OSSIAN
Nome comunemente dato a Oisín, leggendario guerriero e bardo gaelico, figlio di Finn (Fingal), che si suppone vissuto nel III secolo d. C. Col nome di "ciclo di Ossian" si designano quei canti di carattere epico che i bardi gaelici d'Irlanda e i Highlands scozzesi cantavano accompagnandosi sulla loro piccola arpa. Un gruppo di manoscritti dal sec. XII al XVI ha conservato parte di questo ciclo. Finn, O. e gli altri guerrieri (Dermid, Gaul, Oscar, ecc.) sono ivi descritti come buoni e virtuosi, eccellenti nel braccio e nel canto. Finn e i suoi soccombono in una grande sconfitta, e O., solo sopravvissuto degli eroi, vecchio e cieco va cantando le passate gesta e le sventure della sua razza. Questi testi giacevano dimenticati, per quanto la leggenda sopravvivesse in tradizioni orali, quando James Macpherson (1736-1796), stimolato dal drammaturgo John Home e da altri letterati scozzesi, ne diede alcuni saggi (in una sua sedicente versione) che poi raccolse in un volume anonimo nel 1760: Fragments of Ancient Poetry collected in the Highlands of Scotland, and translated from the Gaelic or Erse language.
Per lo studio della saga celtica, dell'archeologia celtica, o dello stile gaelico, i poemi ossianici del Macpherson sono privi di qualsiasi valore; essi prescindono dalle versioni tradizionali delle leggende, introducono arbitrarie alterazioni nella rappresentazione tradizionale della vita materiale descritta nei testi antichi autentici, e ignorano affatto le convenzioni tradizionali dello stile gaelico. Il primo frammento che il Macpherson mostrò a John Home, l'episodio della morte di Oscar, poteva dimostrarsi una contraffazione per ragioni interne (falsificazione della storia), e il Macpherson tentò più tardi di rimediarvi "scoprendo" una "versione" più corretta. Dopo la pubblicazione del volume del 1760, fu data commissione al Macpherson di raccogliere tutta l'antica poesia gaelica che si poteva trovare viaggiando ai Highlands e alle isole occidentali scozzesi; le spese del viaggio venivano pagate con sottoscrizione pubblica. Il Macpherson intraprese due viaggi, facendosi accompagnare nel primo da Evan Macpherson, nel secondo da Lachlan Macpherson di Strathmashie, entrambi versati nella lingua gaelica. Tra le carte di quest'ultimo, dopo la sua morte, nel 1767 fu trovato un manoscritto di suo pugno, con correzioni, intitolato First rude draft of the Seventh Book of Temora ("Primo abbozzo del settimo libro di Temora"). Ora, proprio un manoscritto di questo libro di Temora fu depositato dal Macpherson nel 1762 presso i suoi editori in Londra, con facoltà di esame da parte del pubblico: ma dopo un anno, non essendosi presentato alcuno, fu ritirato. Tutto ciò e il fatto che i cosiddetti "originali" dell'Ossian di Macpherson sono redatti in gaelico moderno (ben diverso dal gaelico del Seicento e più ancora da quello medievale), ignorano particolari che si ritrovano in tutti i poemi ossianici autentici (particolari folcloristici, quali frequenti accenni a streghe, fantasmi, nonché notizie di storia familiare e di clans) e sono basati su erronee presupposizioni di costume (nell'Ossian del Macpherson i Gaeli abitano in caverne o in palazzi, mentre di fatto essi abitavano in vere e proprie case o capanne, e avevano fortezze sulla cima delle colline o dùn), dimostra conclusivamente che, allorché si trattò di fornire gli "originali" delle due sedicenti versioni, il Macpherson si servì dell'opera di quei due collaboratori. La contraffazione non si poteva scoprire facilmente, data la poca conoscenza del gaelico al tempo del Macpherson, sicché i presunti "originali" ebbero ripetute edizioni (la prima nel 1807 a cura della Highland Society di Londra; la seconda nel 1818, la terza nel 1861, la quarta nel 1870, la quinta nel 1902, ristampa della seconda); ma in nessuno dei poemi ossianici autentici scoperti da circa la metà del secolo XIX si ritrovano passi analoghi a quelli delle composizioni macphersoniane, il che esclude che esse venissero redatte su trascrizioni orali. L'estrema vanità del Macpherson spiega com'egli s'imbarcasse in una contraffazione di sì vasta scala.
