Ossio e la politica religiosa di Costantino
Smettila, ti prego, e ricordati che sei un uomo mortale, temi il giorno del giudizio, conservati puro per allora. Non immischiarti nelle questioni della chiesa e non darci ordini in questo campo, ma trai tu stesso insegnamenti da noi. A te Dio ha posto nelle mani l’impero, a noi ha affidato le cose della chiesa. Come chi cerca di sottrarti il potere si oppone al volere di Dio, così abbi timore d’incorrere anche tu in una grave accusa, prendendo su di te gli affari della chiesa. Sta scritto: «Date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio». Né dunque è lecito a noi governare la terra, né tu, o sovrano, hai la potestà di offrire incenso. Scrivo queste parole, pertanto, preoccupandomi della tua salvezza1.
Sono queste le parole, tramandateci da Atanasio, con le quali il centenario Ossio di Cordova si rivolge nel 356 all’imperatore Costanzo II, figlio di Costantino il Grande e sostanziale continuatore della politica religiosa paterna.
Sono parole significative che tentano di porre un limite a una politica che ai cristiani di fede nicena appariva di pesante ingerenza del potere politico nelle questioni religiose.
Parole significative, queste di Ossio, che danno l’esatta misura dei mutamenti radicali avvenuti in appena mezzo secolo, da quando Costantino il Grande, oltre a concedere ai cristiani la libertà di culto, li aveva certamente favoriti, all’interno però di una concezione tutta romana della religione.
Ossio di Cordova è un testimone privilegiato di tutto questo. Nato attorno al 256, attraversa una delle più violente fasi della persecuzione romana contro i cristiani durante il regno di Diocleziano, per poi svolgere un ruolo determinante nello sviluppo della politica religiosa di Costantino. Egli, dunque, vive da protagonista il singolare paradosso di una Chiesa perseguitata ma intimamente libera, la quale viene resa libera da un imperatore cristiano, che però la inserisce nella compagine statale, sottoposta a un imperatore che sulla terra si considera mimesis (rappresentazione) del Dio che è nei cieli: una subordinazione che con Costanzo II, ritenuto filoariano, diventa insopportabile per i cristiani di fede nicena, aprendo così la via al conflitto tra potere politico e autorità religiose che, passando per il teodosiano editto di Tessalonica, si dispiegherà per il V secolo per poi attraversare tutta l’età medievale e giungere in forme di volta in volta diverse sino ai tempi moderni2.
A differenza di altri intellettuali cristiani che si muovono attorno a Costantino, come Lattanzio o Eusebio, che ci hanno lasciato opere importanti attraverso le quali è possibile conoscerli direttamente, di Ossio non è giunto alcuno scritto3: il suo pensiero è noto esclusivamente per via indiretta, attraverso le testimonianze di altri autori, come Atanasio; è dunque sempre possibile il rischio che le sue affermazioni possano essere state fraintese o strumentalmente adattate alle esigenze dell’autore.
Non si hanno notizie dirette sull’anno e sul luogo di nascita di Ossio4. Un passo di Atanasio5 e un’indicazione contenuta nel chronicon di Sulpicio Severo6 informano che attorno al 356 Ossio era centenario, e dunque la nascita va fatta risalire al 256 circa7. In quanto al luogo di origine, Ossio è, nella concorde testimonianza di tutte le fonti antiche, spagnolo, mentre incerto resta il luogo di nascita, anche se alcuni elementi fanno propendere per la città di Cordova, o comunque per un centro situato vicino a essa8. Non si conosce nulla dell’estrazione sociale e della formazione9. Presumibilmente nel 295 fu eletto vescovo: sempre Atanasio gli attribuisce, infatti, nel 355-356 sessant’anni di episcopato10.
La prima notizia certa è la sua partecipazione alla sinodo di Illiberis (Elvira), località da identificarsi con l’attuale Granada11; al secondo posto nell’elenco dei vescovi presenti è appunto ricordato Osius episcopus Cordubensis.
Si trattò di una sinodo importante, svoltasi presumibilmente fra il 300 e il 302, poco tempo prima che Diocleziano avviasse l’ultima, dolorosa persecuzione: nei canoni sinodali mancherebbe, infatti, un chiaro riferimento ai problemi determinati nella comunità cristiana dalla riammissione di coloro che per salvarsi avevano abiurato (lapsi), se si eccettua il canone 46 dove si parla, genericamente, di quanti si sono allontanati dalla fede e sono stati riammessi alla communio solo dopo dieci anni di penitenza.
In quell’occasione vennero prese decisioni su temi diversissimi, tanto da far supporre ad alcuni che la raccolta dei canoni sinodali accolga in realtà decisioni prese in contesti anche cronologicamente differenti12. Comune agli ottantuno canoni è il carattere eminentemente disciplinare; tratto distintivo è una certa severità nel reprimere fra i cristiani comportamenti che vanno dall’idolatria all’omicidio, all’usura, alla falsa testimonianza, alla delazione, all’aborto, ai delitti sessuali, ad abusi in tema di matrimoni (soprattutto misti) e divorzi: una severità che utilizza come strumento punitivo l’allontanamento dalla comunità (perdita della communio), pratica che a molti studiosi è apparsa indizio rivelatore, soprattutto nel clero, di uno scarso rigore nella condotta di vita, sia pubblica che privata: ampio spazio è infatti dedicato al problema del celibato e delle attività commerciali dei clerici.
Dalle disposizioni sinodali emerge di riflesso quella che è stata definita la saecularitas del cristianesimo spagnolo13, quella particolare forma di convivenza tra cristiani e pagani che continuava a vedere la partecipazione dei primi alle istituzioni sacrali e politiche tradizionali, nella evidente condivisione di un forte senso di appartenenza alla cultura romana; infatti nei canoni di Elvira troviamo da una parte la forte condanna della partecipazione dei cristiani alle cerimonie pagane (cc. 1 e 59), dall’altra una certa tolleranza nei confronti di cristiani che continuano a svolgere le loro funzioni civiche di flamines, graduandone l’esclusione dalla communio a seconda delle attività svolte nell’ambito delle loro funzioni (cc. 2-4 e 55): tolleranza che emerge anche nel caso di coloro che rivestono la carica di duumvir, impediti dall’entrare in chiesa solo per l’anno di carica (c. 56), oppure verso quei domini che, avendo al proprio servizio un ampio numero di schiavi pagani, tollerano la presenza nelle loro proprietà di idoli pagani purché non ne vengano contaminati (c. 41); e che emerge ancora a proposito del rifiuto di considerare martiri quanti subiscono la pena capitale per aver abbattuto i simulacri degli dei (c. 60).
Altrettanto interessanti sono le norme relative a coloro che abbandonano la vera fede verso forme eretiche e che, una volta pentiti, si riconvertono, accolti dopo un periodo di penitenza di dieci anni (c. 22); il rigore della norma potrebbe, anche in questo caso, rappresentare il tentativo di porre rimedio a una prassi molto diffusa.
Risulta difficile stabilire quale sia stato il ruolo e l’orientamento di Ossio in questa circostanza, anche nella consapevolezza che il clero spagnolo non aveva un orientamento univoco. Già alla metà del III secolo, i vescovi spagnoli apparivano divisi: quando i vescovi Basilide (León) e Marziale (Mérida), che durante la persecuzione di Decio avevano abiurato, vennero deposti e sostituiti da altri (Sabino e Felice), i cristiani di Spagna si divisero e, mentre i sostenitori dei primi si rivolsero, con successo, al vescovo di Roma Stefano (sostenitore del valore oggettivo della ordinazione episcopale), gli altri cercarono consensi presso il rigorista Cipriano, vescovo di Cartagine14. Inoltre, la stessa varietà di interventi contemplati dai canoni eliberitani appare prova dell’esistenza di posizioni differenziate.
Nella difficoltà di attribuire a Ossio una chiara posizione in quel contesto15, appare dunque arbitrario sopravvalutare, sulla base di analogie fra alcune delle decisioni prese a Elvira e quelle di Arles e di Nicea, l’intervento del vescovo di Cordova, che rappresenterebbe così l’anello di congiunzione fra le une e le altre16. Altrettanto arbitrario è ipotizzare, sulla base degli avvenimenti successivi (soprattutto quelli relativi alla politica costantiniana), che nella sinodo eliberitana, artefice soprattutto Ossio, sia stata concepita l’idea di una Chiesa unitaria che, nella debolezza dello Stato romano, avrebbe posto le basi del futuro Impero cristiano17.
Ciò che può invece affermarsi con relativa sicurezza è che Ossio di Cordova doveva avere chiara consapevolezza dei complessi problemi legati alla riammissione degli apostati nella comunità cristiana e della necessità di mantenere atteggiamenti di cautela nei rapporti con lo Stato e con la cultura tradizionale romana.
