Morris, Oswald
Direttore della fotografia inglese, nato a Ruislip (Middlesex) il 22 novembre 1915. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta si affermò come uno dei migliori conoscitori del Technicolor, di cui talvolta forzò i limiti tecnici, soprattutto nei nove film in cui collaborò con John Huston, ma anche in quelli di altri cineasti attenti all'aspetto figurativo delle loro opere. Lavorò anche all'estero, dove ebbe un ruolo di primo piano nell'affermazione internazionale della scuola fotografica inglese. Ottenne riconoscimenti prestigiosi, fra cui un Oscar nel 1972 per Fiddler on the roof (1971; Il violinista sul tetto) di Norman Jewison, tre BAFTA Awards, quattro premi della British Society of Cinematographers, e nel 2000 il premio alla carriera dell'American Society of Cinematographers.
Figlio di un tabaccaio, sin da bambino fu appassionato di fotografia e trascorse spesso le vacanze estive aiutando un proiezionista amico del padre. Lasciata la scuola a sedici anni, nel 1932 entrò come apprendista al reparto tecnico della Associated Sound Film Industries a Wembley, dove (dopo un intervallo nel 1934-35, in cui fu ciacchista della British International Pictures a Elstree) dal 1935 fu assistente operatore e dal 1938 operatore alla macchina. Fu poi operatore alla macchina per la Independent Producers a Pinewood, collaborando con il direttore della fotografia Guy Green, che può essere considerato il suo maestro, in Blanche fury (1947; Stirpe dannata) diretto da Marc Allégret, Oliver Twist (1948; Le avventure di Oliver Twist) e The passionate friends (1948; Sogno d'amanti), entrambi di David Lean.Esordì come direttore della fotografia con Golden sala-mander (1949; La salamandra d'oro) di Ronald Neame, regista con cui M. avrebbe lavorato in seguito in altri cinque film. Fu nel campo del colore che trovò le prime affermazioni, soprattutto grazie a Moulin Rouge (1952) di Huston, che gettò le basi della sua lunga collaborazione con questo regista e che resta uno dei più memorabili esempi di uso pittorico del Technicolor tripack, ammorbidito negli interni dal fumo, usato come diffusore della luce per raddolcire i contrasti cromatici troppo brillanti. Negli anni Cinquanta M. alternò il colore al bianco e nero, ottenendo risultati di altissimo livello e diventando un punto di riferimento per le produzioni hollywoodiane girate in Europa. Nel 1953 il produttore David O. Selznick, ritenendo troppo drammatica la fotografia di G.R. Aldo in Stazione Termini di Vittorio De Sica, per girare le inquadrature in cui compariva sua moglie Jennifer Jones scritturò proprio M., che riuscì a mediare le esigenze del glamour hollywoodiano con lo stile realistico del film. A consolidare definitivamente la sua fama come maestro del colore fu Moby Dick (1956) di Huston, che, ispirandosi alle vecchie stampe marinare della prima metà dell'Ottocento, sfiora il monocromatismo. Proprio come Huston anche M. abbandonò prima della fine la tormentata lavorazione di A farewell to arms (1957; Addio alle armi), poi terminato dall'operatore italiano Piero Portalupi e dal regista Charles Vidor. Coinvolto soltanto marginalmente nel Free Cinema, fotografò Look back in anger (1959; I giovani arrabbiati) e The entertainer (1960; Gli sfasati), entrambi di Tony Richardson. Diede un'ultima grande prova nel bianco e nero con Lolita (1962) di Stanley Kubrick, dove rappresentò i diversi stati d'animo del protagonista alternando scene con toni tenui e morbidi ad altre violentemente illuminate. Gestì poi con sapienza il colore di ambiziose produzioni quali The guns of Navarone (1961; I cannoni di Navarone) di J. Lee Thompson o The taming of the shrew (1967; La bisbetica domata) di Franco Zeffirelli, dal cromatismo quasi manierato. Sebbene attribuito nei titoli all'operatore italiano Aldo Tonti, Reflections in a golden eye (1967; Riflessi in un occhio d'oro) di Huston si può considerare il capolavoro di M., che vi condusse alle estreme conseguenze le ricerche sulla desaturazione del colore già sviluppate in Moby Dick. Ebbe poi una nomination all'Oscar per Oliver! (1968) di Carol Reed. Negli anni Settanta impose il suo inconfondibile stile in molte imponenti produzioni britanniche, ma paradossalmente venne premiato con l'Oscar per uno dei suoi film meno significativi, Fiddler on the roof. In realtà il suo miglior lavoro di quel periodo resta The man who would be king (1975; L'uomo che volle farsi re) di Huston, nel quale sperimentò la 'temperatura-colore' del sole del Marocco per esplorare una nuova dimensione cromatica del racconto d'avventura. Ebbe infine un'altra nomination per The wiz (1978; I'm magic) diretto da Sidney Lumet, regista con il quale girò quattro film. Si è ritirato all'inizio degli anni Ottanta.
Fratello del direttore della fotografia Reginald, attivo dagli anni Cinquanta, ha lavorato anche, tra gli altri, con registi come Delmer Daves, Martin Ritt, Herbert Ross e Joseph L. Mankiewicz.
G. Gow, The right look, in "Films & filming", 1977, 7, pp. 10-17; D. Shear, 'There is no set pattern', in "Film heritage", 1977, 3, pp. 1-11; B. Baker, M. Salmi, Oswald Morris, in "Film dope", 1990, 45, pp. 1-13, 41-43.