ORSINI
. Famiglia tra le maggiori di Roma e d'Italia dopo il 1000, fiorente per numerosi rami, illustre per potenza e ricchezza, per legami di parentela stretti con l'Impero e con diverse case reali d'Europa; per avere dato alla Chiesa papi e cardinali famosi; senatori, gonfalonieri, uomini d'arme e uomini di stato alla città di Roma, allo stato papale, agli Angioini di Napoli.
Le origini degli O., come di consueto avviene per tutte le grandi famiglie, sono circonfuse di leggenda dai primi storici e panegiristi della casata. Il Bovio (Della chiesa di S. Lorenzo in Damaso) pone, p. es., come capostipite degli O. un certo Mandilla, figlio di un capitano goto, nutrito da piccino col latte di un'orsa, e detto perciò Orsino. Il Novaes (Storia dei Pontefici) parla di un Caio Orso Flavio, addirittura al tempo dell'imperatore Costanzo. Ma è certo che solo nel 998 troviamo nominato in Roma un Ursus de Baro e nel 1032 un Constantinus Ursi, e che la famiglia esce decisamente dall'ombra alla fine del sec. XII col largo favore accordato da Celestino III ai suoi nipoti del casato di Bobone, e in special modo a Orso di Bobone, che può considerarsi il più sicuro capostipite della famiglia. Col favore del papato gli O. assursero subito a potenza di famiglia regale, e si diffusero in così numerosi rami che è quasi impossibile ricostruirne una genealogia completa e sicura, senza lacune o incertezze. Così molte grandi famiglie italiane e straniere vantano dei rapporti di discendenza dagli O., rapporti che se non possono sempre essere precisamente documentati, non possono nemmeno decisamente escludersi. In Piemonte, p. es., i signori di Rivalta, di Trana e di Orbassano ebbero indubbie relazioni di parentela con gli O. di Roma, e dal sec. XVI portarono anche il nome della grande famiglia. In Francia da Giangiovenale O. arcivescovo di Reims e autore di una storia su Carlo VI, sarebbero derivati i Jouvenel des Ursins. In Germania gli O. avrebbero dato origine alla casa dei Rosenberg e a quelle di Anhalt e di Hannover.
Se Orso di Bobone è il primo padre degli O., il fondatore della potenza familiare è senza dubbio Matteo Rosso, nipote di Orso e figlio di Giovan Gaetano, signore di Vicovaro (fa testamento nel 1232). Giudice dativo nel 1195, egli divenne signore di Mugnano, Marino, Monterotondo, Galeria, S. Angelo, Licenza. Devotissimo a S. Francesco e al suo nascente ordine, fautore della Chiesa e del papato, nel 1241, come senatore di Roma, difese la città dagli assalti di Federico II, e, assalendo a sua volta i Colonnesi che già si erano volti alla parte dell'impero, ne prese la maggiore fortezza che avessero in città: l'Augusta, cioè il mausoleo d'Augusto. Da allora si delineano nettamente e la posizione degli O. di fieri antagonisti dei Colonna nella città di Roma e il loro atteggiamento politico di assoluta devozione alla Chiesa e agli ideali del papato medievale. Anzi di tutta l'azione politica della Chiesa nel sec. XIII, dalla morte di Clemente IV al conclave di Perugia del 1305, gli O. saranno i maggiori artefici e fautori, attraverso l'opera del cardinale Giovan Gaetano, poi Nicolò III (v.), di Matteo Rosso (v.) cardinale diacono di S. Maria in Portico, del cardinal Latino Malebranca Orsini (v.), del cardinale Napoleone (v.). E solo l'urto in seno alla famiglia, sorto dopo la morte di Bonifacio VIII, tra Matteo Rosso, capo del partito bonifaziano, e Napoleone, del ramo degli O. di Monterotondo e, oltre che per personali atteggiamenti di spirito, anche per interessi familiari, attratto dal partito antibonifaciano dei Colonna, determinò l'umiliazione della Chiesa e del papato che derivò dal conclave del 1305 e dall'elezione di Clemente V.
