Vedi ORVIETO dell'anno: 1963 - 1996
ORVIETO (v. vol. V, p. 773)
Le incertezze a lungo gravate sull'identificazione della Volsinii etrusca appaiono oggi dissolte a favore dell'ubicazione della città sul pianoro tufaceo di O.: la progressiva acquisizione di consapevolezza in proposito è stata resa possibile sia da una più matura e aggiornata riflessione su monumenti e classi di materiali di sicura provenienza o di certa pertinenza locale, sia da una serie di scoperte avvenute negli ultimi decenni che hanno consentito, grazie alla loro meditata analisi, una maggiore puntualizzazione e definizione del percorso storico e socio-economico della comunità orvietana, anche se ancora con alcune zone d'ombra e qualche discontinuità. La correlazione e il confronto tra le «tangibili» testimonianze archeologiche e le notizie desumibili dalla letteratura classica su Volsinii hanno integrato senza forzature l'uno e l'altro tipo di documenti offrendo la riprova della validità delle conclusioni. Connesso al dibattito sull'identificazione della città è stato quello dell'ubicazione del Fanum Voltumnae che la critica più sensibile riconduce oggi a O., verosimilmente nella zona a occidente della rupe, nelle località Campo della Fiera e il Giardino nei pressi del Rio Chiaro. Alcune testimonianze epigrafiche (monete, etnico della Tomba François, frammenti ceramici iscritti da Bolsena, thymiatèrion di origine incerta ma assegnato a O.) restituiscono il toponimo etrusco (Velsu, Velsena, Velzna, Velsna).
Conferme di quanto già ipotizzabile in base alla stessa posizione geografica della zona orvietana riguardano l'età pre-protostorica. L'analisi di reperti litici, bronzei e ceramici della Collezione Faina, ancorché adespoti, l'esame dei pochi oggetti di sicura origine, il raffronto con la documentazione grafica e testuale del secolo scorso, anche se scarna in proposito, dimostrano che O. tra il periodo eneolitico e gli inizî dell'Età del Bronzo è ancorata alla facies di Rinaldone: ulteriore conferma è fornita dal rinvenimento, finalmente locale anche se in giacitura secondaria, di una cuspide bifacciale in selce trovata nel santuario di Cannicella. Più vaghe, perché ancora da verificare, sembrano essere quelle attestazioni del periodo «appenninico» brevemente annotate per lo scavo sotto la chiesa di Sant'Andrea. oggetto di analisi sono stati invece i frammenti da scavi a Cannicella: se la pertinenza di alcuni di essi al Bronzo Medio è stata indicata in forma dubitativa, sicura è quella di molti al Bronzo Finale; questi ultimi, pur se rinvenuti ancora una volta in giacitura secondaria, testimoniano uno stabile insediamento a O. almeno dal Protovillanoviano. Più numerosi sono gli elementi relativi alla cultura villanoviana che sul pianoro sede della futura città storica sono finora segnalati nella letteratura al Belvedere, a San Paolo, a Sant'Andrea e dubitativamente all'orto Menichetti, ma tutti necessitano di analisi autoptiche per un loro più sicuro inquadramento cronologico e tipologico; recente è invece il riconoscimento di frustuli ceramici dal Palazzo del Capitano del Popolo, assegnabili al Villanoviano tipico. Ancora inediti sono altri documenti del periodo recuperati negli ultimi anni in più luoghi dell'attuale abitato.
Considerevole è la presenza di frammenti, in particolare di VIII sec. a.C., anche nelle necropoli alle falde della rupe, tutti rinvenuti in strati archeologici sconvolti o pertinenti a successivi orizzonti cronologici. Tuttavia la documentazione villanoviana di O. appare oggi non soltanto sicura e pertinente ad area abitativa e funeraria, ma distribuita sul pianoro e alle pendici dell'altura: per quest'ultima all'ipotesi della caduta dall'alto, spesso affermata e senz'altro sostenibile per i livelli più superficiali, potrebbe affiancarsi, con il raggiungimento di strati profondi e distanti dal ciglio della rupe (ove infatti continuano a essere presenti materiali dello stesso periodo, anche se in numero inferiore rispetto alle quote più alte), quella di presenze ubicate nelle zone immediatamente circostanti l'acrocoro.
