Vedi OSTIA dell'anno: 1963 - 1973 - 1996
OSTIA (Ostia, Ostia Tiberina)
Prima colonia di Roma, il cui nome deriva dalla foce del Tevere, ostium, presso il quale fu fondata, in funzione sia di avanguardia verso il mare, sia di protezione dell'approdo alla foce e del commercio fluviale, sia per lo sfruttamento delle saline. La fondazione viene riportata dalle fonti al re Anco Marcio (Cic., De rep., ii, 3, 5; 18, 33; Liv., i, 33; Dionys., iii, 44, ecc.), ma tale antichità, difesa da alcuni storici come J. Carcopino, che ha pensato a mi primitivo centro federale latino come nucleo della colonia, è stata invece negata da altri, come E. Pais, che l'ha considerata frutto delle leggende celebrative dovute alla famiglia dei Marci nella seconda metà del IV sec. a. C., e come G. De Sanctis, che ha supposto una duplice colonizzazione. Gli scavi, dopo le spogliazioni continue, che procacciavano fra l'altro marmi alle cattedrali di Pisa, di Orvieto, e alla basiliche romane di S. Pietro, di S. Giovanni Laterano, di S. Lorenzo in Lucina, divennero sistematici sotto Pio IX dal 1855 al 1870; una regolare esplorazione scientifica della città fu iniziata con D. Vaglieri ai primi del sec. XX e fu ininterrottamente proseguita da R. Paribeni e poi specialmente da G. Calza, soprattutto tra il 1938 e il 1942, che mise in luce un'area di 34 ettari; sicché pur restando ancora da scavare tutta la zona verso Tor Bovacciana e alcuni quartieri periferici per circa 16 ettari, si può tuttavia avere un quadro abbastanza completo di questo antico centro commerciale di Roma.
Questi scavi sono stati poi integrati da una serie di saggi stratigrafici e di parziali esplorazioni sotto la direzione di P. Romanelli, di I. Gismondi e attualmente di A. L. Pietrogrande, allo scopo di mettere in luce i resti degli strati archeologici più antichi sotto il livello imperiale. In tutti questi saggi non è stato peraltro trovato finora alcun elemento più antico del IV sec. a. C., quindi volendo dar fede alla tradizione storica si dovrebbe immaginare un primitivo abitato fuori dei limiti dell'area occupata dalla città imperiale. D'altro canto la primitiva topografia della zona ostiense rimane per ora alquanto incerta soprattutto in relazione al problema discusso del corso originario del Tevere. Nel territorio ostiense immediatamente circostante non sono affiorati fino adesso elementi che si possano riferire ad un nucleo abitato di periodo regio.
1. La Colonia. - Si può soltanto dire oggi con sicurezza che poco dopo la metà del IV sec. a. C., prima del 340 secondo il Meiggs, verso il 335 secondo il Calza, sorse la colonia ostiense che si identifica con il nucleo primitivo al centro della città imperiale messa in luce. Sorge come un tipico castrum rettangolare di m 193 × 125, fortificato da mura a blocchi squadrati di tufo di Fidene con quattro porte alle estremità del cardo maximus e del decumanus maximus incrociantisi regolarmente al centro.
L'impianto del castrum ebbe come limiti il supposto antico corso del Tevere a N, lungo cui sembra aver allineato il suo asse maggiore, la spiaggia del mare a O e, come le grandi vie militari rappresentano l'asse su cui si imperniano molti dei centri urbani che vanno moltiplicandosi sulla Penisola, così una generatrice stradale, accanto a questi limiti naturali, sembra essere alla base dal castrum ostiense. Doveva infatti esistere un primitivo camminamento lungo la sponda del Tevere collegante Roma con il mare, sul quale venne imperniato il decumano massimo, via che, dopo la fondazione di O., prenderà il nome di Ostiense. E un altro camminamento doveva correre parallelamente al litorale da Laurentum verso la foce del Tevere, incrociando obliquamente quello che veniva da Roma, e su questo incrocio fu forse aperta la porta occidentale del castrum.
Il castrum sorge quindi di getto con pianta regolare, seguendo le preesistenti direttrici di traffico, la topografia del luogo e le esigenze militari e commerciali; il cardine massimo, largo m 6,90, e il decumano massimo, largo m 7,35, selciati, dividevano l'area in quattro zone rettangolari, con via pomeriale interna. Le vie interne avevano una fognatura a lastre di tufo su cui sfociavano quelle minori dalle costruzioni che le fiancheggiavano. Non sembra che esistesse un Foro o una piazza all'incrocio del cardine con il decumano, perchè nell'area del Foro imperiale sono venute in luce tabernae. Terrecotte architettoniche farebbero pensare all'esistenza di un tempio.
La posizione di questa colonia alla foce del Tevere, cioè presso l'unico approdo marittimo esistente lungo la costa vicino a Roma e all'imbocco di questa importante via fluviale, il rapporto sempre più stretto che la colonia veniva ad avere con la capitale, destinavano necessariamente O. a divenire lo scalo commerciale di Roma.
La trasformazione del carattere militare del castrum in una città con funzione prevalentemente commerciale si sviluppa durante i tre secoli della Repubblica e si compie con la creazione della più ampia cinta di mura in epoca sillana, che delimita un nuovo organismo urbano, trasformando in quartieri cittadini quelli che erano stati i sobborghi della primitiva cittadella.
Poiché le fonti storiche (Liv., xxii 11 e 37; xxv, 20) parlano di O. come scalo di Roma già durante il III sec. a. C. è probabile che fuori del castrum si fossero costruiti apprestamenti lungo la riva del fiume e che nel III e II sec. a. C. qualche costruzione, qualche magazzino fossero sorti fuori delle mura lungo le arterie principali: cioè la via che uscendo dalla porta occidentale andava diritta verso il mare; e l'altra che divergendone andava verso la foce del fiume; la via che uscendo dalla porta N conduceva alla riva del Tevere, e l'Ostiense che faceva capo alla Porta Orientale, mentre minore importanza commerciale doveva avere in quest'epoca la via Laurentina che divergeva obliquamente dalla porta meridionale, collegando centri uniti più direttamente con Roma.
I saggi stratigrafici hanno rivelato infatti resti di muri a blocchi squadrati di tufo giallastro, sia dentro il castrum, sia fuori nelle zone più prossime alle mura, che devono appartenere a edifici pre-sillani, come pure altri resti di muri in blocchi di tufo litoide e di piccola opera poligonale tufacea che scendono forse al II sec. a. C. Se attestano questa espansione dell'abitato fuori del castrum non permettono peraltro di ricavare piante di edifici.