Il successo del volume del Macpherson indusse il riluttante autore a farvi seguito alla fine del 1761, con Fingal, an ancient epic poem in six books, questa volta aggiungendo al titolo il suo nome in qualità di traduttore, e facendo precedere il testo da dissertazioni che pretendevano stabilire l'autenticità dei poemi; nel 1763 con Temora, poema epico in otto libri. Tutti questi canti venivano ripubblicati nel 1765 con le dissertazioni del Macpherson e una del Blair, in cui si esponevano i meriti della poesia novellamente scoperta, e O. era paragonato a Omero. L'edizione del 1773 dava il testo definitivo dei 22 poemi e costituiva la vulgata dell'O. del Macpherson. Sulle orme di costui si misero Edmond de Harold, che tra il 1775 e il 1802 diede la traduzione d'altri canti ossianici, e John Smith che nel 1780 diede la versione inglese e nel 1787 il testo gaelico di 14 nuovi canti. I poemi del Harold ebbero fortuna in Germania, in Scandinavia e in Russia (traduzione russa 1803), quelli dello Smith vennero tradotti in tedesco, in italiano, e incorporati, in Francia, all'Ossian del Macpherson.
Tutti questi canti presentano una grande uniformità. Alternando il tono epico col lirico e l'elegiaco, narrano un'immensa quantità di storie assai intricate, i cui motivi dominanti sono la guerra, l'incredibile virtù cavalleresca dei guerrieri, il melanconico destino di varie coppie d'amanti o di sposi, con episodî di ratto, di caccia, di tempesta, e soprattutto le descrizioni, assai fresche, di paesaggio, con verdi e cupe distese di mare, laghi e brughiere solitarie, querce e abeti agitati dal vento o caduti, tombe senza nome, mura dirute di città un tempo fiorenti. I poemi spirano una profonda melanconia, un sentimento di vanità di sogni e di speranze, di tragica fine d'ogni amore, e insieme l'emozione suscitata dalle reliquie del passato. Così questa poesia s'armonizzava perfettamente col gusto romantico che s'andava maturando in quegli anni; la sorpresa della scoperta era accentuata dalla forma in cui i canti erano stesi, una prosa ritmica semplice di vocabolario e di sintassi, appassionata e pittoresca, ricca di nuove metafore. Ebbero soprattutto successo in Europa le due epopee di Fingal e di Temora (Temora è il nome del palazzo del re dell'Ulster), e, tra i poemi più brevi, Carthon, chiuso da una celebre apostrofe al sole spesso imitata, Dar-thula, per la consimile apostrofe alla luna che si trova all'inizio ("Dove ti ritrai alla fine della tua corsa, quando l'oscurità di più in più scende sul tuo viso? Hai la tua dimora come O.? Abiti tu nell'ombra della tristezza, ecc.", accenti che riecheggeranno poi in Leopardi); ma forse impressionarono specialmente le fantasie I canti di Selma per il loro carattere piuttosto lirico ed elegiaco che epico. Soprattutto nei canti ossianici di quest'ultimo tipo dominano le figure di O., il vecchio bardo, e della giovane e dolce Malvina, vedova di Oscar, che guida i passi erranti del vecchio, Antigone del mito nordico.
Nei primi anni, Ossian fu accolto in Europa con entusiasmo quasi unanime; alcuni vi videro la quintessenza stessa della poesia; il Diderot, squisito indice del nuovo gusto, esclamava: "Ce qui me confond, c'est le goût qui règne là, avec une simplicité, une force et un pathétique incroyables". O. venne paragonato a Omero e a Milton, a Pindaro e ai profeti della Bibbia. Poche le voci discordanti, ma tra queste quella del dittatore della critica inglese, Samuel Johnson, che fino dal principio negò ai poemi ogni interesse e valore. In Francia il Journal Encyclopédique attaccò violentemente lo stile ossianico, le sue metafore e la sua monotonia. Dopo la prima fase d'entusiasmo, sorsero i dubbî sull'autenticità, ma fino alla fine del secolo si può dire che la maggioranza dei lettori ammirò O. senza preoccuparsi fino a qual punto i canti fossero autentici. In Italia Camillo Zampieri e G. Roberti ne negarono l'autenticità fino dal 1764, ma la questione non appassionò gran che, e la massa dei lettori della versione del Cesarotti non si lasciò impressionare. Il Cesarotti stesso cercò d'evadere la questione trasferendo al Macpherson gli elogi, nel 1790. Ma verso la fine del secolo i dubbî presero piede a tal segno che si videro contraffazioni dappertutto.
