CALÒ, Osvaldo (Aldo)
Nacque a San Cesario di Lecce il 24 giugno 1910 da Augusto e Vincenza Capone. Frequentò l'istituto d'arte di Lecce e completò la sua formazione scolastica presso il Magistero d'arte di Firenze. Iniziò nel 1950 l'attività didattica come incaricato per l'insegnamento della plastica ai corsi superiori dell'istituto d'arte di Lecce e, contemporaneamente, di Bari; nel 1954, fu chiamato alla direzione dell'istituto d'arte di Volterra, che mantenne fino all'ottobre del 1958. Divenuto, nel novembre dello stesso anno, direttore dell'istituto d'arte di Napoli, fu chiamato nel 1959 alla direzione dell'istituto d'arte di Roma, alla cui guida restò fino al 1975. L'intenso impegno scolastico, tuttavia, non lo distolse dalla vocazione plastica, ché anzi, l'interesse didattico, lungi dal creare difficoltà all'attività artistica, la arricchì, piuttosto, con la lunga consuetudine del lavoro quotidiano, di una conoscenza profonda delle qualità morfologiche ed estetiche dei materiali e di una sicura padronanza dei mezzi tecnici.
L'esordio come scultore risale al 1945, con una personale alla galleria del Circolo cittadino leccese che documenta, come la successiva esposizione veneziana del 1947, presso là galleria del Cavallino, una fase ancora inevitabilmente incerta, ma già rivelatrice dell'atteggiamento del C., da un lato ancora legato a certa figuratività agitata di matrice scolastica, ma dall'altro già sensibile, sia pure in forma forse solo epidermica, ai richiami della scultura di Martini e perciò avviato, oltre che a chiarire e precisare il proprio stile, al distacco dal barocchismo e dal provincialismo locali in favore delle esperienze artistiche coeve, nazionali ed europee. Più tardi, la partecipazione nel 1948 alla Biennale veneziana (dove fu presente anche negli anni '50, '52, '54, '62), il riconoscimento, nello stesso anno, del gran premio Forte dei Marmi ex aequo e la personale alla galleria dei Secolo di Roma del 1949, lasciano intravvedere una consapevolezza di scelte espressive nel gusto dell'autore, sempre più determinato ad uscire dalla statuaria per recuperare la forma nel suo valore di volume-massa in dialettico rapporto con lo spazio.
L'ispirazione, questa volta, veniva da Marino Marini, e la si poteva leggere nell'ampiezza e nell'eleganza del movimento impresso ad una plastica fattasi più concreta e aderente alla materia, come ben svela, ad esempio, la Figura in legno del 1949, in cui è esplicito il rimando alle Pomone mariniane. Ma il 1949 fu un anno decisivo per il C., anche perché fu segnato dal primo incontro con la scultura di Henry Moore, presente alla Biennale del 1948, la cui sapiente lezione si sarebbe rivelata decisiva nel richiamare l'artista salentino a quel superamento di ogni scolastico descrittivismo e sentimentalismo figurativo.
Con queste premesse, nel 1950 il C. era a Parigi; e dopo un lungo soggiorno, nel 1951 Ossip Zadkine alla Maison du livre italien lo presentò al pubblico e alla critica francesi. Il 1952, con il viaggio in Inghilterra ed il soggiorno a Perry Green, segnò l'approdo definitivo a Moore, la cui lezione, già avvertita nel Gran gruppo del 1950 e nella Figura seduta del 1951, si precisò nel senso di una più marcata semplificazione formale che non mortificava, ma anzi esaltava drammaticamente l'istintiva intensità emotiva. L'influenza dei monumentali pieni-vuoti di Moore e l'istanza di una coesistenza tra massa e spazio, non inerte ma dialettica, conducevano il C. all'esperienza delle Biforme, fra le quali, emblematica, resta quella del 1953 esposta l'anno successivo alla Biennale di Venezia.
Con questo nome il C. designava le sue sculture polimateriche (legno e ferro, marmo e bronzo, peperino e ferro, ferro e cristallo), costituite da elementi formali nettamente distinti: uno statico, esattamente definito, assestato ed inette, uno libero dinamico, lanciato nello spazio, ed infine uno luminoso, dato dai raggi del sole che nel variare intensità e inclinazione esaltavano, col continuo divenire di luci, di ombre, di riflessi e perciò di immagini-colore, il drammatico incontro-scontro degli opposti.
