OSTERIA
. Antichità. - Come ancora oggi nei piccoli paesi dell'Italia centrale e meridionale, l'osteria (caupona) era nell'antichità unita all'albergo. Testi, affreschi e graffiti ci fanno conoscere abbastanza bene l'organizzazione nelle antiche cauponae assai più vicine alle taverne d'infimo ordine, che non ai moderni alberghi di lusso. La causa principale di questo basso livello dell'industria alberghiera nell'antichità va cercata principalmente nel largo uso dell'ospitalità privata. Non stupisce nemmeno che le cauponae dessero al viaggiatore altre ricreazioni oltre quelle del sonno e del cibo; e nemmeno che, con perfetto parallelismo con l'età moderna, già alla fine della repubblica divenissero di moda i banchetti nei locali d'infimo ordine, uso che si perpetuò nonostante tutti i provvedimenti legislativi e le prediche dei retori.
Fra le testimonianze non letterarie sulle cauponae gustosissima è quella d'un rilievo d'Isernia, sotto il quale è inciso un dialogo tra il viaggiatore e l'oste, intenti a fare il conto: questo ammonta a tre assi per il vitto, due per il fieno al mulo e otto per la "ragazza". Pitture pompeiane ci mostrano i viaggiatori (riconoscibili dal mantello a cappuccio) seduti a tavola e anche giocatori che litigano mentre l'oste li invita a continuare la questione fuori del locale. Più di una caupona è identificabile in Pompei; una di esse è munita di una stanza a pitture erotiche che non lasciano dubbio sulla sua destinazione. Ma un alito di poesia spande sulla taverna antica il breve poemetto attribuito a Virgilio intitolato Copa. L'ostessa, un'orientale bella e seducente, invita lo stanco viaggiatore a sostare nel suo albergo: ei vi troverà ristoro e frescura e gioie che non dovrà rimpiangere quando la morte gli sarà vicina.
Medioevo ed età moderna. - Osteria significò, per più secoli, genericamente luogo dove a pagamento si offrivano vitto, alloggio e stallatico, mentre i termini di "albergo" e "locanda" si usarono in questo senso solo dal sec. XVII. Osteria per albergo troviamo infatti nei testi e nei documenti, p. es. in un Itinerario delle poste. per diverse parte del mondo, compilato da Cherubino della Stella nel 1563; analogamente nel latino medievale trovasi coquina per albergo vero e proprio. Nel Settecento si designano ormai col nome di osteria soltanto gli alberghi popolari e plebei, e in questo senso il vocabolo è ancora in uso in qualche regione d'Italia; ma in genere oggi s'intende come luogo dove si vende vino e spesso cibo al minuto, senza alloggio; varianti peggiorative sono bettola, taverna.
L' "hosteria" nei secoli XIII e XIV aveva, annesso alla cucina, un altro locale che di giorno serviva di stanza da pranzo e di notte da camera da letto in comune. Luogo di sosta di viaggiatori, pellegrini, romei, e magari avventurieri e banditi, spesso stazione obbligata dei servizî di posta, essa, per il colorito quadro che offriva, richiamò l'interesse degli scrittori, che le osterie fecero spesso teatro di casi, d'incontri, di vicende tragiche e comiche; così nelle sacre rappresentazioni, e presso i poeti dell'epopea cavalleresca, quali il Pulci, il Boiardo, l'Ariosto, i novellieri dal Boccaccio al Sacchetti al Bandello, con i tipi delle ostesse (hospitissae), delle ballerine, delle meretrici, dei mezzani, degli accattoni. Gli osti ebbero una loro università, sotto la protezione di San Teodoro oste martire.
In genere le osterie furono distinte da un nome caratteristico o da un'insegna come emblema parlante; spesso, nei paesi e nelle campagne, da una frasca sospesa sopra l'uscio. "Fermarsi alla prima osteria", e "Chi non vuol l'osteria levi la frasca" sono modi di dire popolari ancora in uso. Fra il Trecento e il Cinquecento troviamo a Roma l'osteria del Moro, delle Tre Colonne, del Cavalletto, dei Tre Re; un mezzo migliaio se ne trovano registrate, con l'indicazione del luogo e la spiegazione del nome e dell'insegna, in un repertorio compilato sotto il regno di Pio IX. A Napoli nel Settecento la "Villa di Roma" e la "Villa di Londra", entrambe a Santa Lucia, cui si aggiunge nel 1821 l'ancora oggi popolare "Scoglio di Frisio". Viaggiatori d'eccezione e artisti frequentarono dal Settecento le osterie italiane; le ricorda Stendhal; l'osteria romana della Cisterna rimane legata al nome di Pinelli; a quella della Campana (così chiamata perché l'oste avvertiva con un suono di campana essere pronte le vivande) capitò spesso il Goethe; anche Riccardo Wagner apprezzò l'ospitalità delle osterie italiane, di cui nei primi anni del sec. XX il giornalista tedesco Hans Barth ha lasciato un itinerario nel quale lo spirito giocondo, ma anche un po' grossolano, dell'adoratore di Bacco passa in rassegna le principali osterie della penisola, da Roma a Capri; lavoro recentemente compiuto di nuovo, ma con altri intenti, da G. Mariotti.
Lo sviluppo del ceto operaio e dei caffè nel secolo XIX ha tolto all'osteria molto di quel pubblico eterogeneo e di quel carattere pittoresco che le erano stati proprî nei secoli precedenti. Essa presenta caratteristiche varie nei singoli paesi; più civile e borghese nell'Italia settentrionale ("bottiglierie)); spesso come "fiaschetteria" in Toscana; tipica ancora l'osteria romanesca; Napoli ci presenta la variante della "pizzeria". Nell'Italia meridionale la maggiore mitezza del clima e la stessa alta e pericolosa alcoolicità dei vini, non hanno favorito l'incremento di osterie vere e proprie; vi si trovano, per lo più, soltanto luoghi di spaccio di vino al minuto. Comunque l'osteria italiana, lungi dall'avere carattere di luogo di abbrutimento, offre un onesto luogo di sosta per operai, contadini, impiegati, professionisti, viaggiatori, turisti.
Bibl.: H. Barth, Osteria: guida spirituale, Firenze 1922; G. Mariotti, Quando siam dall'oste insieme..., Roma 1931.