Negli anni successivi sembra che Ossio condivida la sorte di molti dei cristiani che vivono nei territori spagnoli, sottoposti al controllo di Massimiano Erculio18, i quali nel 303 subiscono la persecuzione. Egli avrebbe infatti, a rischio della vita, affermato la propria fede cristiana dinanzi alle autorità e questo gli valse il titolo di confessor. Di ciò, al solito, si hanno solo attestazioni indirette: lo afferma, anche se in forma non del tutto esplicita, la vita Constantini eusebiana19; lo avrebbero dichiarato i vescovi riuniti a Serdica nel 34320, lo avrebbe affermato lo stesso Ossio nella già ricordata lettera inviata a Costanzo II (conservataci da Atanasio21). Lo stesso Atanasio, legato a Ossio per la comune, strenua difesa della fede nicena22, più volte attribuisce il titolo di confessor al vescovo di Cordova23. Tanta insistenza tuttavia è apparsa eccessiva24.
Tali notizie, infatti, sembrano contrastare con quanto riportato da Agostino durante la conferenza antidonatista di Cartagine del 41125. Egli, infatti, riferisce di un’accusa mossa dai donatisti a Ossio, quella di essere stato condannato (secondo Agostino con false accuse) dagli spagnoli e di essere stato successivamente assolto dai galli, che ne avrebbero provato l’innocenza26.
Appare difficile stabilire la fondatezza dell’accusa. Certo in ambito donatista essa doveva circolare da tempo e presumibilmente doveva essere nata nel contesto della ritrovata pace in Spagna.
Infatti, dopo le dimissioni di Diocleziano e Massimiano nel 305, la regione passa sotto il controllo del nuovo augusto Costanzo27, con la conseguenza che la persecuzione contro i cristiani sarebbe cessata del tutto28. Alla morte di Costanzo, nel 306, la Spagna passa sotto il controllo del figlio Costantino29.
Per la Spagna, tuttavia, non si hanno notizie di un dibattito sulla questione dei lapsi, sebbene taluni si siano macchiati della pur grave colpa di aver consegnato i libri sacri (traditores), e sul problema della loro riammissione nella Chiesa, come invece accadeva a Roma e, in misura ampia, a Cartagine. Certo il caso di Ossio appare significativo: se la notizia è fondata, egli deve essere stato accusato da frange di rigoristi, peraltro poco note, di aver ceduto di fronte alle minacce delle autorità, e deve aver ricevuto una qualche condanna, presumibilmente da una sinodo («Osius ab Hispanis damnatus», scriveva Agostino). Successivamente in Gallia sarebbe stato riabilitato, non è possibile dire in che forma («a Gallis absolutus»)30.
Forte di questo bagaglio di esperienze maturate, soprattutto nel corso degli ultimi dieci anni, sul problema dei lapsi e su quello dei rapporti con la religione tradizionale, Ossio si avvicina a Costantino.
Quando questo incontro sia avvenuto non è possibile indicare con certezza. L’imperatore, fra il 306 e il 312, allorché parte per la campagna contro Massenzio in Italia, si muove tra la Britannia, la Gallia e il confine renano, ma dimora più a lungo a Treviri31. Ossio, dunque, potrebbe aver raggiunto l’imperatore in Gallia, lì dove, secondo la testimonianza di Agostino, sarebbe stato assolto. Opinione diffusa vuole che Ossio abbia raggiunto l’imperatore a Treviri nel 310: si tratta tuttavia di una suggestione che trae origine dagli avvenimenti successivi, nel corso dei quali il vescovo di Cordova assume un rilievo sempre maggiore32. In realtà non si ha alcuna notizia sino ai primi mesi del 313, quando, come si vedrà, Ossio viene esplicitamente ricordato in un documento costantiniano.
Prima di quella data nulla di sicuro è possibile dire. Che fra il 306 e il 312 Ossio si sia avvicinato a Costantino è certo; che egli abbia contribuito al percorso di avvicinamento dell’imperatore alla fede cristiana è un’ipotesi plausibile; impossibile invece è considerarlo come il principale artefice della conversione33. Ciò perché c’è la presenza di altri vescovi in quegli anni, come ad esempio Reticio di Autun, Marino di Arles e Materno di Colonia, tre vescovi che Costantino convoca in occasione del iudicium romano del 313 in relazione alla vicenda donatista, e che, presumibilmente, conosceva dagli anni del soggiorno nelle regioni della Gallia, se è da attribuire all’imperatore (e non c’è motivo di non farlo) la loro scelta34. Reticio di Autun è certamente il personaggio più noto. Autore di un trattato Adversum Novatianum, probabilmente aveva un atteggiamento di disponibilità verso i lapsi, ai quali appunto Novaziano era invece ostile.
Che l’imperatore si circondasse di questi personaggi ben prima dell’arrivo in Italia è confermato da Eusebio di Cesarea nella Vita Constantini. Egli ricorda, ad esempio, che al momento della visione (secondo Eusebio avvenuta prima dell’entrata in Italia) Costantino si sarebbe subito rivolto ai sacerdoti cristiani per chiedere chiarimenti sul Dio che gli si era mostrato in sogno e sul significato del segno apparsogli35; da quel momento – continua Eusebio – i sacerdoti di Dio lo accompagnarono sempre come consiglieri36.
La notizia risulta particolarmente importante. Ben prima dello scontro con Massenzio Costantino frequenta dunque vescovi cristiani, fra i quali certamente Ossio di Cordova. Tentare di andare oltre questo dato, sulla base delle informazioni disponibili, è impossibile37.
Le prime decisioni che Costantino prende subito dopo la vittoria su Massenzio del 28 ottobre del 312 vedono presumibilmente il contributo di Ossio, che in un caso viene esplicitamente ricordato.
Verosimilmente, già nel dicembre di quell’anno è emanata la cosiddetta «legge perfettissima»38, con la quale Costantino dimostra chiara consapevolezza (indotta forse da qualcuno dei vescovi che lo accompagnano, forse proprio da Ossio) delle tensioni interne al mondo cristiano39, che lo porta non a una generalizzata concessione di libertà (peraltro già concessa nel 311 da Galerio, e di fatto già prima a Roma da Massenzio), ma a una scelta selettiva, la quale sembrerebbe escludere quanti erano, a vario titolo, fuori dall’insieme di quelle comunità cristiane che erano legate tra loro da comuni scelte dottrinarie e che costituivano una Chiesa unitaria, catholica appunto.
A questa idea di unità della Chiesa, che deve essere tutelata come bene fondamentale al fine di un suo inserimento all’interno della compagine statale (è questa l’idea dell’imperatore), si ispirano i provvedimenti successivi (che riguardano tutti i territori costantiniani, in pratica l’Occidente, anche se la documentazione in nostro possesso è relativa all’Africa40), provvedimenti fra i quali la restituzione di beni confiscati durante le persecuzioni, la distribuzione di somme di denaro ai clerici, e l’esenzione degli stessi dai munera, tutte iniziative rivolte non genericamente alla comunità dei cristiani, ma esclusivamente a quanti appartengono alla ecclesia che viene definita catholica41.
Nella lettera inviata al vescovo di Cartagine Ceciliano, con la quale lo informa della decisione di distribuire la somma di 3.000 folles come «contributo per le spese ad alcuni ministri della legittima e santissima religione cattolica» – decisione già comunicata al rationalis Africae Urso –, Costantino lo invita a effettuare questa distribuzione «in conformità con il breve che ti ha inviato Ossio»; nel caso in cui la somma fosse insufficiente, Ceciliano potrà anche rivolgersi al procurator rerum privatarum d’Africa, Eraclide, il funzionario addetto alla gestione del tesoro statale in quella provincia, che avrebbe provveduto all’ulteriore finanziamento42. Appare chiara l’importanza dell’intervento del vescovo di Cordova: egli ha provveduto a identificare, all’interno delle diverse comunità, quelle che erano in communicatio fra loro e che dunque potevano definirsi catholicae, perché solo a quelle sarebbero andati gli aiuti costantiniani. Un breve, che, tuttavia, potrebbe essere incompleto (evidentemente doveva riguardare tutti i territori sottoposti a Costantino), e perciò viene lasciata a Ceciliano, così come agli altri vescovi, la possibilità di richiedere somme ulteriori.
