OSTRACISMO
. Sorta di bando che poteva essere inflitto non più di una volta all'anno, in Atene e nelle città che ne imitavano le istituzioni, al cittadino ritenuto più pericoloso alla compagine dello stato. Prende il nome dal fatto che nell'assemblea popolare ciascuno votava scrivendo il nome del concittadino inviso sopra uno di quei frammenti di terracotta che portavano il nome di ὄστρακα (v. ostraca). Non è una condanna all'esilio (ϕυγή), anzi neppure una pena, ma piuttosto una misura di polizia; tant'è che l'ostracizzato conservava i beni e continuava ad essere protetto dalle leggi patrie: solo doveva restar fuori del territorio della città, anzi (in qualche periodo) ad una certa distanza dalla frontiera, per un tempo che fu, almeno in origine, di 10 anni; accadeva però spesse volte che, mutando le passioni popolari, gli uomini messi al bando venivano anzitempo richiamati e onorati.
La legge istitutiva dell'ostracismo è riferita da Aristotele e da altri antichi alla riforma democratica di Clistene (510 a. C.); ma, poiché è certo che nessuna applicazione se ne ebbe prima del 487, non è improbabile che sia nel vero qualche autore isolato che afferma introdotto l'ostracismo nel 488. Il fine dichiarato era di colpire quelle aspirazioni alla tirannide che, chiaramente avvertite dal popolo, non si erano peraltro estrinsecate in azioni punibili come delitti: il primo a subire l'ostracismo fu perciò Ipparco, della famiglia dei Pisistratidi. Ma la grande famiglia degli Alcmeonidi, che aveva così voluto assicurarsi la prevalenza nella repubblica, ne sofferse subito le conseguenze con l'ostracismo dei suoi membri più autorevoli; e in seguito questo modo relativamente agevole di sbarazzarsi dei competitori fu largamente usato dai capiparte. L'ultimo caso noto è del 417; in seguito la vecchia legge rimase solo come una minaccia.
Come è noto, l'anno ufficiale degli Ateniesi era diviso in dieci pritanie: nella sesta secondo Aristotele, nell'ottava secondo Filocoro, i pritani interrogavano preventivamente il popolo circa l'opportunità di procedere a una votazione di ostracismo, detta ostracoforia. Nel caso di voto affermativo, si fissava un'apposita riunione dell'assemblea. Per l'occasione, l'agorà era circondata da un recinto, interrotto da dieci porte attraverso le quali passavano i cittadini delle dieci tribù, ciascuno tenendo in mano il suo ὄστρακον rovesciato; su esso aveva scritto in precedenza il nome, il patronimico, eventualmente anche il demo di colui che riteneva meritevole di ostracismo. I nove arconti, che presiedevano l'adunanza, procedevano allo scrutinio: se un cittadino risultava designato, aveva dieci giorni di tempo per lasciar la città. Ma la votazione non era valida se non vi avessero partecipato 6000 votanti (secondo altri, la cui opinione è da scartare, se non si erano raccolti almeno 6000 voti su un nome).
L'ostracismo fu imitato in Argo, Mileta, Megara; lo si trova anche a Siracusa, dove era detto petalismo (πεταλισμός) per essere scritti i voti su foglie di fico.
Bibl.: K. J. Beloch, Griechische Geschichte, 2ª ed., I, ii; Berlino 1926, p. 332 segg.; II, i, ivi 1927, p. 29 segg.; B. Busolt, Griechische Staatskunde, 3ª ed., II, Monaco 1926, p. 884 segg.; J. Carcopino, Histoire de l'ostracisme athénien, Parigi 1909; K. Lugehil, Über das Wesen und die historische Bedeutung des Ostrakismos in Athen, in Jahrb. f. klass. Philologie, Suppl. vol. IV (1861), p. 117 segg.; A. Martin, Ostrakismos, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq. grecques et rom., IV, i, p. 259 segg.; I. M. J. Valeton, De ostracismo, in Mnemosyne, XV-XVI (1887-88); U. Kahrestedt, Staatsgebiet und Staatsangehörige in Athen, Stoccarda 1934, p. 123 segg.