Un incremento si nota per le evidenze della facies orientalizzante che si distribuiscono lungo l'intero corso del VII sec. a.C., come provano frammenti di recente travamento e nuovi contesti da Cannicella e da Crocefisso del Tufo, oltre che studi di materiali da tempo musealizzati, quali l'olla con la Chimera e alcuni corredi conservati a Firenze o un kàntharos a Toronto: l'ambiente falisco-capenate, attraverso l'asse privilegiato della valle del Tevere (lungo la quale si ubicano anche i ritrovamenti della necropoli del Fosso San Lorenzo), rappresenta per i modelli culturali orvietani una delle aree di acquisizione accanto a quella vulcente che rifornisce la città di prodotti ceramici etrusco-corinzi.
Nel VI sec. a.C. la città, ormai pienamente strutturata, vede il consolidarsi di un'ampia classe dirigente, pronta all'assimilazione di elementi esterni, priva di punte aristocratiche e attenta al mantenimento degli equilibri interni: una società di omologhi, con propri caratteri distintivi nel contesto dell'Etruria meridionale, che in ambito funerario, dalla tipologia di alcune camere alla composizione dei corredi, mostra tuttavia di avvalersi di forme e di apparati rispondenti a ideologie di marca orientalizzante. Alla fioritura di Volsinii nella seconda metà del VI sec. a.C. non deve essere stata estranea la concomitanza di due fatti fra loro correlati: la vicinanza del santuario federale e l'egemonia sulla città di Porsenna (Plin., Nat. hist., II, 140).
Si affermano ora botteghe, attive in campo toreutico e ceramico, che esportano le proprie realizzazioni non soltanto nella contigua Umbria, ma anche verso i più lontani distretti della Padania e medio-adriatici. Grazie alla presenza di alcuni frammenti fittili di destinazione architettonica, è possibile ascrivere ai decenni centrali della seconda metà del secolo anche l'avvio nell'ambito della coroplastica di una produzione che, inizialmente di ascendenza ceretana, sarà localmente destinata a lunga e fortunata vita. O. si configura dunque come uno dei centri più vitali dell'Etruria interna tiberina e conserva tale ruolo per tutto il secolo successivo, dando prova del suo potenziale economico con l'importazione di ceramiche attiche a figure rosse e con produzioni di alto livello che desumono iconografie e stilemi dall'arte classica greca (terrecotte da Vigna Grande, da Via San Leonardo, dal Belvedere; «Marte» di Todi), promuovendo inoltre innovazioni tecnologiche nelle colture cerealicole che consentono di rifornire il mercato romano. La funzione eminente rivestita dalla coltivazione dei campi è suggerita anche dalla diffusione di culti a carattere catactonio, ribaditi dalla frequenza di altari provvisti di foro passante: la devozione a divinità come Pethn a Via San Leonardo, Tinia Calusna al Belvedere, Fez-Demetra a Cannicella, Tinia Voltumna a Campo della Fiera o a eroi quali Eracle sottolinea le rispettive valenze nella sfera della fertilità del suolo.