La decisione di affidare questo compito a Ossio qualifica dunque il ruolo che il vescovo svolge presso la corte di Costantino43. Forse può apparire eccessivo definirlo ‘principale consigliere religioso’ dell’imperatore44, quasi ad attribuire al vescovo un ruolo determinante nelle scelte religiose dell’imperatore; una tale immagine, infatti, tende a sopravvalutare la figura del vescovo, quasi ad assegnargli un primato che, però, mal si concilia con la personalità dell’imperatore che appare sempre, come si vedrà, caratterizzata da una forte autonomia decisionale. Tuttavia non c’è alcun dubbio che Ossio gli sia vicino, presumibilmente adattando alle circostanze i princìpi della politica costantiniana.
Il clima di queste vicende è segnato, in realtà, da quanto sta accadendo nelle province africane, attraversate dal conflitto donatista45. Appare infatti possibile che le disposizioni prima ricordate possano essere una risposta alle tensioni africane, determinate dalle conseguenze della persecuzione dioclezianea. Infatti il vescovo di Cartagine, Ceciliano, consacrato nel 311/312 da Felice di Aptungi, sul quale pendeva l’accusa di essere un traditor46?, nel corso della sinodo di Cartagine del 312 viene dichiarato decaduto da una parte del clero africano a favore di Maiorino47. Questo determina lo scoppio di un conflitto tra le due fazioni. Le prime disposizioni emanate da Costantino a favore dei cristiani (quella dei primi mesi del 313 relativa alla concessione di somme di denaro ai clerici, disposizione inviata a Ceciliano, e quella del marzo-aprile 313 relativa all’esenzione dai munera dei membri della ecclesia catholica, con l’esplicito riferimento ancora a Ceciliano) sembrerebbero essere una risposta diretta alle tensioni africane; e sono disposizioni che, come si è già detto, riguarderebbero anche gli altri territori sottoposti a Costantino, ma che la situazione africana potrebbe aver in qualche modo contribuito a definire.
La contrapposizione fra le due parti in cui si divise la Chiesa cartaginese, e di seguito la Chiesa africana, attraversa varie fasi48, che vedono prima un’azione civile presso il proconsole Anullino, in merito alla applicazione dei benefici imperiali, vinta dalla fazione di Ceciliano. Nell’aprile del 313 i sostenitori di Maiorino presentano appello all’imperatore, che ne delega lo svolgimento al vescovo di Roma Milziade, assistito da altri tre vescovi provenienti dalla Gallia, i già ricordati Reticio di Autun, Marino di Arles e Materno di Colonia. Costantino tuttavia nella convinzione che quanto deciso in ambito giudiziario dovesse essere recepito da un organismo ecclesiastico, per potere così ricomporre il dissidio, convoca ad Arles, per il 314, una sinodo49.
Quale sia stato il ruolo diretto svolto da Ossio in questa vicenda non è possibile definire con certezza50. Certo, senza voler attribuire al vescovo un ruolo di assoluto condizionamento delle scelte imperiali, ipotesi che appare difficile da sostenere, non c’è dubbio che Ossio abbia contribuito a chiarire a Costantino quali fossero i termini della questione e i problemi rappresentati dalle posizioni donatiste, che fra l’altro, nel negare il principio della validità oggettiva della ordinazione sacerdotale, si ponevano in contrapposizione con quella che era una posizione diffusa nella Chiesa occidentale51: elemento anche questo che impediva la communicatio della comunità donatista con le altre comunità cristiane.
Un ruolo, quello di Ossio quale consigliere dell’imperatore, che da parte donatista venne presumibilmente messo in evidenza, certo con intento polemico. L’eco di questi giudizi si trova però, ancora una volta, in epoca successiva, in occasione delle polemiche sviluppatesi nell’ambito della conferenza antidonatista del 411.
Si è già ricordata la notizia, di fonte donatista, di un processo subìto da Ossio. Agostino, nel polemizzare contro Parmeniano, leader della fazione donatista52, ricorda che Ossio fu accusato di aver aiutato Ceciliano, prima del giudizio romano del 313, a portare dalla propria parte alcuni dei vescovi legati al suo avversario Maiorino, certamente in Africa, ma forse anche in altre regioni dove i donatisti avevano raccolto consensi53.
Certo Ossio non risulta presente ad Arles; forse collabora alla stesura della lettera che l’imperatore invia ai vescovi lì riuniti54, come potrebbe aver collaborato alla lettera che i vescovi inviano a Silvestro alla fine dei lavori55.
Ancora, sempre Agostino ricorda che il vescovo di Cordova venne accusato da Parmeniano di essere direttamente responsabile delle misure contro i donatisti decise da Costantino56, allorché l’imperatore, dopo la sentenza di terzo grado (primo grado a Cartagine presso il proconsole, secondo grado a Roma nel 313) pronunciata a Milano – presenti le due parti – nell’ottobre del 315 (assoluzione di Ceciliano e condanna dei donatisti), invia al vicario d’Africa Emalius (novembre 316) notizia della sentenza e dà disposizione, fra l’altro, per la confisca dei beni appartenuti al clero donatista57.
Si tratta di accuse senza dubbio strumentali, che non è possibile tuttavia verificare nella loro reale consistenza sulla base delle testimonianze a nostra disposizione; esse tuttavia certamente appaiono indicative della convinzione, diffusa fra i donatisti, del ruolo svolto da Ossio al fianco dell’imperatore.
Dopo la notizia del breve commissionato da Costantino a Ossio nel 313 sulle chiese «della legittima e santissima religione cattolica» alle quali distribuire fondi, di Ossio non abbiamo alcuna altra notizia certa. Non si sa nulla dei suoi spostamenti, né se abbia seguito l’imperatore nel corso degli anni successivi oppure se sia tornato nella propria sede: certo, sulla base degli attacchi donatisti sopra ricordati sembrerebbe potersi sostenere una sua influenza sull’imperatore e dunque una continuativa presenza a corte, che, tuttavia, è impossibile definire meglio58.
La prima notizia certa è di qualche tempo dopo, del 321. Nel corso di quell’anno ricorre il quinquennale della nomina a cesari dei figli di Costantino, Crispo e Costantino iuniore – nominati consoli per lo stesso anno –, celebrato a Roma con grande enfasi, momento delicato e importante nel quadro degli equilibri politici, in relazione soprattutto a Licinio59. Nello stesso anno Costantino attenua la pressione sui donatisti60 ed emana tre importanti norme, emblematiche della sua politica religiosa.
La prima riguarda la possibilità per un privato di concedere la libertà a uno schiavo in chiesa, alla presenza dei sacerdoti; la comune prassi sancita dal diritto romano veniva così a essere innovata, attribuendo anche ai vescovi quelle che erano le funzioni dei magistrati civili61. Secondo lo storico Sozomeno, l’imperatore emanò tre distinte norme su questa manumissio in ecclesia62?; oggi si possiedono solo le disposizioni applicative inviate a Ossio il 18 aprile del 32163 e quelle inviate a Protogenes, vescovo di Serdica, tradizionalmente datate al 316 ma che devono invece essere collocate all’8 giugno 32364.
Gli altri due interventi riguardano uno la possibilità, per chi lo volesse, di giudizio di secondo grado presso un vescovo, che così assumeva anche funzioni giudiziarie: la cosiddetta episcopalis audientia, sancita da una costituzione imperiale del 23 giugno 32165; l’altro, di qualche mese precedente, la sospensione delle attività pubbliche nel giorno che ancora si definisce dies Solis66?.
Si tratta di un complesso di disposizioni con le quali si definisce lo stato giuridico della Chiesa, nella forma cattolica, all’interno dello Stato romano; disposizioni che in un certo senso culminano con una norma del 3 luglio del 321, con la quale si autorizza il lascito testamentario alla comunità cattolica, alla Chiesa dunque e non al singolo: un chiaro riconoscimento della comunità cristiana nel suo insieme, che assume dunque piena personalità giuridica67.
Tornando alla prima disposizione, considerarla una norma contro la schiavitù appare eccessivo: essa estende all’ambito ecclesiastico quella che era una prassi antica, che da secoli contemplava la concessione della libertà allo schiavo, che così acquisiva anche la cittadinanza romana. Rivendicare dunque a Ossio una decisa influenza su Costantino in merito a questo tema, sulla base di una sensibilità acquisita durante la sinodo di Elvira (il canone 5 condannava la donna che picchiava lo schiavo e lo uccideva), appare eccessivo68.
