SCALFARO, Oscar Luigi
Uomo politico, nato a Novara il 9 settembre 1918. Laureatosi nel 1941 in giurisprudenza all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, divenne magistrato nel 1942. Tra il 1943 e il 1945 partecipò alla Resistenza, svolgendo opera di assistenza per gli antifascisti incarcerati e perseguitati e per le loro famiglie. Dopo il 1945 assolse funzioni di pubblico ministero presso le corti d'Assise speciali di Novara e Alessandria. Nel 1946 fu eletto deputato nelle liste della Democrazia cristiana e fu riconfermato, sempre nella stessa circoscrizione (quella di Torino-Novara-Vercelli), fino alle elezioni politiche dell'aprile 1992. Cattolico rigoroso e conseguente, iscritto all'Azione cattolica, in campo politico aderì alla corrente di M. Scelba, ''Centrismo popolare'', e fu contrario sia all'apertura ai socialisti sia, negli anni Settanta, al disegno di A. Moro di portare i comunisti nella maggioranza di governo. Personalità di notevole coerenza e di ferma fedeltà ai valori professati, non entrò nel gioco delle correnti e delle mediazioni, pur assumendo sempre più importanti responsabilità di governo. Nel 1954 fu sottosegretario al Lavoro nel primo governo di A. Fanfani e nel 1954-55 sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo di Scelba. Ancora sottosegretario al ministero di Grazia e Giustizia tra il 1955 e il 1956 e agli Interni tra il 1959 e il 1962, nel 1964 divenne vicesegretario politico della Democrazia cristiana (mentre era segretario M. Rumor), incarico che mantenne fino al 1966. Fu ministro dei Trasporti e dell'aviazione civile tra il 1966 e il 1968 nel terzo governo Moro, nel secondo governo di G. Leone e di nuovo nel primo ministero di G. Andreotti fra febbraio e luglio 1972. Fu nominato ministro della Pubblica Istruzione sempre nel 1972, durante il secondo governo presieduto da Andreotti. Dal 1983 al 1987 fu ministro dell'Interno nei governi guidati da B. Craxi, e il 24 aprile 1992 successe a N. Iotti alla presidenza della Camera dei deputati, anche perché nei mesi precedenti, di fronte alle ipotesi di riforme istituzionali prospettate dal Capo dello stato, aveva difeso le prerogative del Parlamento.
Dopo le dimissioni anticipate di F. Cossiga, il Parlamento dovette affrontare il non facile problema dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica. Cadute le candidature nate dagli accordi fra DC e PSI, il 25 maggio 1992, con 672 voti su un quorum necessario di 508, al sedicesimo scrutinio, S. fu eletto Capo dello stato con i voti di DC, PDS, PSI, PSDI, PLI, Rete, Verdi e Lista Pannella. L'elezione alla suprema carica dello stato di una figura nota per il rigore morale voleva essere anche una risposta della classe politica al dilagante discredito che l'aveva in quegli anni colpita. Nei primi due anni di presidenza, S. ha accentuato il ruolo di garante degli equilibri istituzionali nei momenti cruciali della crisi del sistema politico e nel difficile passaggio fra la prima e la seconda repubblica.