Vávra, Otakar
Regista cinematografico ceco, nato a Hradec Králové il 28 febbraio 1911. Insieme a Josef Rovenský e Martin Frič negli anni Trenta portò la cinematografia cecoslovacca alla piena maturazione stilistica. Nei settant'anni di attività, con una filmografia di circa cinquanta opere, ha colto il riflesso del 20° sec. nel suo Paese: la Prima repubblica, l'occupazione nazista, la liberazione sovietica e il socialismo reale, la Primavera di Praga, la normalizzazione, la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e gli anni Novanta, il nuovo millennio, alternando film più riusciti ad altri eseguiti su commissione e meno sinceri.
Dopo aver frequentato la facoltà di Architettura e scritto di cinema su riviste d'avanguardia, realizzò a vent'anni il cortometraggio Světlo proniká tmou (1931, La luce attraversa le tenebre), un superbo film futurista dove il tema della velocità viene espresso attraverso il gioco delle luci notturne di Praga. Tre anni dopo con un altro cortometraggio Žijeme v Praze (1934, Viviamo a Praga), espresse attraverso il documentario un personale realismo poetico, rileggendo i primi film di René Clair, Jean Renoir e Marcel Carné. L'anno successivo perfezionò la sua ricerca fotografica e narrativa con il cortometraggio Listopad (1935, Novembre), ellittica storia senza dialogo dell'incontro tra due amanti, nella brulla campagna della periferia praghese, mentre si prepara un temporale. Molto interessato alla letteratura, con Filosofská historie (1937, Storia di filosofi), iniziò un lungo lavoro di traduzione cinematografica dei maggiori autori cechi. Qui la storia di A. Jirásek gli permise di parlare metaforicamente della rivoluzione del 1848 contro K. von Metternich alludendo al nazismo, pochi mesi prima degli infausti Patti di Monaco. Sin da questo primo lungometraggio V. mostrò di apprezzare l'estetica di Sergej M. Ejzenštejn (nella scena in cui i soldati massacrano la popolazione inerme) cui sarebbe rimastoa fedele anche successivamente. Dopo alcuni film controllati dalle forze tedesche e d'occupazione, come Humoreska, (1939, Racconto umoristico) e Turbina (1941, La turbina), V. poté tornare alla sua libertà stilistica in Němá barikáda (1949, La barricata muta), sull'insurrezione di Praga. Il film, vicino al Neorealismo rosselliniano (che V. dichiarò di non aver ancora conosciuto a quel tempo), mostra un ritmo compatto e un uso espressivo dei movimenti di macchina, seppur appesantito da un insistito finale sull'arrivo festante delle truppe sovietiche (era necessario festeggiare le libere elezioni del 1948). V., come tutti gli altri cineasti cechi e slovacchi dovette piegarsi all'estetica imposta dal Partito comunista (Občan Brych, 1958, Il cittadino Brych), cui cercò di sottrarsi, quando fu possibile, rifugiandosi nel film letterario o storico, come la trilogia dedicata all'eresia hussita: Jan Hus (1955), Jan Žižka (1956), Proti všem (1957, Contro tutti). A metà degli anni Sessanta iniziò un terzo periodo, influenzato dai giovani della Nová Vlna: esemplari furono due adattamenti da F. Hrubín, Zlatá reneta (1965, La renetta d'oro) e Romance pro křídlovku (1967, Romanzo per flicorno). Quest'ultimo, recuperando il realismo poetico degli anni Trenta, presentava inaspettate atmosfere felliniane (il mondo povero del luna park) così come pennellate impressionistiche tipiche del primo Miloš Forman (la scena d'amore tra i due giovani accanto al fiume). La 'normalizzazione' risospinse V. verso lavori su commissione (come l'apologetico Sokolovo, 1975), cui sarebbe sfuggito negli anni Ottanta con eleganti trasposizioni letterarie (Oldřich a Božena, 1985, Oldrich e Bozena). Dopo aver presentito la rivoluzione di velluto con Evropa tančila valčík (1989, L'Europa danzava il valzer), sulle cause della Grande guerra; nel 2000 ha girato il lirico Moje Praha (La mia Praga), dedicato alla Città vecchia, un cortometraggio televisivo che idealmente chiude il suo viaggio nella storia attraverso il cinema, tornando al tema degli esordi.