Questo inviato a Ossio è apparso come un rescriptum, una risposta cioè della cancelleria imperiale. Si potrebbe trattare di una circolare, in altre parole di una risposta inviata a tutti i vescovi, di cui i compilatori del Codice Teodosiano hanno ritrovato e utilizzato solo quella inviata al vescovo di Cordova69; oppure si potrebbe trattare della risposta a uno specifico quesito posto dal vescovo Ossio. In questa seconda ipotesi bisognerebbe comprendere in quale veste egli si sia rivolto all’imperatore: come vescovo della città di Cordova che chiede un chiarimento (si ricordi che Sozomeno parla di tre differenti leggi emanate da Costantino), dunque assumendo il ritorno di Ossio nella propria sede? Oppure si tratta di un chiarimento di carattere generale inviato attraverso Ossio, che dunque continuerebbe a svolgere, e certamente a corte, il ruolo di ‘consigliere degli affari religiosi’, come aveva fatto nel caso della compilazione del breve relativo alle chiese cui concedere contributi finanziari?70
Utile potrebbe risultare il confronto con la già ricordata costituzione (anch’essa in realtà un rescriptum) inviata al vescovo Protogenes nel giugno del 323. Senza entrare nei particolari, essa sembra avere un valore circoscritto: ne sono rivelatori lo stesso incipit («Come ho già stabilito…») e il riferimento a un problema particolare, la necessità di una regolare verbalizzazione della manumissio.
Il documento indirizzato a Ossio, invece, pur rinviando implicitamente a una norma di carattere generale (una delle tre indicate da Sozomeno?), affronta però un tema più ampio: stabilisce che «coloro che con intenzione religiosa avranno accordato una meritata libertà ai loro schiavi all’interno di una chiesa» ottengano di concedere anche la cittadinanza romana – cosa che solitamente avviene con una procedura particolare – solo in presenza di vescovi. Ai clerici, invece, viene permesso di affrancare gli schiavi e di concedere la cittadinanza non solo in chiesa ma anche per testamento o a voce, senza ulteriori formalità. Immaginare che si sia di fronte a una disposizione inviata a tutti i vescovi, e che fra le varie copie i compilatori del Teodosiano abbiano rintracciato, e utilizzato, solo quella inviata a Ossio, è certo possibile; forse però maggiormente probabile è che questo perfezionamento della norma sia stato inviato a Ossio, stretto consigliere dell’imperatore, in risposta a una precisa richiesta di cui il vescovo si era fatto portavoce, ancora una volta come intermediario fra l’imperatore e altri vescovi.
Per ritrovare Ossio si deve attendere qualche tempo. Sconfitto Licinio nel settembre del 324, Costantino è padrone di tutto l’Impero, piena realizzazione di quella ambizione che egli coltivava da quasi vent’anni. Questa è l’occasione in cui l’imperatore rafforza la propria politica religiosa, che, stando ai discorsi ufficiali, pare improntata alla pace e alla concordia, nella quale sembrano trovare spazio anche i pagani e presumibilmente quanti fra i cristiani seguono dottrine eterodosse71. Così infatti si esprime, fra l’altro, nella lettera ai provinciali d’Oriente, conservata da Eusebio di Cesarea: «La fede di cui ciascuno è profondamente persuaso non offra il pretesto per recare offesa agli altri: se è possibile, si faccia in modo che l’opinione e il pensiero che uno ha maturato in se stesso riesca di giovamento per il prossimo; ma se ciò non fosse possibile, si abbandoni tale proposito»72. Una posizione che forse derivava anche dalla consapevolezza delle difficoltà che aveva incontrato con i donatisti, un dissidio che nonostante tutti gli interventi imperiali non si era per nulla risolto. In tutta la vicenda donatista egli aveva sempre tentato di comporre il dissidio attraverso la mediazione, scontrandosi sempre con gli irrigidimenti di entrambe le parti, che lo avevano portato a sostenere la ecclesia catholica, quella che doveva sembrargli godere di una ampia maggioranza. Questo è il tratto fondamentale della politica religiosa costantiniana: ricerca della concordia attraverso la mediazione, nella primaria esigenza di costruire e tutelare come bene fondamentale l’unità dei cristiani, alla quale doveva essere ricondotta ogni forma di dissenso.
Raggiunta dunque l’unità politica, Costantino deve affrontare un nuovo problema, quello del dibattito sulla natura di Cristo. La controversia, dagli inizi incerti, si sviluppa, sulla base di dottrine cristologiche maturate nel corso dei secoli precedenti, a opera del prete alessandrino Ario, che accentua la posizione subordinata del Figlio rispetto al Padre, a lui nettamente inferiore e cronologicamente posteriore, in quanto dal Padre creato direttamente dal nulla73.
Il dibattito si sviluppò in un violento contrasto con quanti erano collocati su posizioni di ortodossia trinitaria, come Alessandro, vescovo di Alessandria, che in una sinodo convocata presumibilmente nel 318 fa condannare Ario e la sua dottrina, innescando tuttavia una forte reazione soprattutto nella Chiesa antiochena (Eusebio di Nicomedia), che veniva così a contrapporsi a quella alessandrina74. Partito da Alessandria, il conflitto si ampliò quindi alle regioni circostanti, in quanto, sottolinea Eusebio nella vita Constantini, «da Alessandria entrambe le fazioni in lotta inviavano ambasciatori ai vescovi delle singole province; questi si schieravano dalla parte di una di esse e finivano così col trovarsi implicati nella medesima controversia»75.
Costantino a questo punto interviene, e lo fa attraverso una lettera che da Nicomedia (o forse da Antiochia), ove egli si trova76, invia ad Alessandro e Ario; messaggero è il vescovo Ossio, che dunque, ancora una volta, troviamo presso la corte costantiniana a intraprendere quello che sarà l’ultimo, il più importante fra gli incarichi affidatigli da Costantino, e che segnerà, paradossalmente, l’inizio della sua caduta.
Interessanti sono le parole che Eusebio utilizza per indicarlo:
Subito inviò alle parti che si contrapponevano in Alessandria, in qualità di supremo giudice di pace, uno dei santi uomini che aveva intorno a sé. Lo conosceva molto bene perché aveva dato ampie prove della sua saggia condotta e della sua fede integerrima: si trattava di un uomo sommamente insigne per il modo in cui nei tempi passati aveva reso testimonianza alla religione. Per il suo tramite spedì agli autori della disputa una lettera oltremodo indispensabile77.
Si tratta di affermazioni molto interessanti, che mettono soprattutto in evidenza, al di là dell’enfasi retorica, il fatto che la collaborazione di Ossio si sia svolta nel tempo senza soluzione di continuità: una collaborazione costante, che nasceva dalla condivisione degli orientamenti costantiniani, che, non sappiamo in quale parte, il vescovo di Cordova aveva contribuito a delineare. La lettera contiene molti elementi interessanti a definire la volontà di Costantino. In primo luogo viene chiaramente affermato il ruolo della concordia religiosa nel pensiero politico dell’imperatore («Sapevo molto bene che, se avessi stabilito, secondo i miei stessi voti, una generale concordia fra tutti i servitori di Dio, anche l’intero apparato dello Stato avrebbe guadagnato un mutamento corrispondente ai pii sentimenti di tutti»): una concordia già messa alla prova dalla vicenda donatista, «quando una intollerabile follia si diffuse per tutta l’Africa a causa della scellerata leggerezza di alcuni che avevano osato scindere in diverse sette la fede religiosa dei popoli». Adesso il dissidio, forse peggiore di quello donatista, ha raggiunto anche l’Egitto, terra dalla quale Costantino sperava «che altri potessero ottenere la guarigione». Emerge la difficoltà dell’imperatore a comprendere le ragioni per cui un dissidio tutto teologico debba suscitare conflitti così gravi («mi sono reso conto che la causa che li ha provocati è quanto mai insignificante, tanto da non meritare sì grande contesa»). Ecco dunque la decisione di intervenire: «a buon diritto vengo a pormi in mezzo alla vostra disputa in qualità di arbitro e giudice di pace». Costantino ostenta sicurezza, è convinto di poter risolvere la questione, o meglio è questa l’impressione che intende trasmettere ai contendenti. A rafforzare questa convinzione ripercorre le fasi della contrapposizione fra Alessandro e Ario, e qualificandosi come loro ‘conservo’, offre una serie di consigli: «Sarebbe stato bene, fin dall’inizio» afferma infatti «non porre domande su simili argomenti […]. Tali indagini […] scaturiscono dalle inutili discussioni dei momenti d’ozio […] è tuttavia nostro dovere tenerle ben chiuse dentro di noi». Certo Costantino minimizza, nel tentativo di ricondurre le due parti alla concordia; tuttavia la sua incredulità di fronte a un tale conflitto sembra sincera: «A ben considerare, il motivo da cui ha avuto origine la controversia non concerne i principi basilari della Legge, né voi introduceste un nuovo scisma in merito al culto divino: il vostro convincimento rimane uno e identico, sicché non c’è ostacolo a che voi vi riuniate in unità e concordia». L’obiettivo da raggiungere è ribadito più volte:
lasciate che io, che sono il servitore dell’Onnipotente, porti a compimento questa mia iniziativa: potrò così condurre all’unità e alla concordia le sue genti con la mia parola, con il mio ministero e con la costante premura dei miei consigli […] perché la Legge in ogni sua parte prescrive l’unione perfetta in un unico intendimento di spirito.
