ospedale
La fabbrica della salute
L’ospedale nasce nel Medioevo come luogo di cura e di accoglienza dei poveri e dei pellegrini. Assume in seguito il compito di educare l’infanzia abbandonata, conservando sempre quello della cura dei malati, ed è questa la funzione che nel tempo s’impone sostituendo le altre. L’ospedale diventa così una complessa organizzazione, con un personale sempre più specializzato e con scopi di ricerca scientifica in campo medico. La gestione di un ospedale moderno è un compito arduo, sotto l’aspetto sia economico sia organizzativo e la sua architettura – grandi complessi ospedalieri ai margini delle città – riflette la nuova idea di salute: un diritto di tutti a star bene e a essere curati
Nel Medioevo, nelle grandi città europee raccolte attorno a un’importante cattedrale e popolate da moltitudini di poveri bisognosi di assistenza, esisteva quasi sempre un ospedale, in genere vescovile o conventuale, ospitato in edifici vicini o collegati alla chiesa. Del resto la Chiesa ha tra i propri compiti quello della carità e della misericordia, e quello dell’aiuto nei confronti di chi ha bisogno di cibo, abiti, elemosine. L’assistenza così fornita era destinata non solo a poveri, inabili e anziani, ma anche a pellegrini e viandanti che per motivi religiosi percorrevano a piedi la via Francigena o Romea, strada che dall’Europa del Nord raggiungeva il cuore della cristianità e cioè Roma, la tomba di s. Pietro, il papa.
Stanchi e affamati, i pellegrini trovavano lungo la via numerosi ospedaletti, di una o due stanze, dove potevano sostare e rifocillarsi per poi riprendere il cammino. Tali luoghi, divenuti nel Trecento una moltitudine anche per far fronte ai tanti malati di peste, vennero in seguito soppressi per lasciar posto dentro la città a un unico grande ospedale, dove era più facile assistere poveri e pellegrini che, oltre al cibo, richiedevano spesso cure mediche.
Col passare del tempo l’ospedale diventò sempre più laico: nasceva l’ospedale civile, gestito non più da religiosi, ma da persone di solito appartenenti alle famiglie più ricche della città.
Alcuni importanti ospedali avevano tra i propri compiti, stabiliti da regolamenti, anche quello del mantenimento e dell’educazione dell’infanzia abbandonata. Chiamato in modi diversi nelle diverse parti d’Italia (gittatello, esposto, trovatello), il bambino abbandonato veniva lasciato davanti all’ospedale o in una struttura in legno detta ruota o dentro una vasca di marmo, che erano poste all’ingresso dell’edificio.
Lasciare il proprio figlio alle cure dell’ospedale non era cosa insolita e non sempre segno di abbandono definitivo. Molte madri, infatti, in momenti economici particolarmente duri per la famiglia (malattia o morte del capofamiglia, periodi di carestia o epidemia nella città), decidevano di affidare il figlio più piccolo all’ospedale, ente che garantiva le necessarie cure al bambino, nella speranza poi di riprenderlo superate le difficoltà familiari. Era infatti abitudine, al momento dell’abbandono, mettere una catenina al collo del bimbo con metà di una medaglia o di un soldino, mentre l’altra metà restava alla madre, che grazie al ricongiungimento delle due parti avrebbe anche a distanza di tempo potuto riconoscere il proprio figliolo.
I neonati venivano ricoverati in un’apposita parte dell’ospedale e affidati alla cura delle balie, di città o di campagna, donne regolarmente stipendiate per allattare gli esposti, che rimanevano a carico dell’ospedale sino alla giovinezza. Durante questo periodo, ai maschi poteva essere data un’istruzione e insegnato un mestiere, utile per quando avrebbero lasciato l’ente, mentre le bambine erano destinate da adulte a entrare in convento o a sposarsi: l’antico ospedale S. Maria della Scala di Siena, per esempio, destinava loro persino una dote.
A partire dal Trecento era presente nell’ospedale anche vero e proprio personale infermieristico, composto da medici e studenti in medicina. Non mancavano inoltre gli speziali (nome che all’origine indicava i venditori di spezie da cui spesso si ricavavano le specialità medicinali), addetti alla preparazione delle medicine per la cura dei malati: questi ultimi provenivano comunque sempre dai ceti più poveri poiché i ricchi si curavano chiamando il medico nella propria abitazione.