Con il IV sec. a.C. si registrano cambiamenti nella struttura sociale e si assiste all'affermazione di un'aristocrazia locale che preferisce la campagna alla città, si fa seppellire negli ipogei dipinti e adotta il sarcofago per le deposizioni. Perdura la vitalità delle officine ceramiche locali da cui escono opere di pregio, quali quelle del Pittore della Centauromachia e del Gruppo di Troilo con i vasi di Vanth, e che promuovono un nuovo genere, le c.d. ceramiche argentate. Inizia al contempo l'ascesa delle classi sociali inferiori tramite la progressiva acquisizione di diritti, ma il mutamento è segnato da dissidî interni e da scontri che conducono all'intervento di Roma, prima ai trionfi di Attilio Regolo nel 294 e di Coruncanio nel 280, poi alla vittoria del 264 a.C.: spetta a Fulvio Fiacco erigere nell'area sacra di Sant'Omobono il donario con le spoglie del bottino, mentre la massima divinità locale, Voltumna/Vertumnus, è evocata a Roma (Prop., IV, 2, 4). La popolazione deportata nei pressi del lago di Bolsena dà vita alla nuova Volsinii romana, mentre altri esponenti della comunità orvietana si trasferiscono nella vicina e fertile valle umbra.
Area urbana. - Di non poche delle scoperte effettuate a O. nell'ultimo trentennio va ascritto il merito all'attività dispiegata da M. Bizzarri negli anni '50 e '60: a lui si deve non soltanto la ripresa delle indagini nella necropoli di Crocefisso del Tufo, ma anche una serie cospicua di trovamenti nell'area urbana, primo fra tutti quello del poderoso tratto di cortina muraria di Via della Cava, alle spalle di Porta Maggiore, che ha restituito consistenza e spessore alla tradizione riferita dallo storico bizantino Giovanni Zonara sulla presenza a Volsinii di un «muro fortissimo» (Epitome historiarum, VIII, 7, 4). La struttura in opera quadrata costituisce la spalla destra della porta ubicata nell'unico facile accesso al pianoro (Procop., Bell, goth., VI, 20, 11) e dalla quale prende inizio il principale asse viario urbano con andamento O-E che, guadagnato il non facile declivio, conduce alla Piazza della Repubblica. In quest'area si situa la chiesa di Sant'Andrea ove gli scavi condotti da M. Cagiano de Azevedo negli anni 1967-69, riprendendo indagini del 1927-29, hanno messo in luce vestigia di notevole importanza per tutte le fasi di vita della città, da quelle protostoriche alla distruzione del 264 a.C., fino alla «rinascita» del VI sec. d.C. Le scarne notizie finora disponibili in proposito - suscettibili di verifiche - riferiscono della presenza di un'area di culto recinta da un muro in mattoni crudi, sostituito nell'VIII sec. a.C. da altro in blocchi irregolari e nel VI sec. a.C. da un successivo in conci squadrati e ad andamento curvilineo. Prossima al témenos, in seguito ancora ristrutturato, è una strada di V sec. a.C. orientata in senso N-S, sulla quale insisteva uno strato di crollo con materiali dei primi decenni del III sec. a.C.; l'analisi del C14 di un campione da un'area di bruciato ha consentito di datare tra 290 e 230 a.C. l'incendio che ha provocato la distruzione e dunque di rapportarlo alla presa di Volsinii. I livelli archeologici di età antica sono stati in buona parte sconvolti dalla messa in opera del pavimento musivo della primitiva basilica degli inizî del VI secolo.
Per i rinvenimenti sul pianoro e la ricostruzione del probabile assetto urbanistico antico i dati si sono recentemente incrementati grazie alle ricerche di archeologia urbana effettuate dalla Soprintendenza Archeologica per l'Umbria a seguito di lavori di rifacimento di fognature e pavimentazioni stradali connessi con le opere di risanamento della rupe, oppure in occasione di ristrutturazioni di edifici pubblici e privati. Sotto il Palazzo del Capitano del Popolo, laddove dubitativamente si supponeva l'esistenza di un edificio sacro, è stata messa in luce una fondazione a grossi conci di tufo calati in una trincea nel matile, su molti dei quali è incisa là lettera alfa secondo la tipica grafia volsiniese; parzialmente conservata è una seconda fondazione parallela e strutturalmente affine alla precedente. Nei pressi sono state recuperate grandi antefisse di un tipo già noto a Vigna Grande e tegole di gronda con ornato a meandri e riquadri, anch'esso già attestato a Orvieto. La contiguità del sito alla Via San Leonardo, da cui provengono le celebri terrecotte della seconda metà del V sec. a.C., lascia supporre la pertinenza di queste al complesso architettonico emerso sotto il Palazzo del Capitano del Popolo. Nell'area del Belvedere scavi del 1989 hanno mostrato l'esistenza di altre strutture, tra le quali una cisterna, affiancate al recinto del tempio e analogamente orientate.