La lezione di Moore, se pure alla lunga più persuasiva, non fu però la sola in questi anni, come attestano la Scultura del 1953 e il Torso n. 1 del 1954, che nella accentuazione del valore della materia e nella concentrazione dei volumi denunciavano aperture verso Arp e Brancusi. L'innesto di assimilazioni diverse e per certi aspetti contrastanti non fu pacifico, e apri nel C. una crisi che, con l'accentuare il potenziale emotivo a scapito dell'astrazione formale, lo ricondusse ad esperienze di tipo figurativo (Ratto, 1955). La soluzione fu, ancora una volta, legata alle scelte iniziali della ricerca, ed egli tornò ad affidare alla materia, proprio per la sua vitalità intrinseca, la maggiore intensità emozionale. La "parentesi figurativa" venne perciò superata nel recupero delle Biforme, trasformate in organismi plastici autonomi e significativamente intitolate nel 1957-58 Sculture vive.
In questa prospettiva sono da intendersi anche le successive scelte espressive degli anni 1960-67: nella serie delle Piastre (oggetti di forma geometrica realizzati mediante la stratificazione di lamiere bronzee sovrapposte e compresse) e nel bozzetto per il Monumento alla Resistenza di Cuneo, il C., pur ribadendo i termini essenziali della sua ricerca, superò la formula dell'innesto fra materie e modalità formative distinte, in favore di un rapporto dialettico che, nell'interno stesso dell'opera, si instaurava fra la sua rigorosa definizione formale e il trauma della lacerazione che corrompe inevitabilmente la forma.Furono questi gli anni più lusinghieri per i consensi di critica e la dovizia di riconoscim'enti ufficiali; fra gli altri: le presenze alle Quadriennali di Roma negli anni 1955, 1959, 1966; nel 1962 il gran premio di scultura ex aequo alla Biennale; l'anno seguente la vittoria al concorso per il Monumento alla Resistenza di Cuneo (peraltro poi realizzato da Mastroianni) e la mostra antologica in occasione dei premio Termoli; nel 1965 l'incarico della direzione del corso superiore di disegno industriale e comunicazione. visiva all'istituto d'arte di Roma, mantenuto fino al 1972. Il momento successivo nella ricerca del C. fu la scelta delle Superfici che, nel ribadire l'attenzione per le conformazioni geometriche rigorosamente precisate, preparavano l'ulteriore passaggio alle forme più libere degli Oggetti Plexiglas.
Questi, se chiudevano definitivamente con le suggestioni dell'informale, certo non estranee alla produzione delle Piastre, testimoniavano d'altro canto il trasferimento della metodologia della produzione seriale dal campo industriale a quello artistico.
Ulteriori chiarificazioni in questa stessa direzione vennero dalla progettazione, condotta in un arco di anni che va dal 1968 al 1971 e oltre, di Elementi modulati.
L'impiego e la selezione di materiali specifici dell'industria (acciaio inox, profilato, anodizzato, ferro smaltato) se da una parte consentivano all'artista di partecipare al contesto tecnologicamente avanzato in cui viveva, dall'altra acquistavano alla sua ricerca scultorea nuove possibilità espressive e favorivano il controllo dell'"impeto soggettivo a vantaggio d'una maggior chiarificazione oggettiva delle forine".
Questa fase di ricerca può dirsi conclusa nel 1972 con la mostra di sculture in piazza Margana a Roma. Parallelo, in sintonia con la ricerca artistica, proseguì anche l'impegno didattico che nel 1973 portò il C. alla direzione dell'Istituto superiore di disegno industriale di Roma, presso il quale egli rimase fino al settembre 1980 con incarico direttivo e successivamente come membro del comitato scientifico didattico a vita. L'ultima sua produzione, fa registrare la rielaborazione di una costante formale: la Piastra-Immagine attraverso il processo progettuale e il recupero di materiali tradizionali e familiari, di volta in volta adattati o riproposti con altri, così da dar vita a forme sempre nuove, ma costanti nel rispetto del rigore razionale della forma.
Il C. morì a Roma il 15 genn. 1983.
Fonti e Bibl.: L. P. Suppressa, Aldo C., Lecce 1951; 0. Zadkine, Sculptures de Aldo C., Paris 1951; N. Ponente, Aldo C., Roma 1957; Premio Termoli (catal.), Roma 1965, pp. 17-63; Aldo C. (catal., gall. dell'Obelisco), Roma 1965; I. Tomassoni, Aldo C., Milano 1970; F. Menna, C., Cuneo 1972; E. Mercuri, Aldo C., Roma 1978; N. Ponente, Aldo C. (catal., gall. Editalia), Roma 1979; Mostra antologica di Aldo C. (catal., San Cesario di Lecce, pal. Ducale), a cura di L. Galante, Lecce 1979; Presenze pugliesi nell'arte contemp. Ab origine (catal., Martina Franca, studio Carrieri), Bari 1983, pp. 12-15.