Costantino è consapevole di non poter forzare le posizioni degli uni verso quelle degli altri: «Voi potete ugualmente salvaguardare il bene prezioso dell’unità […] anche se tra voi dovesse esistere in parte un dissenso su di un argomento di secondaria importanza». La lettera si conclude con una esortazione quasi paterna: «Concedetemi giorni sereni e notti tranquille; fate in modo che a me sia alfine riservato il piacere della pura luce e la gioia di una vita calma e quieta», dove, evidentemente, la tranquillità del principe è la tranquillità dello Stato78.
La paternità della lettera è tutta costantiniana79. Forte è la preoccupazione per quanto sta accadendo ad Alessandria, come sincero è il rammarico che ciò avvenga per questioni che all’imperatore, un soldato del IV secolo e non un teologo, sembrano di poco conto. Più insidioso doveva essergli apparso il conflitto donatista, del quale forse avvertiva anche lo spirito nazionalistico: un conflitto nel quale la posta in gioco era molto più concreta (possesso di chiese e di beni).
La missione affidata a Ossio80, dunque, non è quella di dirimere una questione dottrinale, di sedare i contrasti sulla base di un confronto teologico, ma quella di mettere da parte le differenze e badare alla sostanza della fede, come più volte è detto nella lettera. Obiettivo per conseguire il quale Costantino sembra volersi affidare non all’Ossio vescovo, ma all’Ossio mediatore, nel quale evidentemente, per esperienze precedenti, ripone grande fiducia.
Eusebio, infatti, aggiunge che Ossio agì in perfetta sintonia con le indicazioni fornite nella lettera, ma anche secondo quella che era la volontà dell’imperatore, ed era uomo perciò pio e religioso, che anche in quell’occasione rese i propri servigi in maniera egregia.
Non conosciamo direttamente gli esiti della missione, tuttavia gli avvenimenti successivi dimostrano che essa fu un fallimento. Da Atanasio abbiamo notizia di una sinodo di vescovi egiziani alla quale partecipa Ossio, in cui si sarebbe discusso della vicenda di Colluto, che si era autoproclamato vescovo e aveva ordinato diversi sacerdoti81. Ma è possibile che si sia discusso anche dello scontro fra Alessandro e Ario.
In ogni caso, nel dicembre del 324 Ossio lascia Alessandria, presumibilmente per raggiungere Costantino e informarlo dell’esito della missione. Tuttavia, nei primi mesi del 325 egli avrebbe partecipato, forse presiedendola, a una sinodo svoltasi ad Antiochia, nella quale si sarebbe trattato della questione ariana. La notizia proviene da un documento in siriaco contenente una collezione di testi canonici, fra i quali una lettera inviata ad Alessandro, vescovo di Costantinopoli (sic), da parte di vescovi riuniti appunto ad Antiochia82. Quale e quanta influenza questa sinodo possa aver avuto sui successivi eventi non è facile da comprendere, anche di fronte al totale silenzio sulla vicenda da parte degli storici ecclesiastici.
Costantino, informato da Ossio83, prende immediatamente una decisione: convocare un’assemblea generale dei vescovi e in quell’occasione affrontare il problema ariano84. La decisione, anche in questo caso, è tutta costantiniana85; alcuni storici antichi, come Rufino di Aquileia, tentano di accreditare una qualche richiesta dei vescovi alla quale l’imperatore avrebbe acconsentito86, mentre l’ariano Filostorgio ne attribuisce la paternità ad Alessandro di Alessandria87. Nel documento prima ricordato, scoperto da Eduard Schwartz, è contenuta anche una lettera di Costantino in cui si accenna alla decisione di spostare la sinodo da Ancyra, dove originariamente doveva tenersi, a Nicea in Bitinia. Nella lettera sinodale di Antiochia si fa riferimento a una prossima sinodo di Ancyra, quasi ad attribuire a quei padri sinodali riunitisi nella città siriaca la paternità dell’iniziativa88. Si tratta, tuttavia, di tentativi di attenuare la portata di un avvenimento che doveva apparire ai contemporanei come eccezionale: era la prima assemblea dei vertici delle gerarchie ecclesiastiche di tutte le Chiese, che però avveniva per volontà dell’autorità civile.
La scelta della città di Nicea dovette essere dettata dall’esigenza che l’assemblea si svolgesse in una località vicina alla corte di Nicomedia, in modo da poter controllare direttamente lo sviluppo dei lavori. Lo scopo era evidente: ricomporre le lacerazioni all’interno della Chiesa cristiana, senza tuttavia tener troppo conto delle sottigliezze teologiche che erano alla base del confronto, e mantenere così all’Impero unito la benevolenza divina89.
La sinodo inizia il 20 maggio del 32590. Eusebio descrive con cura l’ingresso dell’imperatore nella sala ove erano riuniti i vescovi fatti venire da tutte le province d’Oriente e d’Occidente; egli infatti avanza fra loro in processione solenne, accompagnato dal suo seguito e vestito di un abito fiammeggiante, per poi sedersi su un sedile piccolo (rispetto ai seggi riservati ai vescovi), ma d’oro massiccio: una scenografia che doveva offrire una chiara indicazione dei ruoli91.
L’imperatore rivolge all’assemblea un discorso in lingua latina (tradotto in greco da un interprete), nel quale, dichiarandosi più volte ‘conservo’ dei vescovi presenti, indica chiaramente che obiettivo della sinodo è la soluzione (si potrebbe dire a qualsiasi costo) della controversia92. Iniziati i lavori, Costantino vi partecipa con attenzione, intervenendo nel dibattito con osservazioni e sollecitazioni, e svolgendo dunque un ruolo, tra i vescovi riuniti in sinodo, che rappresenta certo una novità: il detentore del potere politico che indirizza il dibattito, lui che si considera certo ‘conservo’, ma soprattutto, come avrebbe affermato in altra occasione, ‘vescovo’ anch’egli, ‘vescovo di quelli di fuori’, vescovo di quelli che sono al di fuori dell’organizzazione gerarchica della Chiesa, e dunque dei laici, di tutto il popolo cristiano93.
Tutto questo sino a quando – sostiene Eusebio – riuscì a portare tutti i presenti verso un accordo sul quale ottenere l’unanimità dei consensi94.
In realtà per volontà dell’imperatore si giunse a un compromesso – con una formulazione che aveva al suo centro la dichiarazione che il Figlio aveva la ‘stessa sostanza’ del Padre –, che per diverse ragioni scontentava sia i sostenitori di Ario che i suoi oppositori: una soluzione di compromesso che quasi tutti i presenti accettarono, ma che avrebbe in realtà rinfocolato una polemica destinata ad attraversare tutto il IV secolo e a spingersi ben oltre95.
Ancora una volta incerto appare il ruolo di Ossio. Egli è certamente presente: Eusebio annota che «tra gli spagnoli partecipava al concilio insieme con tutti gli altri quel famoso personaggio che era da tutti tenuto nella più alta stima e considerazione»96. Gli è stata attribuita la presidenza della sinodo, sostanzialmente sulla base del fatto che il suo nome apparirebbe come primo nella lista delle sottoscrizioni agli atti sinodali; tuttavia tali liste sono il frutto di numerosi rimaneggiamenti intervenuti nel tempo, e sono dunque di problematico utilizzo, in assenza anche dei verbali sinodali, che non ci sono giunti97. È vero che alcune affermazioni, in realtà piuttosto generiche, riportate da Atanasio gli attribuiscono la presidenza di un gran numero di sinodi, tuttavia manca in esse uno specifico riferimento a Nicea98.
Altrettanto problematica è l’attribuzione a Ossio della funzione di rappresentanza del vescovo di Roma, assente, come annota Eusebio, per motivi di salute, ma sostituito da due suoi presbiteri99. Tuttavia una tale rappresentanza non trova alcuna giustificazione.
Quanto all’attribuzione a Ossio di un ruolo determinante nella redazione della confessione di fede voluta da Costantino, a parte alcune indicazioni fornite da Atanasio100 e da Filostorgio, secondo il quale Alessandro di Alessandria durante il viaggio verso Nicea si sarebbe incontrato con Ossio per mettersi d’accordo sulla formulazione della ‘consustanzialità’101, nulla di certo è possibile sostenere102. Maggiore credito ha invece la testimonianza riportata dallo storico ecclesiastico Socrate, secondo cui la formulazione fu proposta da Eusebio di Cesarea103.
