GIUSTINIAN, Orsotto
, Figlio di Marco e di una figlia di Gabriele Soranzo dal Banco, di cui si ignora il nome, nacque a Venezia nel 1394.
La prima notizia sulla sua attività risale al 1430, quando, insieme con Ambrogio Badoer, fu mandato in ambasceria presso Gianfrancesco Gonzaga signore di Mantova per le nozze della figlia di questo Margherita Gonzaga con Leonello d'Este (Sanuto, III, col. 1011; Cicogna, II, pp. 55 s.). L'anno successivo ebbe parte attiva nella guerra fra Venezia, alleata di Firenze, e Filippo Maria Visconti, signore di Milano, scoppiata nel maggio 1431 e terminata con la pace di Ferrara del 1433.
I Veneziani, determinati a distruggere il Ducato di Milano, intrapresero una duplice azione militare, volta a colpire via terra il cuore del dominio milanese e, nello stesso tempo, ad attaccare la costa ligure con la flotta per sottrarre Genova al dominio visconteo. La campagna di terra si rivelò tuttavia deludente a causa, soprattutto, dell'inerzia del Carmagnola (Francesco Bussone), e l'unica vittoria di rilievo fu ottenuta sul mare dalla squadra condotta da Pietro Loredan, che superò gli avversari nelle acque di Rapallo facendone prigioniero il capitano Francesco Spinola (27 ag. 1431). Il G., sopracomito di galea nella flotta del Loredan, si distinse nell'azione e contribuì con il suo valore al successo delle armi veneziane.
Di nuovo impegnato in attività diplomatiche, nel settembre 1436 e nel novembre dell'anno successivo il G. fu ambasciatore a Ferrara per trattare la lega contro il duca di Milano e nel maggio 1438, insieme con Francesco Bon, rappresentò la Repubblica all'incoronazione a re dei Romani di Alberto d'Asburgo, re d'Ungheria, che in questa occasione gli conferì il titolo di cavaliere. Al ritorno dalla missione, in agosto, il G. fu di nuovo inviato in legazione presso il marchese Niccolò d'Este, cui la Repubblica veneta aveva concesso il Polesine e quando, nel gennaio 1440, lo stesso marchese soggiornò a Venezia, fu uno dei quattro nobili veneziani destinati ad accompagnarlo.
La nuova guerra fra Milano e Venezia, divampata nel 1438 e conclusasi con la pace di Cavriana del 10 dic. 1441, offrì al G. la possibilità di svolgere importanti incarichi militari e diplomatici.
Nel 1439 comandò infatti la fanteria veneta che operava in territorio genovese e, in questa veste, ottenne un cospicuo finanziamento dal Comune genovese, di cui il doge Tommaso Fregoso riferì al governo veneziano il 23 settembre. Nel febbraio 1440, inoltre, insieme con Giovanni Pisani, incontrò a Verona il legato fiorentino Neri di Gino Capponi, che qui aveva raggiunto Francesco Sforza, capitano generale degli eserciti veneziani, per concordare il piano di azione contro le forze viscontee condotte da Niccolò Piccinino. Dopo lunghe discussioni, fu stabilito che nell'anno successivo Venezia avrebbe contribuito alle spese belliche con una cospicua somma di denaro ma, alla prova dei fatti, fece fronte con molta trascuratezza agli impegni contratti dai suoi inviati. Quando poi, il 20 marzo, lo Sforza si recò a Venezia il G. fu uno dei quattro nobili che gli andarono incontro a Padova e, in seguito, lo accompagnò a cavallo fino a Padova al momento della partenza.
Il 6 apr. 1441, proseguendo l'azione diplomatica legata al conflitto, il G. si trovava a Roma come ambasciatore e commissario della Signoria veneta per definire con il papa Eugenio IV le modalità per il recupero di Bologna e di altre terre della Chiesa in Romagna. Qualche tempo più tardi, il 4 agosto, fu a Martinengo, al campo di Francesco Sforza, come ambasciatore di Venezia, in occasione della cessione di terre appartenute a un ribelle bresciano ad Antonio Martinengo da Brescia, che aveva acquisito particolari benemerenze nella lotta contro i nemici della Repubblica. Nel corso del 1441 il G. fu poi designato a reggere la città di Verona e l'anno successivo, dopo la fine delle ostilità, venne inviato a Trento in occasione dell'arrivo del re di Germania Federico III d'Asburgo.
Il G. fu ancora una volta impegnato al servizio della Repubblica nei complessi avvenimenti che portarono Francesco Sforza a impossessarsi della signoria di Milano (25 febbr. 1450).