Un importante capitolo riguarda poi la nutrita serie di scoperte di ambienti sotterranei di cui è attualmente in corso il censimento: il tessuto connettivo è composto dalla rete di cunicoli per il convogliamento delle acque, di tipologie diverse e a volte in asse con le vie antiche a essi sovrapposte. Spesso correlati ai cunicoli sono i pozzi di discesa a sezione rettangolare forniti di pedarole e in qualche caso le cisterne, alcune internamente rivestite in opera a telaio o a scacchiera. Singole cisterne o più complessi sistemi idraulici sono emersi a Palazzo Soliano e sotto Piazza del Duomo, a Palazzo Lazzarini e sotto Palazzetto Faina, ove cunicoli etruschi sono stati tagliati da cavità utilizzate come butti in età medievale. Non di rado, accanto a strutture di tal genere, sono stati scoperti tratti stradali lastricati che cominciano a disegnare con maggior chiarezza la griglia della viabilità urbana antica. Una griglia che si va palesando abbastanza regolare, con assi longitudinali attestati sulla strada che attraversa l'asse maggiore del pianoro: impianto che appare in sintonia con le tendenze isonomiche della società arcaica volsiniese e di cui conosciamo il ben più eclatante riflesso nella necropoli di Crocefisso del Tufo. Le presenze archeologiche, al di là della casualità dei trovamenti, sembrano addensarsi nel settore centro-occidentale della città, che comprende a San Francesco anche la zona più elevata del pianoro, e rarefarsi a oriente dell'allineamento segnato da San Pietro-Fontana Secca-San Paolo, dando fisionomia «marginale» alle aree sacre di Vigna Grande e del Belvedere. Alcuni tratti murari, infine, potrebbero essere assegnati a opere difensive collocate alla periferia del plateau.
Necropoli. - Ricca è la messe di dati scaturiti dalle indagini nella necropoli urbana, nei due principali settori di Crocefisso del Tufo a Ν e di Cannicella a S. Nel primo settore i lavori di restauro hanno verificato l'originaria assenza alla sommità degli edifici dei tumuletti di terra apposti in precedenti errati restauri, provando invece la copertura in piano dei dadi; accanto alle opere di consolidamento si è proceduto allo scavo di nuovi monumenti che hanno arricchito anche il patrimonio epigrafico locale. Studi sull'organizzazione topografica della necropoli e sulla tipologia dei monumenti hanno dimostrato l'esistenza di una pianificazione dell'area cimiteriale, l'ascendenza ceretana del modello architettonico orvietano e la pertinenza delle piccole tombe a cassetta o a cassone, strutturalmente subordinate agli edifici maggiori, a personaggi socialmente omologhi ai titolari dei sepolcri a camera; nei piccoli parallelepipedi di tufo posti ai margini e negli interstizi tra le tombe sono stati visti indicatori dei confini di proprietà dei singoli lotti di terreno assegnati alle diverse famiglie.
A Cannicella scavi del 1971 hanno messo in luce quattro tombe sovrapposte, a coppie, l'una all'altra testimoniando nella zona quella densità di edifici già rilevata nel secolo scorso. Il più antico dei quattro ipogei, ascritto alla fine del VII sec. a.C., è scavato nel tufo e tipologicamente si inserisce in un nucleo di analoghi sepolcri da considerare tra le più antiche tombe a camera della necropoli. Successivamente all'età arcaica si sono verificate nell'assetto topografico degli edifici «ristrutturazioni» da connettere probabilmente a quelle intervenute nel vicino santuario,, la presenza del quale è forse all'origine dell'affastellarsi delle sepolture, tra cui si annoverano anche alcune delle più recenti tra quelle pertinenti alla città etrusca.