Al periodo pre-sillano deve risalire anche la munitio della via Ostiense con crepidini di tufo a contrafforti esterni e palizzata sulle saline, via che avrà più rialzamenti nel I sec. a. C. Rimane finora incerto il tracciato della via Ostiense nel tratto tra le saline e la necropoli fuori la Porta Romana. Si pensava infatti che l'ansa del Tevere, corrispondente al "Fiume Morto" che fu tagliata durante una piena nel XVI sec., fosse originariamente più ristretta permettendo un percorso rettilineo alla Ostiense. Saggi recenti di scavo entro l'ansa hanno invece rivelato un quartiere commerciale del I-II sec. d. C. con impianto ad angolo ottuso, dove si è trovato un cippo iscritto della delimitazione del Tevere, dimostrando che il fiume seguiva anche in periodo romano questo letto, che non lascia posto sufficiente per un tracciato rettilineo della via. Dovremmo pertanto supporre che l'Ostiense piegasse seguendo quest'ansa, per poi allinearsi nel tratto dove sorgerà la necropoli.
Pre-sillana appare la delimitazione di tutta l'area di rispetto fra il lato N della via Ostiense e il Tevere, dalla Porta Orientale del castrum fino oltre la posteriore Porta Romana. Questo tratto di ager publicus, i cui confini erano segnati da cippi posti da un G. Caninio (G.I.L., xiv, 4702, 4703), è certo in relazione ai bisogni del traffico fluviale, per gli approdi e i magazzini lungo il fiume, e per destinare il terreno a opere pubbliche, e sarà uno dei fattori determinanti l'urbanistica particolare di tutta questa zona monumentale della futura città imperiale. Mancano finora invece tracce sicure della necropoli pre-sillana, poiché è difficile stabilire la cronologia di sepolture sotto sabbia trovate dal Vaglieri fuori della Porta Romana. Manca anche la documentazione di templi, sebbene il culto di Vulcano debba risalire certamente al periodo pre-sillano, ma finora non sappiamo dove fosse localizzato; forse era fuori delle mura.
2. Età sillana. - La cinta sillana segna la nascita di una nuova città, e come tutti i centri laziali da Palestrina a Cori, da Tivoli a Terracina, si rinnovano in questo periodo, anche O. entra con Silla in una nuova fase della sua vita edilizia.
La nuova cinta muraria in opus incertum rivela un progetto di ampio respiro e di vasta portata, che teneva conto delle possibilità di sviluppo di questo centro, tanto che la città imperiale non oltrepasserà che in piccolissima parte queste mura sillane, con una zona di circa 3 ettari fuori Porta Marina, e con il quartiere commerciale del I-II sec. d. C. entro l'ansa del Tevere fuori la Porta Romana, dandoci così un'altra prova del geniale e ardito fervore edilizio e architettonico di questo periodo sillano.
Se il castrum trovava nelle tradizioni militari e nella fondazione di getto la logica della sua pianta rettangolare, la nuova cinta doveva adattarsi alle esigenze della funzione di questo centro commerciale in formazione, seguendo con il suo perimetro le direttrici principali del traffico e dell'espansione avvenuta. A questo compito risponde infatti in pieno la cinta sillana che racchiude un'area di 69 ettari circa, di contro ai 20 ettari del castrum. Il tratto della via Ostiense di circa m 6oo, dal limite dell'ager publicus fino al castrum, fu incluso, divenendo così la prosecuzione del decumanus maximus, e creando un'arteria urbana dritta e ampia, la vera spina dorsale della città, mentre per la prosecuzione fuori dell'antica porta occidentale del castrum, invece di creare artificiosamente un percorso in perfetto asse, mantenne il preesistente tracciato che divergeva verso la spiaggia del mare, come si trasformò in una via cittadina l'antica strada che portava alla foce del Tevere. Ugualmente rispettato fu il tracciato obliquo della via Laurentina, di cui un tratto di circa m 250, incorporato dentro le mura, divenne il cardo maximus meridionale.
La città nuova che nasce con Silla a formazione spontanea si irradia progressivamente dal centro verso la periferia, articolandosi nella sua ossatura variata che riflette le esigenze topografiche dei diversi quartieri. I saggi e alcuni monumenti superstiti permettono di avere un quadro abbastanza completo di questa città, che possiamo dire sillana, in quanto muove dall'impianto gettato da Silla e si sviluppa entro tutto il I sec. a. C. fino ad Augusto. Le costruzioni più antiche sono in opus incertum come le mura, quelle più recenti in opus quasi reticulatum e poi reticulatum, tecnica che abbandonando i grossi blocchi di tufo si adegua alle nuove esigenze di un'architettura più complessa nella pianta, più mossa nell'elevato, più dinamica e più rapida.
Come si assiste a un rifiorire di culti e a una ricostruzione di molti santuarî in tutto il Lazio nel periodo sillano, così anche a O. sorgono varî templi.
Un'area sacra su una piazzetta trapezoidale sorge all'inizio della Via della Foce con il grandioso tempio prostilo, esastilo di Ercole (m 30 × 15) con podio in ortostati di tufo e cella in opus incertum, con podio interno su cui poggiavano colonne laterizie stuccate di rosso, e sul lato N un più piccolo tetrastilo prostilo con podio di opus incertum e cornici e colonne di tufo; terzo anche in ordine di tempo è un piccolo tempio adiacente a quello di Ercole con podio a blocchi di tufo, allineato su Via della Foce.
E templi sorgono anche nell'area pubblica già delimitata da Caninio a N del decumano massimo, uno all'angolo con l'antica via pomeriale esterna (Via dei Molini), con podio in opus quasi reticulatum, e quattro impiantati su un unico podio di opus quasi reticulatum e cornici tufacee, occupano un vasto témenos quadrangolare con portico sui lati e aperto sul decumano, iniziando quella particolare sistemazione urbanistica di tutta questa zona pubblica con carattere regolare, perché su area libera, e monumentale, perché riservata ad edifici pubblici.
Un altro tempio con podio a blocchi di tufo sorge anche nel centro del castrum sul margine O del posteriore Foro, ma non pare che si creasse una piazza antistante, fronteggiando il decumano. Accanto a questo tempio in asse con il posteriore Foro s'impianta poi un altro maggiore di cui resta la cornice inferiore del podio tufaceo, fiancheggiato a E dal cardine massimo, piuttosto stretto, e in questo tempio può vedersi il primo Capitolium della fine della Repubblica.
Lungo le vie principali sorgono intanto le domus delle famiglie signorili, dei magistrati e forse dei primi ricchi commercianti che affluiscono in questa città.