Nel 1446 venne inviato come provveditore nella Marca di Ancona presso Francesco Sforza per assisterlo nelle operazioni militari. Dopo l'accordo fra Milano e Venezia, insieme con Pasquale Malipiero, raggiunse il campo dello Sforza, nei sobborghi di Milano, per illustrargli le condizioni della pace appena conclusa e per invitarlo ad accettarla. Lo Sforza prese due giorni di tempo per rispondere e, alla fine, aderì pubblicamente alla richiesta, inviando suoi ambasciatori a Venezia, ma con l'incarico segreto di differire le trattative il più a lungo possibile e, per convincere i legati veneziani della sua buona fede, concluse una tregua di un mese con i Milanesi allontanandosi dalla città. In questa occasione, inoltre, il G. venne nominato provveditore a Crema, che era passata sotto il dominio veneziano, con l'incarico di definire il futuro governo della città.
Nel 1450 il G. divenne podestà di Padova e l'anno successivo avogador di Comun. Insieme con Pasquale Malipiero si recò poi a Ferrara presso Federico III d'Asburgo e lo seguì a Roma, dove questi fu incoronato imperatore il 15 marzo 1452. A Roma si trattenne per tutto il periodo in cui il sovrano vi soggiornò ritornando quindi a Venezia. Qui si trovava il 20 luglio 1452 allorché fu testimone della concessione della capitaneria di Ragogna, in Friuli, al condottiero Giovanni Conti, che aveva servito fedelmente la Repubblica. Nell'inverno 1453-54, con Cristoforo Moro, rappresentò il governo veneziano nelle difficili trattative svoltesi alla corte papale e che condussero alla pace di Lodi (9 apr. 1454) conclusa fra le principali potenze italiane.
Nel 1457 il G. fu tra i quarantuno elettori del doge Pasquale Malipiero (30 ottobre), e uno dei correttori della promissione ducale. Nel corso dello stesso anno insieme con Ludovico Foscarini venne quindi inviato a Roma da papa Callisto III, che aveva sollecitato una lega antiturca, di cui però nulla si fece a motivo della morte del pontefice (6 ag. 1458). Avogadore di Comun nuovamente nel 1458, il 29 marzo 1459 il G. venne eletto procuratore di S. Marco della procuratoria de citra. In questa veste, nel 1459, fu uno dei due ambasciatori inviati alla Dieta di Mantova indetta da papa Pio II (eletto il 19 ag. 1458) al fine di costituire una lega europea per combattere i Turchi che alcuni anni prima avevano messo fine all'Impero di Bisanzio.
Il papa, infatti, fece della crociata il suo principale obiettivo politico e, nell'ottobre dello stesso anno, convocò a Mantova tutte le potenze cristiane a una comune consultazione per adottare i provvedimenti necessari. Nel gennaio 1459 il papa stesso partì per Mantova arrivandovi il 27 maggio e il congresso fu aperto all'inizio del mese successivo, ma si rivelò immediatamente un fallimento per lo scarsissimo interesse dimostrato dai governi europei, che tra l'altro non si curarono neppure di inviare le rispettive delegazioni nei tempi previsti per l'apertura. Tra questi fu anche il governo veneziano, i cui delegati giunsero a Mantova soltanto verso la fine di settembre. La Dieta di Mantova venne aperta ufficialmente il 1° giugno 1459, ma la prima seduta effettiva ebbe luogo soltanto il 26 settembre e, all'inizio dell'anno successivo, si chiuse senza aver condotto ad alcun risultato pratico.
L'ostilità veneziana ai progetti di crociata era determinata pressoché esclusivamente da motivazioni di natura commerciale, a causa dell'importanza dei domini del Levante e del conseguente rischio che per questi poteva rappresentare una crociata. Il partito contrario alla guerra con i Turchi, fortemente rappresentato nel Senato, trovava tra l'altro un convinto sostenitore nel G., che più volte vi si era espresso in tal senso. La sua scelta come rappresentante di Venezia alla Dieta di Mantova non fu perciò casuale ma, con opportuna cautela, il governo gli affiancò come secondo ambasciatore il noto giurista Ludovico Foscarini, che al contrario rappresentava il partito decisamente favorevole alla guerra. Il 17 sett. 1459 i due legati veneziani ottennero precise istruzioni dal Senato, che consistevano essenzialmente nel subordinare ogni impegno all'atteggiamento delle altre potenze, e nel corso dello stesso giorno, accompagnati da uno splendido corteo, partirono per Mantova, dove arrivarono sei giorni più tardi. Qui condussero serrate trattative con Pio II, riferendone in più occasioni al Senato, e si mantennero sulla linea di sostanziale disimpegno seguita dal loro governo, che in diverse occasioni suscitò i sospetti e le rimostranze del papa. Si arrivò tuttavia a un accordo di massima, definito dal Senato nella seduta del 3 dic. 1459 e, dopo aver presenziato al concistoro del 31 dicembre, gli oratori della Repubblica il 19 gennaio ebbero l'ordine di lasciare Mantova quando ne fosse partito o stesse per partire il papa, che lasciò appunto quel giorno la città.