Tanto più grande e importante era l’ospedale, tanto più vario era il personale sanitario, che poteva comprendere il maestro chirurgo per le medicazioni, il sottomaestro chirurgo per insegnare agli studenti come praticare il salasso (tecnica medica con cui si toglieva sangue dalle vene per curare molti disturbi), il cerusico del toso (cioè il «chirurgo dell’uomo tosato, depilato») che depilava i malati prima di una cura chirurgica, i medici primari e i medici astanti (assistenti dei malati) per la visita in corsia, l’onzionario che applicava le unzioni (anticamente, onzioni) ossia unguenti e impiastri prescritti dal medico, il capo-infermiere che decideva il ricovero, gli infermieri, i servi per la pulizia dei locali, per il trasporto dei malati e per la sorveglianza dei ricoverati, e così via. Malgrado ciò, nel 14° secolo e ancora per molti secoli la mortalità tra i degenti era altissima, specie fra i fanciulli, a causa delle malattie infettive: nell’ospedale di Siena, nel ventennio 1755-74 gli esposti furono 5.702, e ne morirono di malattia 3.718, pari al 73,50%!
Divenuto l’ospedale un luogo dalle molte funzioni assistenziali perché ospitava i pellegrini, curava gli infermi, allevava i bambini abbandonati, donava elemosine e pane ai poveri, ben si comprende come richiedesse spazi sempre maggiori, tanto da divenire una vera e propria città dentro la città, sia per dimensioni che per quantità di personale e di ospiti.
La realizzazione di una macchina tanto complessa dipendeva dalla disponibilità di mezzi economici: donazioni di ogni genere, specie in denaro, ma anche case e terreni lasciati per testamento da mercanti, banchieri, aristocratici che, giunti alla vecchiaia, cercavano con ogni mezzo di salvare la propria anima ‘comprandosi’ un posto in Paradiso, cioè lasciando all’ospedale le loro fortune in cambio del perdono da parte della Chiesa dei peccati commessi.
Ciò consentì agli ospedali di disporre di enormi ricchezze che andavano nel tempo ad arricchire le casse e il patrimonio dell’ente ospedaliero, amministrato oltre che dal Rettore, massima carica, anche da un tesoriere che gestiva i beni dell’ospedale.
Col passare del tempo all’ospedale sarebbe rimasta la sola cura dei malati; la società infatti ha riservato a strutture particolari le altre forme di assistenza: la casa di riposo per gli anziani, il brefotrofio per i trovatelli, il manicomio per chi soffre di malattie mentali.
A partire dal 19° secolo è la specializzazione della medicina a far decadere le funzioni assistenziali dell’ospedale a favore, invece, di quelle sanitarie.
Il vecchio metodo della semplice osservazione del malato per capire di quale patologia soffra viene sostituito dall’esame clinico fondato sull’intervista del paziente circa il modo di manifestarsi della sua malattia e sull’esame diretto del suo corpo tramite ispezione, palpazione, percussione, auscultazione, che saranno le nuove modalità di indagine del medico.
Ma l’ospedale si trasforma anche per la diversa struttura economica della società; nell’Ottocento nasce, infatti, una classe lavoratrice di artigiani e operai che, giunti dalla campagna in città per trovare lavoro, vivono in case misere, in condizioni igieniche mediocri che favoriscono lo sviluppo di numerose malattie come la febbre tifoidea e la tubercolosi, che richiedono il ricovero ospedaliero per essere curate.
I fondamentali traguardi della medicina (asepsi, anestesia, batteriologia, vaccinazioni, igiene, diagnostica radiologica e di laboratorio), inoltre, contribuiscono alla formazione di una vera e propria medicina ospedaliera, che richiede una diversa organizzazione interna dell’ospedale in quanto le varie patologie cominciano a essere curate in reparti adeguatamente attrezzati e da personale specializzato.
È nell’Ottocento che l’ospedale cambia definitivamente organizzazione, dandosi i compiti di istruire i futuri medici e gli infermieri, in quanto luogo di insegnamento universitario e di esperienza al letto del malato; di effettuare la ricerca scientifica sulle nuove patologie e sulle relative terapie; di permettere la guarigione dalle malattie acute e la cura delle patologie croniche. Non più inteso come contenitore di sofferenza e di mali legati alla povertà, l’ospedale diventa luogo di qualificata assistenza sanitaria, articolato in strutture costruite con moderni criteri igienici, edilizi e urbanistici.
