordine francescano, predecessore ducentesco dello stesso pontefice.
La cerimonia si svolse in due momenti successivi: il 10 apr. 1482 il D. lesse la sua orazione in presenza del papa e dei soli cardinali; al termine di essa, Sisto IV invitò i membri del Sacro Collegio a pronunciarsi su quanto avevano udito. Due giorni dopo, il 12 aprile, nella chiesa di S. Pietro, secondo quanto racconta Giovanni Filippo De Lignamine (editore della Oratio del D.) nella sua prefazione all'opera (secondo la versione del Gherardi, Il Diario romano..., p. 95, la cerimonia avvenne invece in un'aula "sopra la porta del Palazzo apostolico"), fatta costruire una impalcatura in legno capace di sostenere una grande moltitudine di persone, e posto un vessillo con l'immagine del santo, alla presenza questa volta non solo dei cardinali, ma anche di tutti i vescovi, degli abati, del clero e di gran parte del popolo, nuovamente il D. lesse la propria esposizione sulle virtù e sui miracoli di Bonaventura, al termine della quale il pontefice procedette all'atto di canonizzazione con la bolla Superna coelestis, emanata la domenica successiva (14 aprile, domenica in albis).
Dopo di allora l'attività del D. rimane limitata alla presenza ai concistori pubblici e segreti: il 18 sett. 1486 propose di assumere la causa degli oratori dei reali di Spagna, venuti a professare l'obbedienza dei loro sovrani al pontefice e ricevuti da Innocenzo VIII in pubblico concistoro; il 14 dic. 1492 propose una commissione a seguito dell'orazione tenuta in concistoro dai due oratori del re d'Inghilterra a proposito della dichiarazione di obbedienza del re ad Alessandro VI (non è invece verificabile la notizia riportata dal Cartari, Advocatorum..., p. 57, secondo la quale allo stesso concistoro avrebbero professato l'obbeffienza anche Federico d'Aragona e Ferdinando di Sicilia); un'altra cominissione la propose nel concistoro del 19 genn. 1495, determinato dalla presenza a Roma dei re di Francia, Carlo VIII, che prestava il suo omaggio al papa Borgia; il 24 febbr. 1496, era presente quando i cardinali appena creati ricevettero la berretta. Più circostanziata è la commissione che il D. propose durante il concistoro del 6 sett. 1497 in difesa di Giovanni Kaltenmarckter di Salisburgo, decano e rettore dell'università di Vienna, che era stato condannato nel giugno del 1492; nello stesso anno 1497 faceva parte dell'assemblea radunata per il rientro di Cesare Borgia da Napoli, dove si era recato ad incoronare Federico, figlio di Ferdinando I d'Aragona il Bastardo (26 giugno). L'ultima volta che, secondo le cronache, il D. fu presente ad un pubblico concistoro fu il 27 genn. 1500, quando giunsero a Roma gli oratori del re e della regina di Navarra, Giovanni II d'Albret e la moglie Caterina.
Il 19 ott. 1500, come riferisce il Burckard, il D. fu trovato morto nella sua abitazione, ucciso da due suoi familiari, indotti al delitto probabilmente dalla speranza di impadronirsi dei suoi beni.
Il delitto era avvenuto già da alcuni giorni; i vicini, insospettiti dalla chiusura così prolungata della casa dell'avvocato concistoriale, vi irruppero trovando il cadavere ormai putrescente. Il corpo del D. venne sepolto a Roma nella chiesa di S. Agostino, dove fu posta un'epigrafe che ne dichiarava la professione e ne illustrava le qualità (riportata dal Galletti, Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 7915, c. 57 n. 182, e Vat. lat. 7910, c. 79 n. 237, e dal Gualdi, Vat. lat. 8253, p. I, c. 2).
L'Oratio de vita et morte s. Bonaventure fupubblicata a Roma da Giovanni Filippo De Lignamine nel 1483 (secondo l'Indice d. ed. romane a stompa. 1467-1500, p. 108 n. 771: ma poiché nella prefazione dell'editore è detto che "in questi giorni soprattutto si è mostrato alla presenza del clero e del popolo romano" la santità di Bonaventura, la data dell'incunabolo potrebbe essere più vicina all'aprile del 1482), in una bella edizione in 40 e in carattere romano con una illustrazione a piena pagina raffigurante tra l'altro l'immagine dei santo. Alla prefazione dell'editore segue la già ricordata dedica dell'autore al cardinale Giuliano Della Rovere. Interessanti sono anche le parole con le quali il D. si rivolge a Sisto IV nell'Orazione, intessendo uno stretto parallelismo tra il pontefice e il santo, sia nella direzione dell'Ordine sia nell'attività di studio e di insegnamento. Dopo aver ricordato come, per assolvere all'incarico ricevuto, egli avesse dovuto leggere e studiare a fondo molte opere teologiche, il D. procede all'esposizione della vita, prima, e dei miracoli, poi, del francescano di Bagnoregio. Soprattutto gli aspetti culturali sono quelli che interessano maggiormente l'autore e che emergono dalla trattazione: dalla formazione all'incontro con i "fisici" durante l'infanzia, ponendo per di più in evidenza la presenza al battesimo del piccolo Bonaventura di un Giovanni maestro di medicina, dall'apprendimento della teologia sotto Alessandro di Hales al periodo parigino, dall'abilità nell'insegnamento alla Sorbona alla sapienza mostrata nei capitoli provinciali e generali dell'Ordine.
Segue quindi un elenco dettagliato delle opere, che secondo il D. sarebbero state in numero di almeno trecento e molto diffuse specialmente in Francia; elenco in cui, oltre ad alcuni titoli altrimenti non molto noti, come la Pharetra, cioè una sorta di antologia dove Bonaventura aveva raccolto le opere dei padri della Chiesa in ordine alfabetico, sono altrettanto interessanti i giudizi dati dall'autore su alcune opere in particolare, come quando, a proposito dei Commentarii ai libri delle Sentenze, aggiunge "che il primo ed il quarto sono inoltre scritti in metrica", o quando, citando il Commento ai Vangeli, ricorda quello al Vangelo di s. Luca evidenziando così il tema mariano, tanto caro al pontefice cui si rivolgeva.
Fonti e Bibl.: Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat., 7910, c. 79; 7915, c. 57; 8253, p. I, c. 2; Il Diario romano di Iacopo Gherardi da Volterra dal VII settembre MCCCCLXXIX al XII agosto MCCCCLXXXIV, in Rerum Italic. Script., 2 ed. XXIII, 3, a cura di E. Carusi, p. 95; I. Burckardi Liber notarum ab anno MCCCCLXXXIII usque ad annum MDVI, ibid., XXXII, 1, a cura di E. Celani, I, pp. 160, 381, 569, 594; II, pp. 52, 199, 246;C. Cartharii Advocatorum Sacri Consistorii syllabus, Romae 1656, pp. 56 s.; N. Toppi, Biblioteca napoletana..., Napoli 1678, p. 231; Indice delle ediz. romane a stampa (1467-1500), Città del Vaticano 1980, p. 108 n. 771; P.Farenga, Le prefazioni alle edizioni romane di Giovanni Filippo de Lignamine, in Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento. Atti del 2ºSeminario. 6-8 maggio 1982, a cura di M. Miglio, Città del Vaticano 1983, pp. 160-173.