Il soggiorno dei due inviati a Mantova aveva tuttavia suscitato il sospetto del Consiglio dei dieci a motivo dei rapporti ivi intrattenuti con il cardinale Pietro Barbo, che Pio II aveva nel 1459 destinato a reggere la diocesi di Padova in contrasto con le decisioni del governo veneziano, intenzionato a destinare a quella sede Gregorio Correr protonotario apostolico e abate di S. Zeno a Verona. Essendo giunta a Venezia la voce che gli ambasciatori avevano parlato con il Barbo, in contrasto con gli ordini ricevuti, i capi del Consiglio dei dieci avviarono un procedimento segreto e, in data 25 genn. 1459, quando i due ambasciatori stavano per rientrare in patria, decisero di sospendere il provvedimento per offrire loro la possibilità di dare spiegazioni. Il G. e il Foscarini, una volta a Venezia, vennero interrogati, ma le spiegazioni fornite non furono ritenute sufficienti e a fine gennaio, giudicati colpevoli, furono condannati a due mesi di carcere e tre anni di ineleggibilità a un'ambasceria o all'ufficio di provveditore, ma fu conservata per il G. la carica di procuratore di S. Marco. La pena fu però mitigata e trasformata nel divieto ad andare ambasciatore per due anni e, nella pratica, non impedì al G. di mantenere fino alla fine di marzo l'ufficio di savio del Consiglio che deteneva già dal mese di ottobre, sebbene fosse assente.
Il G. è quindi ricordato a Venezia da un documento dell'11 febbr. 1461 nell'esercizio delle sue funzioni di procuratore di S. Marco e, l'anno successivo, fra i correttori della promissione ducale e gli elettori del doge Cristoforo Moro (12 maggio 1462). Nel 1464, durante la guerra contro i Turchi originatasi dalla perdita di Argo, il G. rivestì un altro importante comando militare. Il 27 nov. 1463, sebbene fosse vicino ai settant'anni, era stato infatti eletto capitano generale del Mare e il 28 febbraio dell'anno successivo subentrò nel comando ad Alvise Loredan, che aveva condotto le prime operazioni belliche. Il G., con una squadra di trentadue galere, attaccò l'isola di Lesbo, la cui capitale fu assediata per sei settimane di seguito, ma in maggio fu costretto a sospendere le operazioni per l'arrivo di una consistente flotta nemica.
Il mese successivo il G. tentò nuovamente di sbarcare nell'isola senza successo e, ai primi di luglio, si ritirò a Modone (nel Peloponneso) morendovi l'11 luglio 1464.
Il suo corpo venne portato a Venezia, dove ricevette esequie solenni nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, alla presenza della Signoria, e fu quindi sepolto nella chiesa di S. Andrea della Certosa, da lui notevolmente beneficata. Qui il nipote Marino fece erigere una cappella con al centro un sarcofago - ora perduto -, in cui si vedeva la figura dello zio scolpita da Antonio Dentone, e che era abbellito agli angoli da figure rappresentanti le Virtù. Il suo ritratto al naturale, eseguito nella sala del Maggior Consiglio, fu conservato fino all'incendio del 1577; del G. si ricorda inoltre una medaglia, opera di M. Guidizzani, con la sua effigie e l'iscrizione "orsatus iustinianus p. venetus et d. eques" e, sul verso, un orso in piedi che con le zampe anteriori abbracciava una palma seguito da un leone intento a guardare l'albero e il motto "voluntas senatus opus m. guidizani". Si conserva inoltre il testo dell'iscrizione latina fatta collocare sul sepolcro del G. dal nipote Marino, che si legge tra l'altro nelle Inscrizioni veneziane del Cicogna.
Il G. fu una delle personalità più rilevanti del suo tempo e venne spesso elogiato per le virtù, la franchezza d'animo e la singolare cortesia. La sua lunga carriera al servizio di Venezia fu segnata anche da una serie di incarichi minori (savio di Terraferma nel 1440 e 1441, consigliere della città nel sestiere di Cannaregio nel 1443, 1446, 1449, 1451 e 1454, savio del Consiglio per diciotto volte dal 1448 al 1463 e nella zonta degli stessi savi nel 1456).
Non ebbe eredi legittimi, ma soltanto due figlie naturali che fece sposare a nobili veneziani. La sua cospicua sostanza fu lasciata al prediletto nipote Marino, figlio del fratello Pancrazio.
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