OTTAVA
. Metrica. - È una strofa di otto versi endecasillabi, di cui i primi sei a rime alternate, gli ultimi due a rima baciata.
Molto si è discusso sulla genesi di essa, né ancora la questione si può dire risolta. Secondo l'opinione più comune e forse più persuasiva, l'ottava deriverebbe dallo strambotto o ottava siciliana, che è anch'essa di otto endecasillabi tutti a rime alternate, ma che in Toscana assunse la forma dell'ottava classica. Secondo altri la sua origine sarebbe o dalla stanza di canzone (Casini) o da quella della ballata (Flamini), qual è nel tipo strofico della lauda. Ma è certo che l'ottava appare primamente nella poesia religiosa e giullaresca degli ultimi del sec. XIII e dei primi del sec. XIV, e continua poi ad essere usata nelle sacre rappresentazioni e nei molti cantari cavallereschi o di materia classica del Tre e Quattrocento. Il Boccaccio fu il primo a innalzarla a dignità artistica nel Teseida, nel Filostrato e nel Ninfale fiesolano. Poi seguirono il Poliziano, il Pulci, il Boiardo, coi quali l'ottava divenne il metro esclusivo dei poemi epici o narrativi, e toccò con l'Ariosto la perfezione per l'intima fusione del ritmo col pensiero.
L'ottava nel Seicento decade coi molti imitatori dell'Ariosto e del Tasso, ma ancora brilla talvolta nell'Adone del Marino e nella Secchia rapita del Tassoni. Dopo si può dire ch'essa sia finita come metro narrativo, sebbene non ne manchino esempî in poemetti, novelle, cantiche e brevi composizioni epico-liriche.
Nell'Ottocento scrissero ottave di bella fattura Niccolò Tommaseo nelle sue narrazioni Una serva, La Contessa Matilde, e Giovanni Marradi nella Sinfonia del bosco.
Bibl.: F. Flamini, in Rassegna bibl. d. letter. italiana, IV (1896), pp. 167-172; T. Ortolani, Studio riassuntivo sullo strambotto, Feltre 1898, pp. 33-41; G. Carducci, Opere, I, pp. 275-77.