Le domus di questo periodo sono di tipica pianta latinoitalica con fauces, tabernae, atrio, tablino e cubicoli all'intorno, con pavimenti di cocciopesto con qualche tessera di mosaico sparsa o a disegno geometrico, di mosaico con pezzi di marmi colorati, e qualche opus sectile policromo, e poi i mosaici geometrici bianco-neri a piccole tessere. Simili domus troviamo sia nell'area del castrum (le cosiddette casette repubblicane), sia lungo il tratto occidentale del decumano massimo, sia nel tratto meridionale del cardine massimo e alcune, come quelle di Giove Fulminatore o della Nicchia a mosaico, attraverso successivi restauri e modificazioni hanno perdurato fino alla fine della città. In qualche esempio sul decumano occidentale si è riscontrato un portico di colonne di tufo fronteggiante la domus. Accanto alle domus si costruiscono lungo le vie le tabernae, che dovevano costituire, insieme con i piani superiori, le abitazioni del popolo, rafforzate spesso da pilastri tufacei, e non manca qualche edificio con cortile di carattere forse commerciale, come presso Porta Romana e sul lato N del tratto occidentale del decumano.
Le vie principali, come larghi tratti del decumano massimo, del cardine massimo meridionale, dell'antica via pomeriale esterna, erano alla fine del I sec. a. C. già fiancheggiate da portici a colonne e ancor più a pilastri tufacei e poi di travertino con file di tabernae, che alternandosi alle facciate delle domus dovevano dare una prospettiva mossa e variata alle vie, più strette che nel successivo periodo imperiale, con un aspetto un po' austero per il tono del tufo e del travertino, che gli intonaci di alcune costruzioni non riuscivano che in parte ad attenuare. Nel I sec. a. C. le tombe cominciarono ad allinearsi sulle vie che uscivano dalla città, principalmente sull'Ostiense, e anche sulla Laurentina, sia del tipo a cella con recinto e ustrino per famiglia, sia del tipo a monumento funerario isolato con basamento in tufo o travertino, per personaggi più ragguardevoli. Gli esempî più grandiosi di questo secondo tipo sorgono fuori la Porta Marina lungo il breve tratto di strada che conduceva al mare e all'incrocio della via litoranea, dove troviamo un monumento in travertino con esedra a banchina e il monumento sepolcrale del duovir ostiense G. Cartilio Poplicola, con fregio con navi, e i fasci inquadranti l'iscrizione.
Nel periodo augusteo e nei primi decennî del I sec. d. C. le domus divengono sempre più grandiose sia attraverso rifacimenti di quelle sillane, sia con nuovi impianti. Una di impianto sillano, che ha perdurato anche nel I sec. d. C. con peristilio ad alte colonne di tufo e travertino stuccate, fu occupata più tardi dalla sede degli Augustali, di fronte ai quattro tempietti, e una spaziosa domus augustea con peristilio e ninfeo, si allineò tra le altre repubblicane lungo il decumano occidentale, poi distrutta dalla Schola del Traiano.
Mentre Roma trovata da Augusto di mattoni e di terracotta si andava trasformando in una città di marmo, anche O. andava adeguandosi alle nuove esigenze edilizie e architettoniche.
In primo luogo era necessario dare un maggior respiro e maggior decoro al vecchio centro del castrum, cominciando lo smantellamento delle mura dove bisognava stabilire più facili collegamenti con i quartieri all'intorno, o addossandovi nuovi edifici. Sorgono tabernae con pilastri di tufo sulla demolita porta decumana O, e viene smontata quella cardinale S per far posto a un grande tempio di Roma e di Augusto dal podio in opus reticulatum e con tutti gli elementi in marmo, cornici, colonne corinzie, frontoni con delicato senso ornamentale. Esso segna così l'inizio della nuova visione architettonica e decorativa che divide l'austera repubblica dal fasto dell'impero. Occupò lo spazio fra le due antiche vie pomeriali interna ed esterna, e rivolto a N dovette aprirsi su una piazza, creata demolendo le vecchie costruzioni repubblicane, che fu il primo Foro della città.
3. Dal I al II sec. d. C. - Ai primi del I sec. d. C. sorge inoltre il teatro nell'area pubblica già limitata da G. Caninio a E dei quattro tempietti con un impianto grandioso, elevando la cavea in opus reticulatum con porticato esterno sul decumano, e fronteggiando la scena con un piazzale recinto di m 125 × 80, con otto ingressi monumentali a pilastri verso il Tevere, e con doppio portico laterizio stuccato, dorico. Traendo ispirazione dai teatri romani di Pompeo e di Marcello, e seguendo i precetti vitruviani (v 3 e 9), questo piazzale porticato offriva riparo agli spettatori in caso di pioggia, ma in O. era destinato ad assumere anche una funzione commerciale, rappresentando una comoda sede per stationes di armatori e negozianti che andavano ormai moltiplicandosi nella città.
Testimonianza della crescente attività commerciale e marittima di O. sono gli horrea per deposito del grano e delle altre merci che vi affluivano; da quelli in opus reticulatum detti di Hortensius con ampio cortile a colonne di tufo, dinanzi al teatro, del I sec. d. C., a quelli grandiosi laterizi con simile cortile colonnato sul decumano stesso all'angolo con Via dei Molini, forse dell'epoca di Claudio, aperti verso il Tevere con portico a pilastri di tufo. È a Claudio infatti che si deve il primo porto a N della foce con moli messi in luce da recenti scavi e forse l'apertura di un primo canale di raccordo con il Tevere. Altro edificio di carattere commerciale è il macellum, che nel I sec. d. C. sorge all'imbocco del tratto occidentale del decumano in angolo con l'antica pomeriale esterna, e che avrà diverse ricostruzioni, e horrea e tabernae vanno sorgendo in varî quartieri della città.
Nel campo religioso particolarmente interessante è la documentazione che O. ci offre per il culto della Bona Dea, con due tempietti sorti tra Augusto e i Giulio-Claudi nei quartieri periferici, secondo il carattere riservato del rito. Uno è in fondo a Via degli Augustali, l'altro fuori la Porta Marina, e ambedue sono chiusi entro un cortile, privi di podio, con pronao porticato e ara antistante e hanno perdurato attraverso varie trasformazioni fino alla fine della vita della città.
L'uso sempre più diffuso del laterizio, mentre va restringendosi quello dell'opus reticulatum tufaceo, determina una nuova architettura e crea nuovi tipi di edifici. Nella seconda metà del I sec. d. C. vediamo così svilupparsi ad O., accanto a qualche sopravvivente domus signorile ad atrio e peristilio di tradizione repubblicana e augustea, il nuovo tipo di abitazione signorile in laterizio a cortile porticato con pilastri di mattoni, intorno a cui si distribuiscono i varî ambienti, e in fondo al quale si apre in genere quello maggiore, tutti decorati da mosaici geometrici e floreali bianco-neri, e da pitture decorative. Sarà la casa della nuova ricca borghesia commerciale e questo tipo, sviluppandosi in altezza e in ampiezza e moltiplicando gli ambienti in serie e poi anche i cortili, diverrà altresì l'abitazione intensiva con più appartamenti, non più per una, ma per molte famiglie del medio ceto.
