REALE, Oronzo
REALE, Oronzo. – Nacque a Lecce il 24 ottobre 1902, ultimo degli undici figli avuti da Antonietta Zaccaria e da Vito, imprenditore edile della provincia leccese.
I suoi primi passi politici ricalcarono le orme dei fratelli Egidio e Attilio. Nel 1919 promosse il circolo giovanile intitolato a Goffredo Mameli e l’anno successivo, insieme a Pantaleo Inguscio, diede nuova vita al quindicinale Il Dovere. Si trasferì in seguito a Roma dove, dopo una breve parentesi come studente di ingegneria, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza. Compì gli studi con regolarità, laureandosi con Giuseppe Chiovenda in diritto processuale, anche se negli anni convulsi del dopoguerra fu travolto dalla passione politica. Nel febbraio del 1921 fu eletto segretario della Federazione giovanile repubblicana e diresse il settimanale L’Alba repubblicana. Legatosi a Giovanni Conti, espresse dalle pagine del foglio repubblicano una posizione antifascista intransigente, basata sulla critica serrata della scelta aventiniana, che considerò inutilmente legalitaria. Espresse posizioni intransigenti ancora nel 1925, quando fondò il quindicinale Il Goliardo, con l’obiettivo di contrastare la fascistizzazione dell’Ateneo di Roma.
Nel 1926 scampò all’arresto e rimase in clandestinità fino a quando la sua condanna fu commutata. Visse così gli anni della dittatura da sorvegliato speciale, cioè rinunciando alla politica attiva. Si dedicò alla sua professione, l’avvocatura, che esercitò inizialmente nello studio dell’amico Ettore Troilo, a Roma, città dove coltivò le vecchie amicizie nate sul terreno della militanza repubblicana. Si sposò alla fine degli anni Venti con Giuseppina Garbini, sorella minore della moglie di suo fratello Egidio, esule in Svizzera, con il quale mantenne i contatti attraverso un intenso carteggio fatto di mille cautele e allusioni. Nel 1926 pubblicò sulla rivista Vigilia un saggio su Carlo Cattaneo (ripubblicato nel volume collettaneo di Giovanni Conti et al., Figure del movimento sociale repubblicano in Italia, Torino 1953, pp. 25-30) e nel 1932, insieme a Giulio Andrea Belloni, curò un’edizione delle Interdizioni israelitiche dello stesso Cattaneo (Melchionni, 2000, p. 41).
Nel 1942 fu tra quei repubblicani i quali, in dissonanza con Conti, decisero di impegnarsi nella costruzione del Partito d’azione (PdA). Reale era convinto che fosse necessario un nuovo soggetto, più moderno e capace di aggregare forze antifasciste e repubblicane, tenendole peraltro distanti dal socialismo. Partecipò alla stesura delle Precisazioni (in L’Italia libera, 1943, vol. 1, n. 2) che dovevano integrare l’originario programma del partito. Il convegno azionista di Firenze, tenutosi all’inizio del settembre 1943, lo nominò membro del comitato esecutivo del partito. Scrisse con assiduità sul foglio L’Italia libera, dedicandosi in prevalenza alla questione istituzionale. L’affermazione della ‘tendenza Lussu’ al congresso delle sezioni meridionali del partito, tenutosi a Cosenza nell’agosto del 1944, portò a uno scontro che provocò le dimissioni di Ugo La Malfa, Riccardo Bauer e Manlio Rossi Doria dal comitato esecutivo del PdA. Reale decise invece di restare, convinto che non si dovessero approfondire le fratture interne.
Con la Liberazione, fu nominato alla Consulta nazionale e nei mesi del governo Parri ebbe un ruolo di primo piano nel partito, facendo parte della segreteria collegiale assieme a Vittorio Foa e Altiero Spinelli. Nel febbraio del 1946, nel corso del primo Congresso nazionale del PdA, svolse una delle due relazioni introduttive, dedicata alla ricostruzione storico-politica del partito, impiegando – come lui stesso ricordò – una «cautela estrema» per evitare polemiche tra la destra e la sinistra.
A riprova dell’approccio unitario di Reale, si può ricordare l’ordine del giorno che promosse in vista dell’unificazione con i repubblicani: sebbene votato all’unanimità, l’ordine del giorno fu subito dimenticato, mentre imperversavano le lotte intestine che portarono alla rottura del partito. Anche se non condivideva la ‘deriva’ in senso socialista, Reale non seguì Parri e La Malfa nel Movimento per la democrazia repubblicana, preferendo restare nel PdA, pur senza incarichi direttivi, per offrire una sponda a quanti nel Partito repubblicano italiano (PRI) e nel movimento di Parri e La Malfa condividessero l’idea di promuovere una nuova formazione unitaria di stampo laico e repubblicano.