Dal 1977 l'Università di Perugia, su incarico dell'Ente concessionario Fondazione per il Museo C. Faina, conduce nella necropoli regolari campagne di scavo, cui collabora dal 1984 una missione dell'Università di Tubinga. Le indagini hanno dapprima interessato un settore ove insistono due tombe degli inizî del VI sec. a.C., che per cronologia e caratteri architettonici costituiscono i primi esempi finora noti del canonico edificio funebre orvietano. Entrambe sono fornite dell'epigrafe denotante la titolarità dell'edificio e per la tomba n. 1 l'analisi del gentilizio (Katarina) ha lasciato supporre l'origine celtica del proprietario. Gli scavi sono stati soprattutto rivolti alla riscoperta del santuario situato nel cuore della necropoli dove nel 1884 fu trovata la «Venere».
A ridosso dell'area sacra sono state rinvenute tombe di diversa cronologia e tipologia, tra le quali una fossa ascritta al VII sec. a.C., un ipogeo scavato nel tufo e un'inumazione dei primi decenni del III sec. a.C. Il santuario, attestato almeno dalla seconda metà del VI sec. a.C. e articolato in più settori cui sembrano corrispondere diverse destinazioni funzionali, ha conosciuto più fasi costruttive ben espresse anche dalle diverse tecniche murarie (opera quadrata, telaio, scacchiera) e ha avuto lunghissima vita raggiungendo l'età imperiale e non cessando di essere frequentato, pur nella diversa destinazione d'uso, fino a epoca tardoantica e all'Alto Medioevo, quando finì per ospitare ripari e strutture abitative provvisorie. Tra i materiali - oltre a un frammento della «Venere» recuperato nel 1990 - è da segnalare l'assoluta preminenza di ceramiche d'impasto di fabbricazione locale, in massima parte olle: la modestia e l'uniformità del vasellame è probabilmente da addebitare al peso della tradizione nella conservazione di tipi e di fogge per oggetti connessi alle forme devozionali e al culto funerario. Ricca la documentazione fittile architettonica, tra cui emerge per raffinatezza d'esecuzione un acroterio a volute, raffigurante verosimilmente il sacrificio di Polissena e databile al 490-480 a.C.
Territorio. - Nell'agro volsiniese alcune ricerche hanno apportato alla ricostruzione storico-archeologica nuovi elementi di grande interesse. Di assoluto rilievo è la scoperta di un ipogeo a due camere di tipo ceretano, che conferma i contatti intercorsi tra Volsinii e la metropoli dell'Etruria costiera, nella necropoli di Poggio Ginestra presso Bardano a No di Orvieto. Nel sito è da ubicare un oppidum gravitante intorno al centro maggiore al pari di quello posto a SE, a Castellunchio, situato a controllo della confluenza tra Tevere e Paglia. Altro importante rinvenimento è quello di un nucleo di tombe, tra cui una della fine del VII sec. a.C., in località Mossa del Palio lungo la direttrice collegante O. con Todi, tramite le alture di Prodo: la cronologia della tomba testimonia l'antichità della frequentazione del percorso viario. A S della città, in località Cacciata presso Porano, sono emerse tombe della prima metà del VI sec. a.C., mentre nella zona erano in precedenza documentati soltanto sepolcri di età ellenistica. Altri trovamenti riguardano una necropoli arcaica a Castel Viscardo, una tomba con bronzi di età ellenistica a Castellunchio, recinti fortificati e tombe tardoantiche a Montegabbione.