Questi, negli anni precedenti, si era schierato dalla parte di Ario, spinto non tanto da un’adesione alle sue posizioni, quanto piuttosto da una sincera esigenza di riconciliazione, che lo avrebbe portato a convocare una sinodo a Cesarea, senza tuttavia ottenere un risultato positivo. Nel corso della sinodo antiochena che sarebbe stata presieduta da Ossio, allorché venne assunta dalla maggioranza dei vescovi presenti una posizione rigidamente antiariana, Eusebio di Cesarea e altri si rifiutarono di aderirvi; e vennero per questo scomunicati104. Al momento della partecipazione alla sinodo nicena, Eusebio aveva dunque la necessità di giustificare la propria posizione, e lo fece presentando la formula professata dalla comunità di Cesarea. Questa formulazione, che insisteva specialmente sulla consustanzialità del Figlio al Padre, venne accettata, ma soprattutto parve a Costantino adatta a rappresentare una possibile soluzione, e per questo venne fatta propria dall’imperatore e quindi approvata dai padri niceni.
Costantino aveva ottenuto ciò che desiderava, il ristabilimento della pace all’interno della Chiesa, attraverso il conseguimento dell’unità, anche al prezzo di una condanna per Ario, mandato in esilio assieme ai pochi altri che non avevano voluto accettare l’esito della sinodo: unità che viene esaltata nella lettera del giugno 325 inviata da Costantino alle chiese proprio per dar conto degli esiti della sinodo105; singolarmente in essa non si fa riferimento alla vicenda ariana, ma si esalta l’unità della Chiesa ristabilita attraverso la soluzione del problema della celebrazione della Pasqua, che da quel momento in poi verrà celebrata nella medesima data in Occidente e in Oriente.
Da questo momento di Ossio non si hanno più notizie per lungo tempo. Un tale silenzio è stato plausibilmente spiegato con il ritorno del vescovo nella propria sede106; se ciò fosse vero, significherebbe però anche altro, che cioè quella funzione di consigliere di Costantino nelle questioni religiose, incarico svolto per almeno un quindicennio, era venuta meno.
Appare difficile, in assenza di testimonianze dirette, comprendere le ragioni di ciò. Una risposta probabilmente va cercata negli avvenimenti di Nicea. Purtroppo non possediamo i resoconti della sinodo, e non conosciamo dunque l’articolarsi del dibattito e delle diverse posizioni. Sulla base delle azioni condotte da Ossio prima di Nicea e alla luce di quello che sarebbe accaduto in seguito, non è azzardato ritenere che il vescovo di Cordova, rigido oppositore delle posizioni di Ario, si sia progressivamente allontanato dalle posizioni di Costantino, che era più attento alla riconciliazione delle parti che alle formulazioni ideologiche. In altre parole la politica di mediazione voluta fortemente dall’imperatore vedeva in Ossio più un ostacolo che un collaboratore.
Altre sono le presenze che cominciano ad assumere un ruolo significativo alla corte di Costantino. In primo luogo l’intellettuale Eusebio di Cesarea, che l’imperatore conosce a Nicea, del quale condivide la ricerca dell’unità dei cristiani anche se a costo di qualche compromesso, e che nel tempo apprezzerà sempre più, al punto da farne, in qualche modo, il proprio ideologo107.
Altra presenza importante è quella del vescovo Eusebio di Nicomedia, aperto sostenitore di Ario e delle sue posizioni. Tra la fine del 327 e l’inizio del 328, nel corso di una sinodo tenuta a Nicomedia, Ario, resosi disponibile a recedere da alcune delle sue posizioni estreme, venne riammesso alla communicatio con gli altri vescovi e poté tornare ad Alessandria. Stessa sorte toccò a Eusebio di Nicomedia108. Una decisione, questa, che certamente vede come protagonista Costantino, il cui avvicinamento ad Ario, cioè a una dottrina che cominciava ad apparirgli predominante soprattutto nelle province orientali, secondo gli storici ecclesiastici di fede nicena sarebbe stata determinata dalle donne della famiglia dell’imperatore, soprattutto la sorella Costanza109. L’atteggiamento di favore verso Ario110 troverà, dal 328, solo la netta opposizione del nuovo vescovo di Alessandria, Atanasio, che, dopo alterne fortune, verrà esiliato a Treviri nel 335111.
In un tale contesto la posizione di Ossio doveva dunque apparire estranea agli orientamenti della nuova politica religiosa costantiniana: un’estraneità destinata ad accentuarsi negli anni successivi, quando, morto Costantino nel 337, soprattutto il figlio Costanzo II seguirà la politica religiosa paterna di sostegno agli ariani moderati112.
Fra il 342 e il 343 Costanzo, anche su sollecitazione del fratello Costante, convoca a Serdica una sinodo per tentare una riconciliazione fra niceni (soprattutto occidentali) e ariani (soprattutto orientali). In quell’occasione ricompare l’ormai anziano Ossio, che presiede l’assemblea e si impegna con vigore a sostegno delle ragioni degli ortodossi e soprattutto di Atanasio, senza tuttavia conseguire risultati significativi113.
Il vescovo di Cordova scompare ancora una volta per altri dieci anni; dalla Spagna, dove presumibilmente è ritornato, continua però a tenere i contatti con gli altri vescovi niceni, considerato da questi come loro leader114. La sinodo di Milano del 355 sancì l’ennesima condanna di Atanasio, non condivisa da alcuni vescovi, messi subito alle strette per approvare quelle decisioni. Venne raggiunto anche Ossio, che, convocato a Milano, rifiutò di tradire Atanasio e perciò nel 356-357 fu esiliato a Sirmio, dove ormai centenario fu costretto a partecipare a una nuova sinodo e a sottoscrivere la nuova formula voluta dall’ala radicale della fazione ariana115. Morirà poco dopo, nel 358116.
Prima di raggiungere Sirmio, sotto la pressione degli emissari di Costanzo, invia all’imperatore la lettera ricordata all’inizio, dove con forza sostiene la libertà della Chiesa dal potere imperiale. Si chiude così la parabola del vescovo di Cordova, in un certo senso vittima delle conseguenze di quella politica che, con Costantino, aveva contribuito a delineare.
1 Ath., h. Ar. 44, cit. in H. Rahner, Chiesa e struttura politica nel cristianesimo primitivo, Milano 1970, p. 76.
2 Sulla vicenda del vescovo Ossio esistono due monografie, per alcuni aspetti entrambe datate: quella di H. Yaben, Osio, obispo de Córdoba, Madrid 1945 e quella di V. De Clercq, Ossius of Cordoba. A Contribution to the History of Constantinian Period, Washington 1954; un ampio profilo è in U. Domínguez del Val, Osio de Córdoba, in Id., Historia de la antigua literatura latina hispano-christiana, I, siglos III-IV, Madrid 1998, pp. 141-195. Più recenti sono alcuni contributi su singoli aspetti, come A. Lippold, Bischof Ossius von Cordova und Konstantin der Grosse, in Zeitschrift für Kirkengeschichte, 92 (1981), pp. 1-15; G. Fernández, Osio de Córdoba y la persecución tetrárquica, in 1er Congreso peninsular de historia antigua (Santiago de Compostela 1-5 julio 1986), ed. por G. Pereira Menaut, 3 voll., Santiago de Compostela 1988, III, pp. 227-234; J.Fernández Ubiña, Osio de Córdoba, el Imperio y la Iglesia del siglo IV, in Gerión, 18 (2000), pp. 439-473; Id., El obispo y la ciudad: aspectos seculares del poder episcopal en Osio de Córdoba, in Estudios sobre las ciudades de la Bética, ed. por. C. Gonzáles Román, A.R. Padilla Arroba, Granada 2002, pp. 149-175. Sulla politica religiosa di Costantino cfr., tra i lavori più recenti, F. Amarelli, Vetustas-Innovatio. Un’antitesi apparente nella legislazione di Costantino, Napoli 1978; M.L. Scevola, Rilievi sulla religiosità di Costantino, in Rendiconti dell’Istituto Lombardo-Accademia di scienze e lettere, 37 (1981-1982), pp. 209-279; R. Leeb, Konstantin und Christus, Berlin-New York 1992; A. Marcone, Pagano e cristiano. Vita e mito di Costantino, Roma-Bari 2002, pp. 81-145; H.A. Drake, The Impact of Constantine on Christianity, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, Cambridge 2006, pp. 111-136; P. Veyne, Quand notre monde est devenu chrétien (312-394), Paris 2008, pp. 9-111; K.M. Girardet, Der Kaiser und sein Gott, Berlin 2010; T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power in the Later Roman Empire, Chichester 2011, pp. 131-140; G. Filoramo, La croce e il potere. I cristiani da martiri a persecutori, Roma-Bari 2011, pp. 88-136.