Agli inizi del Novecento, oltre al modello del monoblocco, ossia un’unica costruzione con servizi distribuiti ai singoli piani e un corridoio centrale, l’ospedale viene costruito sulla base di un modello a padiglioni, composto da vari edifici staccati, ma in parte o in tutto collegati fra loro. È il caso del Policlinico Umberto I di Roma, ideato dal clinico Guido Baccelli (e costruito su una superficie di circa 160.000 m2, di cui 40.000 coperti), o quello dell’Ospedale Maggiore Niguarda (l’ospedale giardino), inaugurato a Milano nel 1939.
Oggi invece prevale la tendenza ad abbandonare i grandi immobili ospedalieri dentro le città storiche, favorendo la costruzione di vere ‘città della salute’, nettamente separate dalla città, localizzate in luoghi verdi periferici e facilmente raggiungibili dalle autoambulanze oltre che dai mezzi pubblici e dalle auto.
A ciò si aggiunga che dal Novecento le tecnologie entrano con forza nei grandi ospedali, richiedendo ampi spazi per le sale operatorie allestite con macchinari e per i moderni laboratori medico-diagnostici dotati di attrezzature sempre più ingombranti. Occorre pensare che un apparecchio radiologico degli inizi del Novecento era di dimensioni modeste e oggi è sostituito da macchine e da un supporto tecnologico che occupano una o più stanze, per non dire dell’ingombrante strumentazione necessaria ai vari tipi di diagnostica per immagini. Si aggiunga, infine, la dirompente evoluzione tecnica, soprattutto per quanto riguarda la tecnologia medica informatizzata, che obbliga a un continuo aggiornamento con l’acquisto di nuove apparecchiature di sempre maggiori dimensioni.
L’ospedale è oggi l’unico luogo a garantire i mezzi di indagine e le terapie necessarie, come fosse una industria che con le proprie macchine produce salute, in un modo certo incredibilmente più efficace di quanto possa essere fatto in luoghi di cura più piccoli o in casa. Esso è fatto di corsie per gli ammalati, ambulatori, laboratori, sale operatorie, uffici tecnico-amministrativi comprendenti gli archivi dove conservare la documentazione sanitaria, di una biblioteca oltre a tutti quei servizi utili alla gestione ospedaliera e ai malati (cucine, guardaroba, lavanderia, la cappella).
Questo tipo di organizzazione ha vantaggi sia funzionali, perché all’interno della stessa struttura il malato può – se necessario – godere delle competenze di specialisti nelle varie discipline mediche, sia economici, in quanto i costosi macchinari ospedalieri possono essere utilizzati da molti invece che da pochi come in ospedali di dimensioni limitate che, anche per questa ragione, tendono a scomparire. Questa tendenza ha peraltro lo svantaggio, particolarmente sentito nei piccoli centri e nei paesi, di non potere più disporre dell’ospedale ‘sotto casa’.
Di norma l’ospedale non ha solo i reparti di degenza (quelli in cui i malati restano per vari giorni), ma anche strutture per prestazioni sanitarie più rapide. Queste sono il pronto soccorso (per le prestazioni occasionali urgenti), gli ambulatori (per le visite mediche e alcune cure che non necessitano di ricovero) e il day hospital, o «ospedale giornaliero», in cui il malato viene ricoverato dalla mattina alla sera, solitamente per indagini diagnostiche o per piccoli interventi chirurgici, per i quali fino a pochi anni fa veniva richiesto un ricovero che poteva durare vari giorni.
Un’organizzazione così complessa comporta quindi continue ristrutturazioni interne, riorganizzazioni delle varie cliniche, programmazione nei ricoveri e nei turni del personale, buona amministrazione delle risorse e disponibilità di finanziamenti, progettazione: tutte funzioni di una vera e propria azienda che produce e promuove salute in base ai bisogni sanitari del cittadino. Per questo l’ospedale è oggi una struttura complessa e in trasformazione per le sempre maggiori conoscenze scientifiche, per le aspettative del cittadino, per la professionalità del personale sanitario, che ne fanno un ente in rapida evoluzione.
La trasformazione dell’ospedale moderno, tuttavia, non è riconducibile solo alle esigenze di una medicina assai progredita, ma anche alla consapevolezza che la salute va tutelata perché è un diritto dell’individuo: non solo il povero deve essere curato gratuitamente, ma indistintamente tutti i cittadini a prescindere da età, sesso, condizione sociale, religione, razza.