Grazie alle nuove scoperte è possibile precisare l'evolversi del dialettico rapporto città-campagna che alle presenze diffuse di età tardo-orientalizzante e degli inizî dell'arcaismo, dai centri gravitanti attorno al lago di Bolsena a quelli verso l'agro falisco e ai più vicini alla rupe, vedono sostituirsi il netto e duraturo predominio della pòlis sul pianoro, le cui spinte espansionistiche nella seconda metà del VI sec. a.C. si traducono, dal punto di vista commerciale, nell'ampia diffusione dei propri prodotti e, da quello politico, sono probabilmente causa della fine del vicino potentato di Acquarossa. Con il periodo ellenistico si assiste a un ritorno all'insediamento sparso, si rioccupano vecchi siti del territorio e nascono centri a prevalente carattere rurale: ne sono testimonianza i nuclei di necropoli distribuiti nella chòra, tra i quali quelli già noti di Settecamini e di Montecavallo o il gruppo di tombe scoperte nel 1977 lungo la strada O.-Porano. Se il fenomeno è condiviso da altre zone d'Etruria, nell'agro volsiniese esso sembra trovare puntuale riscontro nella tradizione antica sui profondi dissensi interni al corpo sociale. Dopo la metà del III sec. a.C. le evidenze archeologiche nel territorio denotano una flessione, ma di non lunga durata: intorno alla metà del secolo successivo la rete delle presenze si infittisce con insediamenti rustici che trovano naturale termine alle loro produzioni agricole nel porto fluviale di Pagliano, alla confluenza tra Tevere e Paglia, che mostra di vivere almeno fino al IV sec. d.C.
Musei. - Due sono le raccolte museali orvietane: l'una di recente costituzione, il Museo Archeologico Nazionale, è ospitata nel Palazzo Papale, l'altra, il Museo Faina di tradizione gentilizia, ha sede nell'omonimo Palazzo. Nel primo, ove sono confluiti i materiali di proprietà statale e quelli dell'opera del Duomo, si trovano gli affreschi distaccati delle tombe Golini I (dei Leinie) e Golini II (dei Verenas), in precedenza conservati a Firenze. Accanto a essi e alle loro riproduzioni sono esposti materiali dalla necropoli di Settecamini, tra cui l'anfora dalla Golini I, la panoplia bronzea dalla «Tomba del Guerriero», lo stàmnos eponimo del Pittore di Settecamini: il trasferimento degli affreschi ha rappresentato l'occasione per un riesame di tutto il complesso e per la mostra inaugurale del museo (1982). In altre sale sono sistemati i corredi da tombe di Cannicella scavate nel 1977 dall'Università di Perugia e altri materiali sia da Cannicella che da Crocefisso del Tufo. Nel Museo Faina, attualmente in ristrutturazione (1995), è collocata al pianterreno una sezione già dell'opera del Duomo con materiali da tempo noti (terrecotte da Via San Leonardo e dal Belvedere, materiali dallo scavo ottocentesco del santuario di Cannicella, sarcofagi da Torre San Severo e da Pietra Campana, ecc.), mentre il nucleo più consistente di oggetti è formato dai reperti della Collezione Faina di cui è stata di recente promossa la pubblicazione integrale a cura della Regione Umbria.
