BELFORTI, Ottaviano (Attaviano)
Figlio di Belforte, nacque a Volterra nella seconda metà del sec. XIII. Partecipò in sostegno del fratello, il vescovo Ranieri, alle lotte combattute contro il Comune di Volterra e contro la fazione avversa ai Belforti, capeggiata da Barone Allegretti.
Di antica famiglia della nobiltà cittadina e vassalli del vescovo di Volterra, i Belforti erano divenuti influenti e ricchi per la protezione dei vescovi dai quali avevano ottenuto, in cambio dell'aiuto militare e dei prestiti di danaro con cui li avevano sovente soccorsi nelle loro continue difficoltà finanziarie, uffici lucrosi e ricchi feudi. In seguito, però, quando l'occasione favorevole si era presentata, avevano saputo anche svincolarsi dalla loro soggezione per perseguire i propri vantaggi con l'aiuto del Comune contro il vescovo, specialmente quando a questa carica era stato eletto un forestiero. Cosi essi spesso avevano combattuto a fianco del vescovo, in difesa delle "libertà" ecclesiastiche, contro ì podestà cittadini (come avvenne tra il 1212 e il 1218), e per questo motivo erano stati più volte cacciati dalla città e perseguitati con bandi, da cui sempre erano stati liberati, però, per l'intervento dei legati pontifici; in altri momenti, invece, avevano ricoperto importanti uffici nell'amministrazione del Comune, e, a capo degli Anziani, avevano resistito al vescovo, come nel 1279, quando cacciarono da Volterra il vescovo Ranieri Ubertini, che, con l'aiuto di Guglielmino, vescovo di Arezzo, e di milizie aretine, aveva tentato di riafferrare il perduto potere politico.
Morto il fratello Ranieri (1320), il B. aiutò il proprio figlio Benedetto, pievano di Castelfalfi, nel tentativo di ottenere dal Capitolo della cattedrale l'autorizzazione ad amministrare la diocesi nel periodo di sede vacante. Avrebbe potuto in tal modo seguire l'esempio dello zio, il vescovo Ranieri. Ottenne infatti che gli venisse affidata la conservazione del castello di Berignone, sede del vescovo, e dell'archivio vescovile. Ma si trovò ben presto di fronte, come antagonista, Rainuccio, figlio di Barone Allegretti, suo cugino, che, prevenendo il B., indusse il Capitolo ad eleggerlo vescovo, nonostante che tale facoltà fosse riservata al pontefice. Adducendo a pretesto l'illegalità della procedura seguita nell'elezione di Rainuccio, e il fatto che il papa Giovanni XXII si dimostrava restio a convalidarla, Benedetto, istigato dal padre, non volle consegnare né Berignone né l'archivio, dando così origine ad una lotta che, se si concluse per il momento con la fuga dei Belforti da Volterra e la vittoria di Rainuccio e degli Allegretti, permise al B. di porre le premesseper il suo ritorno vittorioso nella città. Infatti, accortosi di non poter più a lungo resistere agli avversari, piuttosto che consegnare nelle loro mani il castello di Berignone, il B. ne indusse gli abitanti a sottomettersi non al vescovo ma al Comune (22 luglio 1321), che in tal modo poté. avere una base giuridica su cui fondare le proprie pretese di dominio sul castello. Tale astuta mossa consenti più tardi al B. di presentarsi come fautore del Comune, di cui aveva favorito le mire contro il vescovo. Trascorse gli anni dell'esilio nei castelli che ancora- gli rimanevano e a Firenze. Inoltre fu podestà di Bologna negli anni 1337 e 1338. L'8 sett. 1340, appoggiandosi proprio al popolo, di cui aveva difeso gli interessi, con l'aiuto di numerosi partigiani rientrò in Volterra cacciandone la fazione degli Allegretti. Poi il B. assalì anche il vescovo Rainuccio che, dopo essersi difeso disperatamente in Berignone, fuggì prima a San Galgano e poi a Montalcino. Mentre fuori della città continuava la lotta contro gli avversari e contro il vescovo Rainuccio - cui tolse, uno dopo l'altro, tutti i castelli vescovili (Pomarance, Leccia, Montecerboli, Sasso, Sarzano) che tante, volte, in passato, erano stati causa di dissidi e di lotte tra il Comune e il vescovo -, il B. cercò di riformare il governo del Comune in modo da concentrare nelle proprie mani tutto il potere; abolì l'ufficio di capitano del popolo, al posto del quale creò la carica di capitano generale della città e del distretto, che egli stesso assunse nel 1340, aggiungendovi nel 1342 anche quella di gonfaloniere di giustizia. Per togliere ai suoi avversari ogni speranza di ritornare in città, acquistò e distrusse le loro case.