Questo nuovo tipo che forse cominciò ad affermarsi in Roma dopo l'incendio neroniano, lo si può notare in O. in uno dei più antichi esempî di una domus, poi ricostruita con simile pianta, sulla via della Fortuna Annonaria, che conserva bei mosaici floreali del primo impianto e si sviluppa poi in una fitta serie nei varî quartieri.
Sorge inoltre il tipico caseggiato laterizio con tabernae fronteggiate da un portico non più tufaceo, e la nuova tecnica permette uno sviluppo in altezza che viene a creare variî piani di abitazioni che si affacciano sulla via. Uno degli esempî più grandiosi è il lungo isolato che occupa il lato S del tratto occidentale del decumano massimo verso la Porta Marina, il cui primo impianto con pilastri di tufo viene interamente ricostruito nel II sec. d. C. con portico laterizio più arretrato. Nel I sec. d. C. si nota infatti in quasi tutte le vie principali un allargamento con retrocessione delle facciate degli edifici che vengono ricostruiti, specialmente sulla Via della Foce e sul decumano massimo.
Una via che diviene un'altra importante arteria è la cosiddetta Semita dei Cippi, che unisce la Porta Laurentina al decumano massimo e che rappresenta una prosecuzione dell'antica pomeriale esterna E del castrum. Se l'iscrizione incisa nei cippi Haec semita hor p. r. i. est può integrarsi horreorum la via sembrerebbe avere soprattutto la funzione di collegare la via Laurentina con alcuni horrea, come quelli claudiani nella prosecuzione della Via dei Molini, e in genere doveva servire a convogliare il traffico della Porta Laurentina al Tevere, evitando così di risalire il cardine massimo che sboccava nel Foro. Si voleva cioè evitare l'attraversamento del Foro, che infatti vedremo quasi isolato nel periodo adrianeo; e il tempio di Roma e di Augusto veniva a bloccarne lo sbocco del cardine massimo, il cui tracciato obliquo si collegava più naturalmente con l'antica pomeriale esterna S, ossia Via del Tempio Rotondo, indirizzandone il traffico così verso il compitum del decumano e di Via della Foce, evitando ugualmente il Foro. Si hanno documenti di una notevole attività edilizia sotto Domiziano, al cui periodo risale probabilmente il tempietto al centro del cosiddetto Piazzale delle Corporazioni. La costruzione del grande porto esagonale di Traiano dette un nuovo impulso vitale alla città, che va rapidamente sviluppandosi e trasformandosi. Le benemerenze dell'imperatore verso O. sono attestate da statue e iscrizioni. Sorgono nuovi horrea e con ritmo crescente si moltiplicano le case.
È a questo periodo che si può riportare il quartiere delle casette-tipo sulla Via della Foce, tipica sistemazione urbanistica dettata dalle nuove esigenze sociali, con alloggi in serie costituiti da una stanza d'ingresso, da un ambiente più, grande per soggiorno, due cubiculi, cucina e latrina, con un solo piano, riuniti in piccole insulae delimitate da strade. Sono gli alloggi del ceto medio, che occupa una parte sempre più larga e attiva nella vita e nella società cittadina, e sorgono sempre più numerosi tra le domus a cortile porticato delle famiglie più ragguardevoli e le affollate tabernae con alloggio nel retrobottega o nel mezzanino occupate dal popolo.
Il quartiere tra Via degli Horrea Epagathiana, Via della Foce e il Tevere ha molte tracce di impianti traianei, fra cui le Terme di Buticosus e quelle del Mithra, che hanno avuto successive ricostruzioni, e si noti che tutto il quartiere va articolando la sua rete stradale parallelamente, non a Via della Foce, ma all'antica pomeriale esterna, normalmente al Tevere con cui doveva appunto creare il collegamento più rapido.
È significativo che in questo periodo traianeo cominciassero a moltiplicarsi le terme, che, come quelle nominate o quelle delle Sei Colonne sul decumano, dell'Invidioso, della Basilica, attestano il crescente benessere della città. Dopo le case, gli horrea, i templi, si pensa a costruire anche questi edifici destinati ai bagni e ai giochi, e che, se non hanno ancora la grandiosità di quelle del II e del III sec., possono rispondere alle esigenze nuove e sopperire a una precedente deficienza, che sembra confermata dalla mancanza di impianti termali più antichi nella zona scavata, tranne quelle domizianee sotto la Via dei Vigili. Questo impulso e questa trasformazione edilizia si sviluppano poi nel corso del II sec., in cui tutta la città si rinnova; il mattone e il conglomerato cementizio danno forme sempre più complesse e vaste agli edifici che vanno crescendo in altezza, piante e architettura assumono forme di una sorprendente modernità, e, seguendo le direttrici del vecchio impianto sillano, la città si sviluppa con un'urbanistica perfettamente funzionale e rispondente sia al decor sia all'utilitas, fondamenti della concezione romana.
Sotto Adriano si può dire che non v'è regione della città che non subisca un rinnovamento parziale o integrale, tanto da giustificare pienamente la dedica all'imperatore che troviamo in un iscrizione (C.I.L., xiv, 95) posta dalla colonia Ostia conservata et aucta omni indulgentia et liberalitate eius.
Una nuova grandiosa sistemazione si attua anzitutto nel centro della città, perché il Foro esistente dinanzi al Tempio di Roma e di Augusto viene ampliato e quasi raddoppiato dall'area porticata che, demolendo il primitivo Capitolium repubblicano, si apre dinanzi al nuovo Capitolium laterizio a N del decumano, esastilo, prostilo su alto podio, con la cella tutta rivestita di marmi, alto più di 17 metri.
Tutto il Foro acquista una grandiosa simmetria, con l'effetto scenografico dei due templi alle estremità inquadrati dai portici. L'accesso del cardine massimo sul lato N del Foro venne scompartito in cinque fornici da pilastri che ne sottolineavano così l'isolamento, quasi tèmenos sacro e luogo di sosta e di ritrovo. Tutto il quartiere a N è ugualmente ricostruito sotto Adriano intorno al 120 con un piano regolatore organico e con la tipica tecnica laterizia a specchi di reticolato, sull'asse del nuovo cardine massimo, che divenne una monumentale arteria dagli ampi portici laterali, con negozi e appartamenti. Vasti horrea sorsero sulla sinistra del cardine, detti il Piccolo Mercato, con ampio cortile a pilastri e altri minori adiacenti, e sulla destra una serie di larghi caseggiati signorili circondati con rete regolare di strade parallele al cardine con le insulae dei Dolî, di Bacco fanciullo, dei Dipinti, di Giove e Ganimede, quella sulla Via dei Balconi e l'insula del Molino. Anche dentro il castrum si abbatterono le vecchie domus repubblicane, costruendo un caseggiato intensivo e sorse anche la bella insula dei Triclini presso il Foro.