Si può dire che non vi fu grande scrittore in Europa formatosi nella seconda metà del Settecento che non risentisse, sia pure per un breve periodo, della moda ossianica; meno, tuttavia, l'Inghilterra, dove l'opposizione del Johnson contrastò assai il successo. In Inghilterra O. lascia la sua impronta specialmente su un eccentrico, William Blake. Sul continente, invece, la protesta del Voltaire, che nelle sue Questions sur l'Encyclopédie (1770) all'articolo Anciens et Modernes fa criticare da un fiorentino lo stile ampolloso e vuoto di Ossian, rimane un'eccezione. In Francia, tuttavia, nessuno degli ammiratori di O. fu in grado d'imporsi all'opinione pubblica fino all'avvento dello Chateaubriand. In Italia invece O. trovò presto un ardente e autorevole fautore nel Cesarotti, la cui traduzione parve ad alcuni perfino superiore all'originale, e suscitò ammirazione fino a Vienna e a Varsavia. Nel 1784 fu celebrata nell'Accademia degli Arcadi a Roma l'entrata trionfale di O. impersonato nel Cesarotti. D. Floris, G. Fantoni, il Monti, F. Galeani Napione furono partigiani entusiasti di O.; il Foscolo, nel 1796, ammirava il "patetico cantor di Selma"; A. Viale, il "solitario delle Alpi", si nutre di O.; il Pindemonte ne è conquiso; nel 1796 U. Primavera pubblica, in ordine alfabetico, esempî di bello stile tratti dai poemi di O. Più calorosa ancora l'accoglienza in Germania, dove il paese di O. veniva considerato meta di pellegrinaggi non meno di Roma e della Grecia: ossianeggiarono Haller, Klopstock, Herder, Goethe, Schiller, Tieck. Herder e Goethe tradussero O. l'uno in versi, l'altro in prosa (versione dei Canti di Selma e di un passo di Berrathon nel Werther, versione che risale al periodo 1770-71, quando Herder, il più entusiasta degli ossianisti tedeschi, rivelò O. al giovane Goethe).
Per quanto O. incontrasse universale successo in Europa fino dal suo apparire, le versioni complete nelle varie lingue si fecero attendere. Le prime versioni frammentarie furono le francesi nel Journal Étranger del 1760 e anni seguenti; il Cesarotti in Italia, con grande fortuna (i Fragments e Fingal gli furono rivelati da un giovane inglese, Charles Sackville) in endecasillabi sciolti (Fingal, 1762; Temora e altri canti, 1763; successive edizioni, con aggiunte); M. Denis in Germania, in esametri (1768-69), furono i primi a dare versioni complete. La Germania è il paese dove O. fu più spesso tradotto; oltre alle versioni parziali di Herder e di Goethe già ricordate, citiamo la traduzione completa in versi ritmici di F. von Stolberg (1806). Per Herder la poesia ossianica era il tipo della poesia popolare primitiva, opposta alla poesia di studio. La Francia ebbe una traduzione completa in prosa di Le Tourneur (1777) che servì di base alla maggior parte delle traduzioni in versi e delle imitazioni del Settecento e dei principî dell'Ottocento. Nella grande edizione di Dentu, pubblicata al momento della massima voga di O. in Francia (1810), la versione del Le Tourneur forma un sol corpo con la versione che Griffet-Labaume e David de Saint-Georges, sotto lo pseudonimo di Gill, avevano data nel 1795 dei 14 canti dello Smith. La versione completa spagnola fu opera di Ortez (1788), di P. Montengón (Fingal e Temora, dal Cesarotti, 1804), Marchena e Gallego (ma solo parzialmente). In Olanda l'ossianista convinto Willem Bilderdijk pubblicò la sua versione in alessandrini dal 1795 al 1805, in Svezia si ebbe la versione completa del Knös (1794-1800). Dei varî metodi adottati dai traduttori, il primo in ordine di tempo (Turgot, Suard, Diderot, poi Goethe in Werther), che cercava di rendere in prosa ritmica soprattutto l'effetto lirico e il tono appassionato dell'originale, è certo quello che dà maggiore impressione di freschezza; ma è piuttosto l'O. reso in versi epici (heroic couplets alla Pope in Inghilterra, esametri alla Klopstock in Germania, endecasillabi sciolti in Italia) e rivestito di fredda e compassata maestà che più sembra confarsi al gusto dell'epoca, neoclassicheggiante pur nei romantici aneliti. Altri cercarono di rendere l'O. lirico in strofe libere: tali vennero poi messe in musica in Francia sotto il Consolato e l'Impero; tali si sforzò di dare il Cesarotti tra i suoi endecasillabi; infine alcuni trattarono i canti ossianici come monumenti filologici, e li resero in prosa con traduzione quasi interlineare (Harold, Le Tourneur).