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Territorio: G. Colonna, L'Etruria meridionale interna dal Villanoviano alle tombe rupestri, in StEtr, XXXV, 1967, p. 3 ss.; AA.VV., Carta archeologica d'Italia (1881-1897). Materiali per l'Etruria e la Sabina (Forma Italiae, s. II, 1), Firenze 1972, in part. p. 3 ss.; G. Colonna, Ricerche sull'Etruria interna volsiniese, in StEtr, XLI, 1973, p. 45 ss.; A. E. Feruglio, ibid., XLV, 1977, p. 466 ss.; B. Klakowicz, Il contado orvietano, I. Pagliano ed i terreni ad est, Roma 1977; ead., Il contado orvietano, II. I terreni a nord, Roma 1978; M. Garofoli, in StEtr, XLVIII, 198o, p. 567 s.; ead., ibid., LI, 1983, p. 457 ss.; ead., Notizie preliminari sulla necropoli del Fosso San Lorenzo nei Comuni di Montecchio e di Baschi, in La Romagna tra VI e IV sec. a. C. nel quadro della protostoria dell'Italia centrale. Atti del Convegno, Bologna 1982, Bologna 1985, p. 291 ss.; A. E. Feruglio, M. Garofoli, in StEtr, LIV, 1986, p. 422 s.; P. Tamburini, Contributi per la storia del territorio volsiniese I. I cippi funerari e l'onomastica, in MEFRA, XCIX, 1987, p. 635 ss.; id., Contributi per la storia del territorio volsiniese II. L'abitato di Castellonchio (Orvieto-TR), in ArchCl, XLII, 1990, p. 1 ss.; W. V. Harris, A Milestone from the Via Traiana Nova near Orvieto (AE 1969/1970, 186A and B), in ZPE, LXXXV, 1991, p. 186 ss.; A. E. Feruglio, Forano, Perugia 1995.
Materiali: M. Bizzarri, Uno specchio etrusco inedito da Orvieto, in Hommages à M. Renard, III, Bruxelles 1969, p. 55 ss.; G. Camporeale, Un gruppo orvietano di lekythoi globulari e ovaleggianti, in ArchCl, XXI, 1969, p. 262 ss.; L. Donati, Vasi di bucchero decorati con teste plastiche umane. Zona di Orvieto, in StEtr, XXXVII, 1969, p. 443 ss.; M. Cagiano De Azevedo, L'autenticità del sarcofago di Orvieto da Torre San Severo, in RM, LXXVII, 1970, p. 10 ss.; G. Camporeale, La Collezione alle Querce. Materiali archeologici orvietani, Firenze 1970; J. D. Beazley, Paralipomeni, oxford 1971, passim; AA.VV., Nuove letture di monumenti etruschi dopo il restauro, Firenze 1971, passim; G. Camporeale, Vasi da filtro di bucchero di fabbrica orvietana, in ArchCl, XXIII, 1971, p. 258 ss.; id., Buccheri a cilindretto di fabbrica orvietana, Firenze 1972; id., Vasi plastici di bucchero pesante, in ArchCl, XXV-XXVI, 1973-1974, p. 103 ss.; F. Roncalli, Il «Marte» di Todi. Bronzistica etrusca ed ispirazione classica, Roma 1973, passim; M. Torelli, Statuetta bronzea votiva con iscrizione, in Roma medio-repubblicana (cat.), Roma 1973, p. 340, n. 493; G. Camporeale, Un gruppo di brocchette etrusche arcaiche di bronzo, in Homenaje a Garda Bellido, II, Madrid 1976, p. 159 ss.; id., Bellerofonte o un cacciatore?, in Prospettiva, 9, 1977, p. 55 ss.; id., Irradiazione della cultura vulcente nell'Etruria centro-orientale. Facies villanoviana e orientalizzante, in La civiltà arcaica di Vulci e la sua espansione. Atti del Convegno di studi etruschi e italici, Grosseto-Roselle-Vulci 1975, Firenze 1977, p. 215 ss.; L. Donati, Ceramica orvietana arcaica con fregi ornamentali, in AttiMemFirenze, XLIII, 1978, p. 3 ss.; G. Pianu, Contributo alla cronologia delle ceramiche «argentate», in StEtr, XLVII, 1979, p. 119 ss.; A. Rastrelli, Un'antefissa a testa femminile da Orvieto, in Studi in onore di F. Magi, Perugia 1979, p. 