Un altro non meno grandioso piano regolatore adrianeo si attua nella zona a E del teatro fra questo e gli horrea repubblicani presso Porta Romana, abbattendo le preesistenti costruzioni domizianee e costruendo la Caserma dei Vigili, dedicata prima del 137, quando vi fu collocata la statua di L. Elio Cesare (C.I.L., xiv, 4536), articolata intorno a un grande cortile centrale porticato, le grandiose Terme di Nettuno, compiute sotto Antonino Pio, con i magnifici mosaici marini bianco-neri, e con edificio pubblico sul lato opposto della Via dei Vigili non ancora scavato interamente. Se questo piano regolatore fu completato negli anni seguenti con le insulae adiacenti, il merito della concezione e dell'impianto spetta ad Adriano. Adrianee sono anche le organiche Terme della Trinacria con il Serapeo al fondo di un cortile decorato con mosaico nilotico e dedicato da un Caltilio nel 127, e varî isolati adiacenti sulla Via della Foce, fra cui l'insula di Bacco e Arianna con fini mosaici bianco-neri floreali e figurati.
Tra Adriano e Antonino Pio si realizza ugualmente un altro organico piano regolatore nella regione verso il mare, dove sorge tutto un quartiere di case-giardino che trova confronto con i criterî della moderna urbanistica e testimonia la prosperità della vita cittadina, il ruolo importante della nuova borghesia commerciale, e la funzionale originalità dell'architettura romana. È un vasto quadrilatero di più di 100 m di lato, costituito da un giro continuo di abitazioni a più piani, il cui perimetro esterno si adatta alla rete stradale circostante, e quello interno delimita un'area aperta regolare in cui sorgono due grandi blocchi di appartamenti a più piani. Tutti questi appartamenti sono di un tipo simile con stanza d'ingresso e varî ambienti decorati di mosaici bianco-neri e di pitture, e solo uno del perimetro esterno nel punto di maggiore larghezza si sviluppa intorno a un cortile porticato, creando una casa più signorile, quella detta delle Muse dalle pitture che la decorano.
L'igienica e piacevole sistemazione dei giardini interni con vasche quadrate, la signorile comodità di questi appartamenti-tipo, i facili accessi da tutti i lati del quadrilatero, gli angiporti dei blocchi centrali, l'organica funzionalità del complesso edilizio, ne fanno un esempio singolare e significativo di urbanistica romana.
Mentre la domus e il palazzo della ricca famiglia, diventano più rari, l'architettura romana, seguendo il trasformarsi della società, affronta i problemi dell'abitazione collettiva, intensiva, e ne dà geniali soluzioni analoghe a quelle moderne per analoghe esigenze.
Spariscono l'atrio e il peristilio, il primitivo hortus o viridarium; il cortile, come il giardino, divengono comuni a tutti gli appartamenti del caseggiato. Accanto a questo complesso delle Case a giardino, l'altro vasto caseggiato comprendente l'insula del Serapide, le Terme dei Sette Sapienti, l'insula degli Aurighi con cortili porticati, con le varie scale di accesso agli appartamenti dei tre piani superiori, con balconi lungo le facciate esterne rappresenta l'esempio più perfetto e grandioso di questo tipo di abitazione collettiva, intensiva, del palazzo per tutti, simile a quelli moderni. Questo caseggiato iniziato sotto Traiano era compiuto prima del 150, come ricaviamo da una data graffita e può rispecchiare l'edilizia adrianeo-antoniniana.
Nella seconda metà del II sec. d. C., con l'abbondante produzione laterizia delle figline, l'opus reticulatum va sempre più scomparendo e prevalgono le costruzioni interamente in mattoni. Si perfeziona la sistemazione del Foro creando sul fianco occidentale la sontuosa basilica a tre navate, con ricca facciata sul Foro, tutta ad arcate marmoree con elegante fregio di putti sorreggenti festoni, a spese, forse, del duovir M. Giulio Severo nel 152. Il Foro diventava così una vasta piazza monumentale, varia nelle prospettive dei templi, dei colonnati, delle arcate pur con una certa organica simmetria, abbellita da statue onorarie che andavano innalzandosi a cittadini benemeriti.
E in relazione alla sistemazione del Foro può riportarsi a questo periodo la creazione delle due piazze porticate laterali aperte sul decumano. Presso il Foro si volle anche costruire opportunamente un grande edificio termale degli ultimi anni di Antonino Pio o i primi di Marco Aurelio, con un metro diverso dagli altri stabilimenti fino allora esistenti, con spaziose sale e ampia palestra, una ricca decorazione marmorea. Così il vecchio centro era completamente trasformato.
Si compiono le Terme di Nettuno a cui forse si riferisce l'iscrizione (C.I.L., xiv, 98) del 139, ampî horrea con cortile centrale adiacenti sul decumano massimo, e anche sul lato opposto della via si moltiplicano le costruzioni antoniniane, fra cui la sede del collegio degli Augustali a cortile porticato centrale, su una domus repubblicana abbattuta.
Non meno estesa fu la trasformazione antoniniana su tutto il tratto meridionale del cardine massimo dal Foro alla Porta Laurentina, dove, se all'inizio sussistevano ancora due vecchie domus repubblicane, sorsero a sinistra il grande porticato delimitante la palestra delle Terme del Foro, a destra il lungo caseggiato porticato dell'Ercole, tipico insieme di botteghe e abitazioni intensive, le Terme del Faro, e presso la porta la vasta area triangolare delimitata dalle mura sillane divenne un grande santuario della Magna Mater con il tempio all'angolo S-O, varî sacelli e scholae dei dendrofori e degli hastiferi, con il tempio di Bellona e il sacello di Attis, ricavato in un vano più antico.
Anche il tratto occidentale del decumano massimo vede sorgere nuovi edifici. Qui qualche superstite domus repubblicana cade ormai sotto il piccone demolitore; le aree urbane divengono sempre più preziose e su quelle vaste delle domus individuali patrizie si innalzano le costruzioni destinate alla nuova collettività borghese, di cui tipici esempî sono la Schola del Traiano, ampio edificio collegiale con vasto peristilio e sale di riunione che sorge su due case augustee, e il caseggiato con botteghe e cortile su cui si aprono varî appartamenti, che si impianta su una domus repubblicana accanto al macellum ricostruito in questo periodo.
Vicende edilizie che sono un chiaro riflesso delle trasformazioni sociali e della nuova potenza dei collegi ostiensi, che organizzano varie classi commerciali e lavorative.