Dalle traduzioni più o meno libere alle imitazioni il passaggio è insensibile; composero imitazioni, tra gli altri, in Germania il Tieck (1790), in Inghilterra il Coleridge (Complaint of Ninathoma, 1783) e il Blak, in cui all'ispirazione ossianica si mescola la biblica; in Francia il Perreau, le cui Scènes Champêtres (1782) combinano l'influsso di O. con quello degl'idillî del Gessner. Grande fortuna ebbero le apostrofi ossianiche al sole, alla luna, alla stella della sera, e i numerosi paragoni tolti al mondo siderale: passi ispirati a codeste apostrofi troviamo nel Monti, in molte poesie svedesi, ecc.
In Germania l'imitazione ossianica si fuse con quella della poesia bardita in genere, con tendenza patriottica: tale carattere riveste l'ossianismo del Klopstock (1764-74) che nei canti del bardo caledone vedeva una conferma delle sue teorie sul passato della razza germanica e sui caratteri della poesia nazionale. Contro le imitazioni dei moderni bardi protestò Herder, messo in guardia dal suo senso storico, assai acuto per il suo tempo; e in Italia protestò il Giornale dei Letterati di Pisa (1803), e il Foscolo, che tacciò di ridicola affettazione l'imitazione di O. Allo stesso s'ispirò anche il teatro, e tragedie ossianiche apparvero dapprima in Inghilterra e in Scozia; la Germania pure si mise per quella via con l'Ugolino del Gerstenberg (1767) e soprattutto Minona, dello stesso autore; in Italia si ebbero la Calto del Salvi (1778), la Clato di Luigi Casarini (1804), l'Arminio del Pindemonte (scritto nel 1797, pubbl. 1804), quest'ultimo sotto l'influsso combinato di O. e dei Barditi del Klopstock che cantavano la vittoria, i contrasti civili e la morte d'Arminio; in Francia si ebbe Oscar, fils d'Ossian (1796) dell'Arnault. Anche l'opera in musica s'ispirò a O.: Comala, di Casalbigi e Morandi, Calto, di Foppa e Bianchi (1788), Ossian ou les Bardes, di Le Sueur (1804), con dodici arpe nell'orchestra. I pittori rivaleggiarono coi musicisti nell'ispirarsi a O., specialmente in Francia al principio dell'Ottocento: Gérard, Le barde Ossian évoquant les fantômes sur le bord du Lora; Girodet, Les ombres des héros français morts pour la patrie, conduites par la Victoire, viennent visiter dans leurs nuages les ombres d'Ossian et de ses guerriers, qui leur donnent la fête de l'amitiè, dove l'artista fa fraternizzare nell'etere le ombre dei generali e dei soldati francesi in uniforme con O. e i guerrieri suoi compagni: vi si vede perfino un giovane dragone che, con una sciabola d'onore datagli dal Primo Console, uccide il feroce Starno, re di Loclin, nemico di Fingal. Napoleone, committente dei due quadri, era un grande ammiratore dei poemi ossianici. Per il soffitto della camera da letto di Napoleone nel suo palazzo di Monte Cavallo (Quirinale) a Roma, l'Ingres aveva dipinto un quadro di forma ovale raffigurante O. addormentato che vede in sogno discendere intorno a sé tutti gli eroi da lui evocati (ora nel museo di Montauban).
Benché un comitato appositamente nominato dopo la morte del Macpherson concludesse che egli aveva dato libere versioni di tradizionali canti gaelici, inserendovi passi di sua invenzione, il suo O. offrì come un punto d'attrazione magnetica verso cui si polarizzarono precisandosi molte delle vaghe aspirazioni del preromanticismo: la visione del Nord che egli presentava, pur vaga e di maniera, era precisamente quella a cui tendeva il gusto; la cavalleresca purezza dei suoi guerrieri confermava le idee rousseauiane sull'originale bontà della natura umana primitiva; la melanconia che pervade ogni sua parte alimentava i sentimenti di Weltschmerz che erano nell'aria; mentre la semplicità e la libertà della tecnica parevano stabilire i caratteri della poesia istintiva, e contribuivano all'affermazione romantica dei diritti della fantasia e all'eversione delle regole artificiali.
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