OSTEOCLASIA (dal gr. ὀστεον "osso" e κλάσις "rottura, schiacciamento")
Consiste nella produzione ad arte di una frattura sottocutanea per ottenere la correzione di una deformità: è dunque un' operazione ortopedica incruenta, indicata negl'incurvamenti rachitici delle ossa degli arti, nel ginocchio varo o valgo, nel piede varo o valgo, come nelle deformità conseguenti a fratture consolidate con callo vizioso e nelle anchilosi articolari. Praticata per primo da J.-R. Guérin, fu divulgata da F. Rizzoli e usata assai largamente per il passato. Oggi è quasi del tutto abbandonata; però nei bambini piccoli è forse ancora preferibile a ogni altro metodo.
Essa può essere eseguita con le sole mani (osteoclasia manuale) o con l'aiuto di speciali strumenti e apparecchi (osteoclasia strumentale). La prima è possibile solamente nei bambini fino al 6° anno; s'impugna l'arto con le due mani e s'inflette lentamente e con forza gradualmente crescente fino a produrre la frattura, o lo si poggia sull'orlo del tavolo o su apposito cuneo di legno e lo s'inflette fino a spezzarne l'osso; indi si raddrizza e si applica un apparecchio immobilizzante. Quella strumentale, che è la sola possibile negli adolescenti e negli adulti, e sempre quando le ossa siano molto resistenti, quindi anche nei bambini se non è riuscita quella manuale, si pratica con speciali strumenti detti osteoclasti, con i quali si può ottenere con sufficiente sicurezza la scontinuità delle ossa nel punto voluto. Questi osteoclasti sono o a vite, come quelli del Rizzoli, o a leva, come quello di Collin, di Robin e d'altri. L'osteoclaste di Rizzoli è formato da un robusto arco di ferro agli estremi del quale si fa passare l'arto, e nel mezzo possiede una vite che porta all'estremo un cuscinetto che si applica sull'arto; girando la vite questo cuscinetto si abbassa e preme sull'arto fino a produrre la rottura dell'osso.
Quelli a leva sono più voluminosi e pesanti. Si fissa solidamente l'arto al margine del tavolo, mediante speciali cuscinetti metallici ad arco, mentre una cinghia passa sotto l'estremo dell'arto sporgente dal tavolo; la cinghia è agganciata a una lunga e robusta leva, sollevando la quale si riesce a produrre la frattura. Dopo si raddrizza l'arto e lo si immobilizza in apparecchio gessato.
Questo intervento brutale e cieco non è esente da inconvenienti; non è facile graduare esattamente lo sforzo occorrente per ottenere semplicemente la frattura; talora si producono anche lesioni cospicue delle parti molli; e non sempre la frattura prodotta è netta né unica. D'altronde i pericoli dell'operazione cruenta e della frattura esposta, con i moderni progressi della tecnica e con la rigorosa osservanza dell'asepsi, sono oramai praticamente ridotti a zero; epperò giustamente quest'operazione è oggi quasi universalmente disusata per gli adulti e le si preferisce l'osteotomia.