Forse per questi collegi sorgono anche alcuni piccoli templi entro cortili in varî quartieri della città, che mostrano appunto un carattere più riservato, come quello dinanzi alla Schola del Traiano, e quello dinanzi ai quattro tempietti, ambedue sul decumano massimo.
Documento della ricchezza e grandiosità dell'architettura antoniniana è altresì il cosiddetto Palazzo Imperiale, complesso e vasto edificio di rappresentanza, con terme, scavato nella zona ancora inesplorata verso Tor Bovacciana.
Un riflesso dell'attività edilizia in questo campo religioso che caratterizza il periodo degli Antonini è l'iscrizione di P. Lucilio Gamala, uno dei membri dell'influente famiglia ostiense (C.I.L., xiv, 375, 376) a cui si devono i templi di Venere, della Fortuna, di Cerere, della Speranza, il restauro di quelli di Vulcano, di Castore e Polluce, del Padre Tiberino, di Bellona. Intorno al 196 anche il vecchio teatro augusteo fu ampliato con un nuovo anello esterno a doppio portico laterizio di ventitre arcate sul decumano con tabernae, e tutto il piazzale porticato detto delle Corporazioni fu ricostruito con duplice colonnato, sistemandovi una serie di stationes commerciali dai mosaici figurati e iscritti ben noti, che costituiscono una delle pagine più interessanti della vita ostiense.
4. Dal III sec. all'abbandono. - Si restaurarono molti edifici termali, quelli dei Sette Sapienti, del Foro, della Basilica Cristiana, dell'Invidioso, e si costruirono nel 210 le Terme a O delle Case a giardino presso l'antica spiaggia del mare. È in questo periodo inoltre che sorgono molti dei mitrei, che assommano finora a quattordici, e che hanno portato molti nuovi contributi alla conoscenza sia dei particolari dell'impianto, sia del simbolismo con mosaici e pitture. Particolarmente importanti sono i mitrei di Felicissimo, il cui mosaico pavimentale contiene i simboli dei sette pianeti e dei corrispondenti gradi d'iniziazione, quello delle Pareti Dipinte con le figure del Nymphis e del Miles, quelli delle Sette Sfere, delle Sette Porte, degli Animali, tutti decorati di mosaici con varî simboli mitriaci.
All'estrema periferia S-O dell'area monumentale, vicino all'incrocio delle moderne vie G. Calza e di Fiumicino, è venuta in luce una Sinagoga costruita con muratura in opera listata del III-IV sec. d. C. su un impianto in opus reticulatum del I d. C., che non si sa se fosse ugualmente destinato al culto ebraico. La Sinagoga è costituita da un'ampia sala rettangolare con tre ingressi, tripartita nel senso della lunghezza, con quattro grandi colonne marmoree nella parte centrale sopraelevata, e con la terza parte terminale dal muro di fondo leggermente absidato. Fra la parete O e le colonne centrali è inserita un'edicola absidata in muratura, per la Tōrāh, fronteggiata da due colonnine sostenenti due mensole con il candelabro a sette bracci, originariamente dorato, scolpito a rilievo accanto ad altri simboli ebraici. Presso l'ingresso è un pozzo; il pavimento della Sinagoga è parte in mosaico con qualche simbolo in nero, e nella parte rialzata in opus sectile marmoreo. Un vano adiacente a O conserva una spianatoia in marmo e un forno probabilmente usato per la cottura dei pani azimi. Da un'iscrizione si conosceva una universitas Iudeorum in O., e questa vasta e ricca Sinagoga ne attesta ora la fioridezza e l'importanza.
Nel III sec. d. C. più che costruire nuovi edifici si restaurano quelli esistenti, specialmente le terme sottoposte a intensa usura. Il rarefarsi del materiale laterizio per la diminuita attività delle figline porta a un ritorno dell'uso del tufo, ora sotto forma di tufelli quadrangolari che si alternano ai mattoni; tecnica che caratterizza soprattutto alcune costruzioni del tardo III e del IV secolo. Gli horrea esistenti sono sufficienti ad accogliere il grano, la cui importazione diviene sempre più difficile, e l'attività edilizia si concentra sulle terme e sulle sedi di collegi che ancora hanno mezzi finanziari per abbellire e restaurare le costruzioni, come le nuove sale della Schola del Traiano e quella absidata degli Augustali, riccamente decorate di crustae marmoree e di pavimenti di opus sectile. Massenzio nel 309 apre una zecca a Ostia, ma Costantino toglie i diritti municipali alla città dandoli a Porto.
Ai prefetti dell'annona, che sono i magistrati più influenti in questo periodo, si devono varie provvidenze per assicurare i servizî più necessarî nella crisi crescente. La decadente religione olimpica non chiede più nuovi templi e si costruiscono solo mitrei, dei quali uno ricavato proprio nel podio di un tempio collegiale non finito, e piccoli sacelli; né c'è bisogno di creare nuovi alloggi per la popolazione, che va decrescendo per i malsicuri commerci. Si restaura, si riparano mosaici, si ridipingono alla buona le pareti. La città vive ormai della ossatura urbanistica e monumentale creata in sette secoli fino ai Severi, e solo alcune famiglie di ricchi commercianti o di magistrati possono permettersi il lusso di rinnovare o costruire una abitazione. Gli scavi hanno messo in luce una quindicina di domus del III-IV sec. d. C. che rispecchiano appunto il gusto e la società di questo periodo. Si svolgono al piano terra con qualche stanza di servizio al piano superiore, chiuse sulle vie, con un solo portale spesso inquadrato da colonne, gravitando tutte all'interno su un cortile o un peristilio o un giardino, sempre allietate da vasche e ninfei, con sale aperte, con colonne dai capitelli schematici, riccamente decorate di crustae marmoree parietali e da opus sectile policromo, di mosaici colorati, con ampie trifore, absidi, nicchie, con senso curvilineo, scenografico, coloristico. Queste signorili dimore individuali ritornano così significativamente alla pianta della domus repubblicana per analoghe esigenze.
Troviamo tra il cardine massimo e Via della Caupona tre domus contigue, di cui quella dei Pesci di carattere cristiano, a giudicare dal mosaico con calice e pesci posto nell'ingresso, l'elegante domus di Amore e Psyche dietro il tempio di Ercole, quella della Fortuna Annonaria sulla via omonima, quella vicina del Protiro, quella dei Dioscuri, ricostruita nell'abitazione angolare delle Case a giardino, con grandioso mosaico policromo marino, quella vicina del Nodo di Salomone sul decumano massimo, e altre minori. L'orchestra del teatro viene adattata per tetimimi e spettacoli acquatici, ricavando due cisterne nelle tabernae, secondo la moda in voga nel tardo Impero.