3 Si possiede solo l’indicazione relativa a un’opera (de laude virginitatis) che secondo Isidoro di Siviglia (vir. ill. 5) Ossio avrebbe scritto per la sorella, opera andata poi perduta.
4 Sulla corretta grafia del nome (Osius o Hosius) cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 44-48, con evidente preferenza per la prima forma.
5 Ath., h. Ar. 45.
6 Sulp. Sev., chron. II 40,5.
7 Cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 49-52.
8 V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 52-59. La famosa indicazione contenuta in Zos., II 29 («un egiziano venuto a Roma dalla Spagna») è da intendersi, secondo il parere concorde degli studiosi, attribuendo al termine ‘egiziano’ il significato di ‘mago’, ‘sacerdote di un culto straniero’.
9 V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 59-79.
10 Ath., h. Ar. 42. Cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 79-84.
11 Cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 85-147; U. Domínguez del Val, El Concilio de Elvira, in Id., Historia, cit., II, pp. 47-126, in partic. 47-52 con ampia discussione delle diverse ipotesi; El concilio de Elvira y su tiempo, ed. por M. Sotomayor Muro, J. Fernández Ubiña, Granada 2005.
12 M. Meigne, Concile ou collection d’Elvire?, in Revue d’Histoire Ecclésiastique, 70 (1975), pp. 361-387.
13 Così S. Calderone, Costantino e il cattolicesimo, Firenze 1962 (rist. Bologna 2001), pp. 85-90.
14 Cypr., epist. 67. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 87-89.
15 Cfr. J. Fernández Ubiña, Osio, cit., pp. 441-447.
16 Così U. Domínguez del Val, El Concilio de Elvira, cit., pp. 121-123.
17 La teoria venne esposta da A.W. Dale, The Synod of Elvira and Christian Life in the Fourth Century, London 1882. Cfr. le osservazioni di V. Le Clercq, Ossius, cit., pp. 110-114.
18 Cfr. T.D. Barnes, The New Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge (MA)-London, 1982, pp. 196-197 e 200.
19 Eus. v.C. II 63. Su questo cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 128-136; G. Fernández, Osio de Córdoba y la persecución tetrárquica, cit., pp. 227-234; U. Domínguez del Val, Osio, cit., p. 146.
20 Ath., apol. sec. 44. Cfr. anche Hil., op. hist. frg 2.
21 Ath., h. Ar. 44.
22 Sulla vicenda di Atanasio cfr., per un orientamento, A. Camplani, Atanasio di Alessandria, in Letteratura patristica, a cura di A. Di Berardino, G. Fedalto, M. Simonetti, Cinisello Balsamo 2007, pp. 194-204.
23 Ath., fug. 5,9; h. Ar. 42.
24 G. Fernández, Osio de Córdoba, cit., p. 227-228.
25 Sulla conferenza cfr. S. Lancel, Actes de la Conférence de Carthage en 411, I, Paris 1972.
26 Aug., c.Parm. I 4,7.
27 T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 197.
28 Eus., m.P. XIII 13-14.
29 T.D. Barnes, The New Empire, cit., p. 197. Su questo tema nel tempo sono state fatte ipotesi diverse, fra le quali quella di un controllo della regione prima da parte del cesare Severo (306-307) e poi dell’usurpatore Massenzio (307-310), per cui Costantino avrebbe preso possesso della Spagna solo nel 310. Questa ipotesi tuttavia ha oggi perso forza a favore della tesi di un controllo precoce della penisola da parte di Costantino. Cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 136-141 e 149-158; P. Barceló, Hispania en el primer decenio del siglo IV d.C., in Hispania antiqua, 8 (1978), pp. 77-87; M. Christol, P. Sillières, Constantin et la péninsule ibérique. Á propos d’un nouveau milliaire, in Revue des Études Anciennes, 82 (1980), pp. 70-80.
30 Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., p. 89. Da alcuni questa sinodo è stata identificata con quella di Arles del 314 in virtù del fatto che la notizia offerta da Agostino si colloca nel contesto di quella vicenda (ma, semplicemente, essa potrebbe essere emersa, polemicamente, in quel contesto); altri propendono, invece, a collocare la vicenda negli ultimi anni di vita di Ossio, durante il regno di Costanzo II (cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 171-173; S. Calderone, Costantino, cit., p. 305 nota 1).
31 T.D. Barnes, The New Empire, cit., pp. 69-70.
32 Così S. Calderone, Costantino, cit., p. 137 nota 4, sulla base di un’ipotesi di A. Piganiol, L’état actuel de la question constantinienne 1939/49, in Historia, 1 (1950), pp. 82-96, in partic. 84, e di W.H.C. Frend, The Donatist Church. A Movement of Protest in Roman North Africa, Oxford 1952, p. 145. Cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., p. 150 nota 12.
33 Tale lo riteneva V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 158-161.
34 Eus., h.e. X 5,19 non ha dubbi nell’attribuire all’imperatore la decisione di convocare i tre vescovi.
35 Eus. v.C. I 32,1-2.
36 Eus. v.C. I 32,3.
37 Si veda un ampio catalogo di ipotesi in V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 149-158.
38 Eus., h.e. IX 10,12.
39 Una sostanziale ‘ignoranza’ costantiniana è sostenuta da alcuni studiosi moderni (cfr. M. Simonetti, Costantino e la chiesa, in Costantino il Grande. La civiltà antica al bivio tra Occidente e Oriente, a cura di A. Donati, G. Gentili, Cinisello Balsamo 2005, pp. 56-63, in partic. 60.
40 Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 136 e 141-142.
41 Ivi, pp. 136-138; A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., pp. 97 segg.; K.M. Girardet, Der Kaiser und sein Gott, cit., pp. 125-128.
42 Eus., h.e. X 6,1-4 (trad. in Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, a cura di M. Ceva, F. Maspero, Milano 1979 pp. 533-535).
43 Cfr. J. Fernández Ubiña, Osio, cit., pp. 447-448.
44 Così V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 161-162.
45 Cfr. V. Aiello, Costantino e i vescovi di Roma, in questa stessa opera.
46 Su Ceciliano cfr. Prosopographie, cit., s.v. Caecilianus 1, pp. 165-175.
47 Su Maiorino cfr. Prosopographie, cit., s.v. Maiorinus 1, pp. 666-667. Su questa prima fase cfr. T.D. Barnes, The Beginnings of Donatism, in Journal of Theological Studies, 26 (1975), pp. 13-22.
48 Cfr. V. Aiello, Costantino e i vescovi, cit.
49 Anche per un approfondimento di questo aspetto cfr. V. Aiello, Costantino e i vescovi, cit.
50 Cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 161-183; U. Domínguez del Val, Osio, cit., pp. 147-149; J. Fernández Ubiña, Osio, cit., pp. 449-461.
51 Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 177-178.
52 Cfr. Prosopographie, cit., s.v. Parmenianus, pp. 816-821.
53 Aug., c.Parm. I 5,10.
54 Optat., app. 5. Così S. Calderone, Costantino, cit., p. 265 nota 2. Sulla lettera cfr. K. Rosen, Constantin der Grosse, die Christen und der Donatistenstreit 312-314. Eine Untersuchung zu Optatus von Mileve, Appendix V und zum Verhältnis von Staat und Kirche im 4. Jahrhundert, Paderborn 2011.
55 Optat., app. 4. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., p. 269 nota 3.
56 Aug., c.Parm. I 8,13. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 280-283.
57 Aug., c. Cresc. III 71,82; epist. 88,3. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 280-281 e 294-296; T.D. Barnes, The New Empire, cit., pp. 244-245.
58 Sulle diverse ipotesi cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 181-188.
59 Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 303-304; A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., p. 112.
60 Optat., app. 9.
61 Su questo cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 304-311; A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., p. 91; T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 134.
62 Soz., h.e. I 9,6.
63 Cod. Theod. IV 7,1 = Cod. Iust. I 13,2.
64 Cod. Iust. I 13,1. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., p. 304 nota 3, sulla base di un intervento di Seeck. Di parere diverso T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 134.
65 Cod. Theod. I 27,1. Sul documento e sui problemi di datazione cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 311-322. Cfr. anche G. Vismara, La giurisdizione civile dei vescovi (secoli I-IX), Milano 1995, pp. 37-55; M.R. Cimma, L’episcopalis audientia nelle costituzioni imperiali da Costantino a Giustiniano, Torino 1989, pp. 31-79; A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., p. 91; T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 134.
66 Cod. Iust. III 12,2 e Cod. Theod. II 8,1. Su questo cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 328-331; A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., p. 91; T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 132.