Durante l'esilio avignonese gli O. seguitarono in ogni modo a rappresentare la parte guelfa contro i Colonna. Asserragliati nelle loro forti case di Campodifiore, di Monte Giordano, e del teatro di Pompeo, che furono già del senatore Matteo Rosso, a capo delle famiglie a loro devote degli Alberini, dei Frangipane, dei Tebaldeschi, degli Annibaldi della Molara, degli Anguillara, padroni di Castel S. Angelo, di Borgo, delle torri e delle catene del Tevere a porta Portese, essi contesero aspramente ai Colonna il dominio della città, impedirono a Enrico VII la coronazione in S. Pietro, e solo per l'azione di Cola di Rienzo, contraria a tutti i baroni, senza eccezione, ristettero dalla lotta, e ridivisero con la famiglia rivale il potere del senato, dopo la caduta del tribuno. Ma al ritorno dei papi a Roma con Gregorio XI, gli O. tornarono a rappresentare il partito del papato e della Chiesa. Nicolò ebbe il governo del Patrimonio e la concessione di Ansidonia, Port'Ercole, dell'isola del Giglio, del Monte Argentaro e di molte altre terre della Maremma toscana. Durante la lotta della Chiesa con Ladislao, Paolo, capitano generale della Chiesa, sconfisse il re di Napoli a S. Germano (1411) e a Roccasecca, e ricuperò al papa il possesso di Roma. Favori della Chiesa godettero gli O. anche durante i pontificati di Sisto IV, Innocenzo VIII, Leone X, figlio di Clarice O. e di Lorenzo il Magnifico. La potenza della famiglia doveva necessariamente eccitare le cupidige di Cesare Borgia, il quale riuscì a impadronirsí, dopo aspra lotta, dei castelli di Trevignano e di Bracciano e fece avvelenare Gentile Virginio (v.) e il cardinale Giovan Battista, e fece strangolare Paolo duca di Gravina (v.), già suo capitano, poi partecipe della congiura della Magione. Però col tramonto della potenza dei Borgia, Fabio, figlio di Paolo, vendicò largamente la famiglia massacrando gran parte della gente di Cesare e costringendo lo stesso Valentino a chiedere al papa Pio III rifugio in Castel S. Angelo. Fabio morì poi nella battaglia del Garigliano al comando di parte dell'esercito spagnolo. Con Giulio II la famiglia tornò in grande potenza anche per il matrimonio di Felice, figlia naturale del pontefice, con Giovan Giordano, e celebrò solennemente nel 1511 la pace con i Colonna. Durante l'infelice pontificato di Clemente VII, Lorenzo (v.) signore di Ceri, detto perciò Renzo da Ceri, organizzò la difesa dì Roma contro i Lanzi nel 1527, e Napoleone, abate commendatario di Farfa, dopo la fine del sacco, disperse e massacrò le ultime schiere dei saccheggiatori. Con Camillo, governatore generale dello stato della Chiesa sotto Paolo IV, gli O. riconquistano infine pienamente quel primato assoluto in Roma che divisero poi sempre con i Colonna. A due membri delle due grandi famiglie, Virginio O. e Marcantonio Colonna, diede infatti in moglie Sesto V le sue due nipoti Flavia e Orsina. Nel 1718 da Clemente XI gli O., nel ramo superstite dei duchi di Gravina, furono creati, come i Colonna, principi assistenti al soglio e nel 1724 ebbero il terzo papa della loro casata, Benedetto XIII (v.).
Fino dal secolo XIII la famiglia si divise in numerosi rami, dei quali si ricordano solo i principali. Da Matteo Rosso senatore, ebbero diretta origine i tre rami di Monterotondo, originato dal figlio Rinaldo, ed estintosi nel 1650 con Francesco; dei conti di Nola, di Pitigliano e di Soana, che ebbero come capostipite l'altro figlio di Matteo Rosso, Gentile; dei duchi di Bracciano e di Gravina, originati dal terzo figlio del senatore, Napoleone. Da Napoleone, fratello di Matteo Rosso senatore, di cui si hanno notizie tra il 1244-48, ebbe origine l'altro ramo dei conti di Manoppello. Il favore dato in genere dagli O. alla parte della Chiesa creò rapporti naturali di devozione e di benevolenza tra la grande famiglia romana e gli Angioini di Napoli e dopo la vittoria di Benevento (1266) anche gli O. ne colsero largamente i frutti. Romano O., pronipote di Gentile, per il favore di Carlo II d'Angiò, poté sposare Anastasia figlia del francese Guido di Montfort che gli portò in dote la contea di Nola, poi eretta in ducato, e per eredità, dagli Aldebrandeschi, le contee di Pitigliano e di Soana. A questi titoli il ramo dei conti di Nola aggiunse poi anche quelli di principi di Salerno, conti di Lecce, duchi di Venosa, principi di Taranto, e da essi si originarono poi i nuovi rami degli Orsini Del Balzo (v.), dei signori di Mugnano e marchesi della Penna. I duchi di Nola si estinsero nel 1528; i conti di Pitigliano cambiarono il titolo nel 1608 in quello di marchesi di Monte S. Savino e si estinsero nel 1640; i signori di Mugnano e marchesi della Penna si estinsero nel 1797.
Anche i discendenti di Napoleone, fratello del senatore Matteo Rosso, furono favorevoli agli Angioini ed ebbero feudi in Abruzzo, confermati alla famiglia nel titolo di conti di Manoppello, dalla regina Giovanna nel 1353. Al primo titolo unirono poi i feudi di Larino, di Guardiagrele, di Valle Siciliana o Palearia. Ma la fortuna di questo ramo cadde con la forti una angioina. Si estinse nel 1553 con Camillo Pardo sconfitto dagli Spagnoli nella difesa disperata, che egli tentò, del regno di Napoli. Da Napoleone, figlio di Matteo Rosso, nacque infine napoleone che fu conte di Tagliacozzo nel 1255. I suoi discendenti ebbero da Pio IV nel 1560 il titolo di duchi di Bracciano a cui aggiunsero quello di duchi di Gravina, ed estintosi anche il ramo dei duchi di Bracciano nel 1698, il superstite ramo dei duchi di Gravina rappresenta ancora oggi la famiglia.
Bibl.: Oltre le opere del Greogorovius, Storia di Roma nel Medioevo, e Tomasetti, La campagna romana nel Medioevo, che trattano ampiamente, in più luoghi, della famiglia e dei suoi singoli membri, v. anche l'antica, ma unica storia complessiva degli O. del Sansovino, Historia di Casa Orsina, 1565, le accurate genealogie dei varî rami nel Litta, Le famiglie nobili italiane, gli articoli di F. Savio, in Civiltà cattolica, s. 4ª, IX (nel cap. iii vi è una genealogia degli O.); C. Bruscalupi, Niccolò III O. conte di Pitigliano, Siena 1872; Borsari, Il Castello di Bracciano.