Ninfei pubblici sorgono anche in varî quartieri della città presso le Porte Romana e Marina, e quello degli Eroti, tutto rivestito di marmi, nel cardine massimo, secondo il gusto fastoso del tempo. Un'esedra semicircolare colonnata viene a chiudere lo sbocco della Semita dei Cippi sul decumano, chiaro indizio della rarefazione del traffico in questa arteria un tempo importante.
Il prospetto a mare fuori Porta Marina con una piazza colonnata acquista decoro con nuovi ambienti fra cui una sala rivestita interamente di opus sectile a specchiature geometriche, fregi floreali, e un busto di Cristo nimbato, molto vicina come decorazione e cronologia alla Basilica di Giunio Basso (v.). Il Cristianesimo è illustrato da nomi di vari martiri: di Aura, di Ciriaco e anche di Monica, sepolta a O. e di cui si è ritrovata parte dell'iscrizione funeraria, riadoperata in una sepoltura medievale presso la chiesa di S. Aurea, ora conservata in una cappella della chiesa. Ma il Cristianesimo, in una popolazione che andava sempre più assottigliandosi, non poteva certo affermarsi nel IV sec. con edifici sontuosi e finora oltre ad anelli, specchi plumbei, lucerne con simboli cristiani e una coppa vitrea incisa, troviamo solo una piccola basilica ricavata, alla metà del secolo, nei calidaria di terme abbandonate e dall'occupazione di una strada sboccante sul decumano, che era evidentemente già in abbandono; eleva anche una modesta cappella dentro il frigidario delle Terme del Mithra. La vita si restrinse sempre più nei quartieri centrali mentre altri venivano abbandonati; muri rozzi chiudevano talvolta insulae in rovina o distrutte da incendi e non ricostruite. Una statua viene translatam ex sordentibus locis ad ornandum fori et ad faciem publicam (C.I.L., xiv, 4721) per cura del prefetto dell'annona P. Azio Clementino nel IV secolo. Sotto Teodosio Arcadio ed Eugenio si restaura ancora il tempio di Ercole, ma quello collegiale sul decumano diviene un deposito di colonne e di marmi e, quando si rinforza nel tardo Impero il fornice centrale del teatro, si adoperano cippi iscritti del Piazzale delle Corporazioni, testimoniando il lento saccheggio della città. L'altro prefetto dell'annona Ragonio Vincenzo Celso dedica ancora una statua alla dea Roma (G.I.L., xiv, 4716), ma molte sono quelle abbattute ormai e adoperate come materiale. Scarichi di detriti e di cocciame si accumulano sulle strade, si scavano pozzi forse perché l'acquedotto è in rovina. La vita dopo nove secoli si spegne nel V sec. e Rutilio Namaziano non vede più a O. che la gloria di Enea. Ultima tardissima costruzione nella città rovinata e abbandonata è il piccolo oratorio presso il teatro, dove è stato trovato un sarcofago di un Quiriacus, e che fu eretto a testimonianza dei martiri ostiensi, che sappiamo officiato ancora nel 1162.
Passano, distruggitrici, le invasioni barbariche; il teatro diviene un fortilizio, e più tardi per dare asilo ai pochi abitanti ancora superstiti nella zona, Gregorio IX fonderà con i materiali cavati dall'antica, una nuova città, detta pomposamente Gregoriopoli, nel IX sec., in realtà un piccolo villaggio fortificato impiantato attorno alla basilica cemeteriale di S. Aurea sulla necropoli lungo la via Ostiense, cinto di mura con torri angolari. La chiesa venne ricostruita intieramente da Baccio Pontelli nel 1483 in uno stile sobrio ed elegante rinascimentale, a un sol vano, e accanto, intorno forse a un torrione eretto da Martino V, Giuliano della Rovere fece erigere allo stesso architetto il massiccio castello triangolare con torri rotonde e mastio, a guardia del Tevere, opera notevole di ingegneria militare, compiuto sotto il suo pontificato e restaurato da Pio IV e da Pio IX.
Il Tevere accorciando il corso, tagliando l'ansa che lo lambiva, durante una piena nel XVI sec. diminuì la funzione del castello, e nel 1569 da Pio V si innalzò il Forte di S. Michele presso il litorale ormai molto avanzato rispetto a quello antico. Il Casone del Sale iniziato nel 1451 fu compiuto nel 1571. Più che il modesto borgo di O., il Lido, sorto sul mare a 2 km dalla città antica, può considerarsi oggi l'erede della colonia romana.
5. Artigianato artistico. - La città antica, oltre che interessanti pagine di storia documentata anche da più di 5.000 iscrizioni, e preziosi documenti architettonici e urbanistici, offre un quadro del gusto decorativo del medio ceto, con i suoi numerosi mosaici e le varie pitture delle case, delle terme, delle tombe, e ci dà anche alcuni esempi di arte ufficiale. I mosaici quasi tutti bianco-neri, sono produzione di un artigianato locale con stretti rapporti sia con i mosaici delle ville vicine sia con Roma. Prevalgono motivi geometrici per gli ambienti secondari, non mancano begli esempî di mosaici floreali specialmente nel periodo adrianeo-antoniniano, quando troviamo i prodotti più numerosi e più belli. I motivi marini, pesci, nereidi, tritoni, mostri pisciformi adoperati generalmente per la decorazione delle terme hanno particolare sviluppo nel II sec. d. C. e alcuni mosaici, come quelli delle Terme di Nettuno, raggiungono un notevole livello artistico per grandiosità di dimensioni, per fluidità di disegno, per accuratezza tecnica con una efficace traduzione lineare e bicromatica di effetti pittorici. Nel III sec. si schematizzano progressivamente. Particolare interesse iconografico hanno poi i varî mosaici illustranti aspetti della vita ostiense, come quelli con faro, navi, misuratori di grano, carrettieri nel Piazzale delle Corporazioni e in altri edifici, di stile popolaresco, come anche quelli con simboli mitriaci in alcuni mitrei. Nel tardo Impero troviamo mosaici colorati, di cui gli esempî più belli sono quelli con il tiaso marino della domus dei Dioscuri e il mosaico con calendario, ambedue del IV sec. d. C., uniti all'opus sectile sia geometrico nelle domus, sia con preziosi motivi floreali e figurati nella sala fuori Porta Marina.