67 Cod. Theod. XVI 2,4. Cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. 322-328; L. De Giovanni, Chiesa e Stato nel Codice Teodosiano. Saggio sul libro XVI, Napoli 1980, pp. 57-58; T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 139-140. Più in generale cfr. T.G. Elliott, The Christianity of Constantine the Great, Scranton 1996, pp. 97-114.
68 Così U. Domínguez del Val, Osio, cit., pp. 149-150.
69 Così S. Calderone, Costantino, cit., p. 305 nota 1.
70 Che si tratti di una concessione particolare al vescovo Ossio per le benemerenze acquisite alla corte imperiale, e non di una norma di carattere generale, crede J. Fernández Ubiña, Osio, cit., pp. 460-461.
71 Cfr. A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., pp. 115-120.
72 Eus., v.C. II 60,1 (trad. in Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, a cura di L. Tartaglia, Napoli 2001 p. 111).
73 Sull’arianesimo in relazione soprattutto alla vicenda costantiniana, cfr. per un orientamento, oltre a M. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, Roma 1975, anche K.M. Girardet, Der Vorsitzende des Konzils von Nicaea (325). Kaiser Konstantin der Grosse, in Klassisches Altertum, Spätantike und frühes Christentum Adolf Lippold zum 65. Geburtstag gewidmet, hrsg. von K. Dietz, A. Lippold, D. Hennig, H. Kaletsch, Würzburg 1993, pp. 331-360; T.G. Elliott, The Christianity, cit., pp. 73-95; Ch. Pietri, Lo sviluppo del dibattito teologico e le controversie nell’età di Costantino: Ario e il concilio di Nicea, in Storia del Cristianesimo, II, cit., pp. 243-280; H.A. Drake, Constantine and the Bishops, cit., pp. 250-272; C.M. Odahl, Constantine and the Christian Empire, London-New York 2004, pp. 189-201; R. Turcan, Constantin, cit., pp. 235-248; E. Hermann-Otto, Konstantin, cit., pp. 118-134; T.D. Barnes, Constantine, cit., pp.120-126 e 140-142.
74 Cfr. A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., pp. 120-121.
75 Eus., v.C. II 62 (trad. cit.).
76 T.D. Barnes, The New Empire, cit. p. 76.
77 Eus., v.C. II 63 (trad. cit.). Che si tratti di Ossio, il cui nome non viene esplicitamente ricordato da Eusebio, è affermato sia da Socrate (h.e. I 7) che da Sozomeno (h.e. I 16). Su questa missione cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 195-206; U. Domínguez del Val, Osio, cit., pp. 150-151.
78 Eus., v.C. II 63-72 (trad. cit.). Sulla lettera cfr. anche A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., pp. 121-123.
79 Su questa attribuzione, e sul carattere ovviamente politico e non teologico delle argomentazioni adottate, cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 199-200.
80 Secondo Sozomeno (h.e. I 16), a Ossio sarebbe stato affidato anche l’incarico di affrontare la questione della data di celebrazione della Pasqua. Su questo cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 200-201.
81 Ath., apol. sec., 74. Cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 204-205.
82 Il documento venne pubblicato da E. Schwartz, Zur Geschichte des Athanasius, in Nachrichten von der Königlichen Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen, Philologisch-Historische Klasse, 6 (1905), pp. 272-280. Cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 206-217. Cfr. anche H. Chadwick, Ossius of Cordova and the presidency of Antioch, 325, in Journal of Theological Studies, 9 (1958), pp. 292-304.
83 Eus., v.C. III 5,3.
84 Sulla sinodo nicena, cfr. da ultimi T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, Cambridge (MA)-London 1981, pp. 208-223; Id., Costantine, cit., pp. 120-126; K.M. Girardet, Der Vorsitzende des Konzils von Nicaea, cit., pp. 331-360; T.G. Elliott, The Christianity of Constantine, cit., pp. 195-214; H.A. Drake, Constantine and the Bishops. The politics of Intolerance, Baltimore 2000, pp. 250-257; A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., pp. 125-129; R. Kany, Kaiser Konstantin und das erste Konzil von Nizäa, in Konstantin der Grosse. Kaiser einer Epochenwende, hrsg. von F. Schuller, H. Wolff, Lindenberg 2007, pp. 95-124.
85 Cfr. V. De Clercq, Ossius, cit. pp. 218-228.
86 Rufin., hist. I 1.
87 Philost., h.e. 1,7.
88 Cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 207-217.
89 Cfr. A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., pp. 125-126.
90 Sullo sviluppo della sinodo cfr. Ch. Pietri, Lo sviluppo del dibattito teologico, cit., pp. 256-266.
91 Eus., v.C. III 10.
92 Eus., v.C. III 11-12.
93 Eus., v.C. IV 24. Su questa problematica e celeberrima definizione cfr. S. Calderone, Costantino, cit., pp. XI-XLV.
94 Eus., v.C. III 13-14.
95 Cfr. A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., pp. 128-129.
96 Eus., v.C. III 7 (trad. cit.).
97 Cfr. la lunga disamina in V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 228-238. Si vedano anche le osservazioni di U. Domínguez del Val, Osio, cit., pp. 153-154.
98 Ath., fug. 5; h. Ar. 42.
99 Eus. v.C. III 7,2. Su questo cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 238-250; U. Domínguez del Val, Osio, cit., pp. 154-155.
100 Ath., h. Ar. 42.
101 Philost., h.e. I 7.
102 Per un parere diverso cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 250-266; U. Domínguez del Val, Osio, cit., pp. 155-157.
103 Socr., h.e. I 8. Cfr. A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., p. 128.
104 Cfr. T.E. Pollard, Eusebius of Caesarea and the Synod of Antioch (324/325), in Überlieferungsgeschichte Untersuchungen, hrsg. von F. Paschke, Berlin 1981, pp. 459-464; A. Velasco Delgado, Eusebio di Cesarea, in Letteratura patristica, cit., pp. 538-548, in partic. 544-545.
105 Eus., v.C. III 17-20,2.
106 V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 282-289.
107 Cfr. su questo ruolo oltre a T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, cit., pp. 126-275, i numerosi scritti di S. Calderone, fra i quali si segnala Teologia politica, successione dinastica e consecratio in età costantiniana, in Le culte des souverains dans l’Empire romain (Entretiens sur l’antiquité classique, 19), éd. par E.J. Bickerman, W. den Boer, Vondoeuvres-Genève 1973, pp. 215-219, e Eusebio e l’ideologia imperiale, in Le trasformazioni della cultura nella tarda antichità, Atti del Convegno (Catania 27 settembre-8 ottobre 1982), a cura di M. Mazza, C. Giuffrida, 2 voll., Catania 1985, pp. 1-26.
108 Cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 290-297; A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., p. 136; T.G. Elliott, The Christianity of Constantine, cit., pp. 215-227.
109 Cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 291-292, e più recentemente H.A. Pohlsander, Constantia, in Ancient Society, 24 (1993), pp. 151-167; T.G. Elliott, The Christianity of Constantine, cit., pp. 229-251.
110 Ch. Pietri, Lo sviluppo del dibattito teologico, cit., pp. 266-271.
111 Su queste vicende cfr. P. Peeters, L’épilogue du synode de Tyr en 335, in Analecta Bollandiana, 63 (1945), pp. 131-144; A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., pp. 135-140; A. Camplani, Atanasio, cit., p. 195. Cfr. anche Ch. Pietri, Lo sviluppo del dibattito teologico, cit., pp. 272-280.
112 Sulla politica religiosa di Costanzo II cfr. Ch. Pietri, La politique de Constance II: un premier ‘césaropapisme’ ou l’imitatio Constantini?, in L’église et l’empire au IVe siècle (Entretiens sur l’antiquité classique, 34), Vandoeuvres-Genève 1989, pp. 113-178; T.D. Barnes, Athanasius and Constantius. Theology and Politics in the Constantinian Empire, Cambridge (MA)-London 1993; P. Barceló, Constantius II. und seine Zeit, Stuttgart 2004, pp. 78-91. Sul complesso degli avvenimenti successivi cfr. Ch. Pietri, Dalla divisione dell’impero cristiano all’unità sotto Costanzo: la controversia ariana e il primo ‘cesaropapismo’, in Storia del Cristianesimo, II, cit., pp. 281-324.
113 Cfr. l’articolata ricostruzione di questi avvenimenti in V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 313-405.
114 Cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 406-426; Ch. Pietri, Dalla divisione dell’impero cristiano, cit., pp. 310-313.
115 Cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 426-458. Cfr. anche K.M. Girardet, Kaiser Constantius II. als episcopus episcoporum und das Herrscherbild des kirchlichen Widerstandes (Ossisus von Cordoba und Lucifer von Caralis), in Historia, 26 (1977), pp. 95-128.
116 Cfr. V. De Clercq, Ossius, cit., pp. 459-530.