149 ss.; S. Schwarz, The Pattern Class Vases of the «Gruppo di Orvieto», in StEtr, XLVII, 1979, p. 65 ss.; B. Adembri, Due nuovi gruppi di vasi orvietani a figure rosse, in Prospettiva, 27, 1981, p. 14 ss.; J. M. J. Gran Aymerich, Le bucchero étrusque. Rupture et continuité, in CuadRom, XV, 1981, ρ. 1 ss.; M. Martelli, Il «Marte» dì Ravenna, in Xenia, 6, 1983, p. 25 ss.; F. Melis, Frammenti di modelli architettonici fittili, in Studi di antichità in onore di G. Maetzke, Roma 1984, p. 367 ss.; J. M. J. Gran Aymerich e altri, Sur deux groupes de bucchero examinés au Louvre, in MEFRA, XCVII, 1985, p. 611 ss.; M. Cristofani (ed.), Civiltà degli Etruschi (cat.), Milano 1985, passim; D. P. S. Peacock, The Production of Roman Millstones near Orvieto, in AntJ, LXVI, 1986, p. 45 ss.; M. Martelli (ed.), La ceramica degli Etruschi, Novara 1987, passim; AA.VV., Die Welt der Etrusker (cat.), Berlino 1988, passim; F. Roncalli (ed.), Antichità dall'Umbria in Vaticano (cat.), Perugia 1988, passim; id. (ed.), Antichità dell'Umbria a Budapest e Cracovia (cat.), Perugia 1989, passim; S. Schwarz, Orvieto Vases in the Getty Museum, in Greek Vases in the J. Paul Getty Museum, IV, Malibu 1989, p. 167 ss.; M. J. Strazzulla, La decorazione frontonale del tempio del Belvedere di Orvieto, in Atti del II Congresso Internazionale Etrusco, Firenze 1985, II, Roma 1989, p. 971 ss.; F. Roncalli (ed.), Antichità dell'Umbria a Leningrado... cit., passim; F. Roncalli, L. Bonfante (ed.), Antichità dell'Umbria a New York (cat.), Perugia 1991, passim-, M. Martelli, Festa etrusca, in Kotinos. Festschrift für E. Simon, Magonza 1992, p. 342 ss.; G. Colonna, Brandelli di una gigantomachia tardo-arcaica, in Deliàae Fictiles. Proceedings of the First International Conference on Central Italie Architectural Terracottas 1990, Stoccolma 1993, p. 147 ss.; S. Stopponi, Terrecotte architettoniche da orviéto: alcune novità, ibid., p. 153 ss.
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Musei: B. Klakowicz, Il riordinamento della Collezione dei Conti Faina ad Orvieto, in Musei e Gallerie d'Italia, XII, 1967, p. 30 ss.; L. Vlad Borrelli, CVA. Italia XLI. Orvieto. Museo Claudio Faina, I, Roma 1969; L. Battoli, M. Bizzarri, Le Musée archéologique du Palais Faina. Orvieto, in Museum, XXIII, 1970-1971, p. 63 ss.; Β. Klakowicz, La Collezione dei Conti Faina in Orvieto. La sua origine e le sue vicende, Roma 1970; ead., Il Museo Civico Archeologico di Orvieto. La sua origine e le sue vicende, Roma 1972; G. Caputo, Museologia archeologica orvietana, in Museologia, IV, 1975, p. 186 ss.; B. Klakowicz, Guida alla Collezione dei Conti Faina, Roma 1977; G. M. Della Fina, Per una storia della Collezione Faina: un acquisto del 1876, in StEtr, LV, 1987-88, p. 153 ss.; id., Per una storia della Collezione Faina: note in margine al restauro di due canopi, in BdA, LXXII, 1987, p. 81 ss.; M. R. Wójcik, Museo Claudio Faina di Orvieto. Ceramica attica a figure nere, Perugia 1989; G. M. Della Fina, Per una storia della Collezione Faina: da un articolo di G. Koerte alla ricomposizione di un corredo tombale, in AnnFaina, IV, 1990, p. 221 ss.; F. Schippa, Ceramica a vernice nera, Perugia 1990; R. P. Guerzoni, Materiali preistorici e protostorici, Perugia 1991; M. Cappelletti, Museo Claudio Faina di Orvieto. Ceramica etrusca figurata, Perugia 1992.