Le pitture sono quasi tutte di periodo imperiale e completano così il quadro offerto da Pompei ed Ercolano. Uno dei tipi più diffusi di decorazione parietale del II sec. d. C. è quello con motivi architettonici come quinte laterali su fondo bianco o talvolta giallo, che vanno poi sempre più schematizzandosi e linearizzandosi fino a divenire semplici tratti rossi, più o meno rozzi, nel III sec. d. C. Fra queste architetture si inseriscono varî elementi, figure centrali dionisiache o di Muse, maschere, uccelletti, ghirlandine, e spesso piccoli paesaggi impressionistici, poi sempre più astratti e simbolici. Nelle terme predominano invece grandi quadri marini con pesci, con nereidi e tritoni come nelle Terme del Faro e con Venere Anadiomène nelle Terme dei Sette Sapienti, sempre con forti sottolineature nere, databili ai primi del III sec. d. C. Nel II e nel III sec. troviamo anche campi bianchi scompartiti da fasce rosse, o gialle o nere con piccoli motivi decorativi centrali come, ad esempio, nell'insula degli Aurighi. L'insula delle Vòlte dipinte, l'insula del Soffitto dipinto, il Caseggiato di Diana ci danno anche documenti di pittura delle vòlte e dei soffitti in piano. Non mancano poi piccoli quadretti popolareschi figurati con scene di vita quotidiana, scene mitriache nei mitrei, nature morte e qualche scena mitologica nelle tombe, come nel sepolcreto sulla via Laurentina. Verso la fine del III e nel IV sec. prevale invece una decorazione imitante le crustae marmoree policrome a riquadri geometrici e specchiature varie.
Nel campo della scultura O. ha restituito alcune copie di originali greci più noti, come l'Hermes propỳlaios, l'Efesto e l'Atena attribuiti ad Alkamenes, la Cnidia, l'Eros lisippeo, ma soprattutto statue classicheggianti e prodotti neoattici di gusto decorativo, oltre a ritratti greci con il discusso Temistocle, il Demostene, l'Ippocrate, il supposto Pitagora, e il discusso Plotino. Ma più che queste opere di tradizione greco-ellenistica ha particolare valore la serie ricchissima di ritratti dalla città e dalla necropoli, sia di imperatori sia di privati cittadini, dal I sec. a. C. fino al V sec. d. C., molti di alto livello e di grande freschezza. Numerosi i sarcofagi di varie epoche e di vario tipo, di cui alcuni di chiara produzione locale. Il Museo Ostiense già progettato da Pio IX nel 1864, venne sistemato per la prima volta nel Casone del Sale nel 1933, ampliato e rinnovato nel 1945 e nel 1962. Comprende salette con disegni ricostruttivi, piante e plastici, una sezione dedicata alla religione, arti e mestieri, un salone per i ritratti imperiali, una sala per le opere greche e classicheggianti, alcune sale per la ritrattistica ed una saletta per bronzi e oggetti minori e una galleria per pitture e mosaici. Un Antiquario comprende sculture, bronzi, terrecotte, lucerne, piombi, ceramiche, vetri, monete e pitture, che possono così completare il quadro della vita ostiense.
Bibl.: È in corso di pubblicazione la serie dei volumi che illustreranno sistematicamente gli scavi e i monumenti ostiensi e dei quali sono finora usciti: I, Topografia generale, Roma 1954 a cura di G. Calza, G. Becatti, I. Gismondi, G. De Angelis d'Ossat, H. Bloch; II, I Mitrei, Roma 1954 a cura di G. Becatti; III, Le necropoli repubblicane e augustee, Roma 1960, a cura di M. Floriani Squarciapino; IV, I mosaici e i pavimenti marmorei, Roma 1961, a cura di G. Becatti.
Studi generali sulla città: C. Fea, Relazione di un viaggio ad O. e alla villa di Plinio detta Laurentino, Roma 1802; A. Nibby, Viagigo antiquario ad O., Roma 1829; C. Fea, Storia delle Saline di O., Roma 1831; L. Canina, Sulal stazione delle navi ad O., Roma 1837; L. Paschetto, O. colonia romana, storia e monumenti, Roma 1912, fondamentale monografia con l'illustrazione di tutti gli scavi fino a quelli del Vaglieri, la raccolta delle fonti, la storia delle precedenti ricerche; D. Vaglieri, Ostia, cenni storici e guida, Roma 1914; J. Carcopino, Virgile et les origines d'O., Parigi 1919; id., Ostie, coll. Les visites d'art, Parigi 1929; G. Calza, in Pauly-Wissowa, XVIII, 1942, c. 1654, s. v.; id., O., guida storica monumentale, Roma s. a.; G. Calza-G. Becatti, O. Itinerari, 4a ed., Roma 1959; tra le varie edizioni in lingue straniere la più aggiornata è quella inglese, Roma 1961; H. Schaal, O. der Welthafen Roms, Brema 1957; R. Calza-E. Nash, Ostia, Firenze 1960; R. Meiggs, Roman O., Oxford 1960, fondamentale monografia che tien conto di tutte le nuove campagne di scavo e illustra la storia, la topografia, i varî problemi economici, sociali, religiosi, artistici della città. Per le iscrizioni: H. Dessau, C.I.L., XIV, 1887; L. Wickert, C.I.L., XIV Suppl., 1930; A. Degrassi, Inscriptiones Italiae, XII, pp. 173-241 (Fasti Ostiensi); H. Thylander, Inscriptions du Port d'O., Lund 1952; H. Bloch, in Not. Scavi, 1953, pp. 239-306; G. Barbieri, in Athenaeum, XXXI, 1953, p. 158 ss.; A. Barigazzi, in Κρητικὰ Χρονικά, VII, 1953, p. 37 ss.
Sui bolli laterizi: H. Bloch, I bolli laterizi e la storia edilizia, Roma 1938, passim. Per l'edilizia domestica ostiense: G. Calza, La preminenza dell'insula nella edilizia romana, in Mon. Ant. Linc., XXIII, 1915, c. 541 ss.; id., Gli scavi recenti nell'abitato di O., ibid., XXXVI, 1920, c. 231 ss.; id., Le origini latine dell'abitazione moderna, in Architettura e arti decorative, III, 1923-24, p. 3 ss.; 49 ss.; id., Esplorazione dell'isolato a Ovest del Campidoglio di O., in Not. Scavi, 1923, p. 177 ss.; A. Boethius, Remarks on the Development of Domestic Architecture in Rome, in Am. Journ. Arch., XXXVIII, 1934, p. 158 ss.; P. Hars, Origins of the Insulae at O., in Mem. Am. Acad. Rome, XII, 1935, p. 9 ss.; A. Boethius, Appunti sul carattere razionale e sull'importanza dell'architettura domestica in Roma imperiale, in Scritti Nogara, Roma 1937; G. Calza, Contributi alla storia dell'edilizia imperiale romana, in Palladio, V, 1941, p. i ss.; G. 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Sulle numerose sculture ostiensi: R. Calza, Il Museo Ostiense, Itinerari, n. i a, Roma 1947, con bibl., e nuova edizione 1962.