Malgrado le misure prese, il potere del B. non era ancora ben saldo, ed egli non riuscì a impedire che Volterra, seguendo l'esempio di Firenze, si ponesse sotto la signoria di Gualtieri di Brienne, duca d'Atene (25 dic. 1342). Secondo il Villani, il B. sarebbe stato tenuto in Firenze, e con lui altri signori e vescovi di Toscana, "Per sicurtà di loro terre" (L XII, cap. 8, p. 448). Ma dopo la caduta del duca (estate 1343) il B. poté tornare in Volterra padrone incontrastato, proseguendo nel rafforzamento del regime signorile, in cui le istituzioni comunali, pur rimanendo nominalmente intatte, furono profondamente modificate. Ridusse tra l'altro della metà il numero dei membri del Consiglio generale, al fine di meglio dominarlo; riservò a sé l'elezione del podestà, e la revoca degli sbanditi e, infine, fece stabilire per legge che della magistratura degli Anziani dovesse sempre far parte uno dei Belforti. In tal modo niente poteva esser deciso senza la sua preventiva autorizzazione, e senza il controllo dei suoi fidi. Oltre che su questi eccezionali poteri, la sicurezza del regime instaurato dal B. era basata anche su una fitta rete di interessi e di alleanze personali che egli aveva saputo tessere intorno a sé, con piccoli e grandi servizi resi alla comunità e ai privati. A ciò si aggiunga che la tradizione guelfa della sua famiglia e certa sua larghezza gli procurò presto anche il favore dei clero, su cui poco poteva il vescovo Rainuccio dal suo esilio. E quando Rainuccio morì, nel 1348, in Montalcino ove si era rifugiato, non fu difficile al B. realizzare l'ultima sua grande aspirazione: vedere elevato alla cattedra vescovile il più giovane dei suoi figli, Filippo. Inoltre, proprio nel 1348, il B., ormai al culmine della sua fortuna, poté assicurare la continuità del potere nei propri discendenti, facendo riconoscere dal popolo, quali successori, i suoi figli Paolo e Roberto cui, senza ostacoli, vennero riconosciuti gli stessi poteri già attribuiti al padre. Morì, a quanto pare, pochi mesi dopo, nel 1348 o all'inizio del 1349.
Fonti e Bibl.: G. Villani, Cronica, in Croniche di Giovanni, Matteo e Filippo Villani, I, Trieste 1857, l. XI, cc. 116, 132, 134, pp. 427, 434, 437; l. XII, cc. 8, 17, pp. 448, 454; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XVIII, I, 2, pp. 473, 479-80, 481-82; L. A. Cecina, Notizie istor. della città di Volterra, con note, ed accresciuta da F. Dal Borgo, Pisa 1758, pp. 96-98, 122-128, 130; A. F. Giachi, Saggio di ricerche sopra lo stato antico e moderno di Volterra, I, Firenze 1786, pp. 28, 131 s.; Appendice..., Siena 1798, n. LIX, pp. 192-210; G. Leoncini, Illustrazioni sulla cattedrale di Volterra, Siena 1869, p. 368; R. Maffei, Storia volterrana, a cura di A. Cinci, Volterra 1887, pp. 381, 393, 398, 404, 415, 445-447, 454-462, 464-473, 475-480; G. Volpe, Volterra....Firenze 1923, pp. 199 s. (ora in Toscana medioevale, Firenze 1964, pp. 306 ss.).