Il fallimento di questo progetto lo spinse ad abbandonare l’azionismo nel febbraio del 1947 e a tornare nelle file del PRI, un partito i cui organi dirigenti erano in costante via di ridefinizione a causa degli impegni ministeriali di alcuni leader (Randolfo Pacciardi) e della posizione defilata di altri (Conti). Reale fu nominato nella direzione durante il Congresso di Napoli (16-19 febbraio 1948), ebbe quindi ruoli di responsabilità fino a essere eletto segretario del partito, nel febbraio del 1949, dal XXI Congresso (svoltosi a Roma); decisivo fu il sostegno del suo antico maestro politico, Conti.
Mentre Carlo Sforza, Randolfo Pacciardi e Ugo La Malfa erano impegnati come ministri nei governi presieduti da Alcide De Gasperi, Reale si dedicò al lavoro di riorganizzazione del PRI, contribuendo a sintonizzarlo con il disegno politico di progresso sociale nel quadro dell’alleanza internazionale con gli Stati Uniti d’America e con gli altri Paesi europei che avevano aderito al Piano Marshall. Conscio che la ragione della coalizione centrista non fosse soltanto l’anticomunismo, ma anche l’antifascismo, mantenne un atteggiamento fermo di fronte alla prospettiva aperta nel 1951 dall’‘operazione Sturzo’. Guidò il partito nel difficile passaggio dell’introduzione della legge elettorale maggioritaria del 1953, cercando senza successo di evitare l’abbandono di alcuni leader del partito come Oliviero Zuccarini e Ferruccio Parri. Tra il 1953 e il 1958 Reale dovette gestire i rinnovati scontri politici indotti dal fallimento del progetto di riforma elettorale. Condividendo con La Malfa la prospettiva del centro-sinistra ritenne che il PRI si dovesse allontanare gradualmente dalla formula centrista, ma la sua funzione di segretario lo spinse a evitare, almeno in una prima fase, che lo scontro politico con Pacciardi, fiero avversario della svolta, degenerasse fino alla rottura.
Nel 1958 fu eletto alla Camera nel collegio di Ancona e partecipò quindi da parlamentare alla fase di gestazione del centro-sinistra, che durò per l’intera terza legislatura (1958-63). Fu primo firmatario della proposta di legge contenente Norme per l’elezione dei consigli regionali, che anticipava di dieci anni la legge 108, con la quale fu avviato il processo di attuazione dell’ordinamento regionale. Tenne le redini del partito fino al 1963, agendo in pieno accordo con La Malfa e quindi indirizzandolo verso l’accettazione della formula del centro-sinistra.
Le elezioni del 1963 rappresentarono per Reale uno spartiacque: eletto nuovamente alla Camera, rinunciò alla segreteria del partito, che aveva mantenuto fin dal 1949, per dedicare le sue energie ai governi di centro-sinistra. Nel corso della quarta legislatura (1963-68), fu ministro di Grazia e Giustizia in tutti e tre i governi presieduti da Aldo Moro. Nella quinta (1968-72), invece, fu ministro delle Finanze durante il primo governo di Mariano Rumor (dicembre 1968-agosto 1969), nuovamente ministro di Grazia e Giustizia nel terzo governo Rumor (marzo-agosto 1970) e nel primo governo di Emilio Colombo (agosto 1970-marzo 1971). Infine, nel corso della sesta legislatura (1972-76), fu ancora ministro di Grazia e Giustizia nel quarto governo Moro (novembre 1974-febbraio 1976).
Le iniziative intraprese da uomo di governo rivelano il suo modo di vedere la democrazia come graduale adeguamento degli ordinamenti dello Stato ai principi della Costituzione nel contesto di una società in rapida trasformazione. Intravide nel centro-sinistra la formula politica che meglio poteva realizzare questo progetto politico senza provocare grandi scosse sul terreno sociale. Ispirato da queste idee, Reale non fu mai tra i delusi del centro-sinistra, come invece La Malfa. Nonostante il sodalizio di lungo periodo con questi, in definitiva Reale assomigliava di più, per le idee e per il temperamento, ad Aldo Moro, con il quale collaborò per lunghi tratti della sua carriera di ministro. Fu lo stesso La Malfa a definire Reale il «mio Moro interno» (in Melchionni, 2000, p. 149).
Operò con prudenza e costanza sul terreno della riforma dei codici, inserendosi nella stagione aperta dal disegno di legge del 1963 che affidava al governo la delega per una riforma complessiva della materia. Il 6 aprile 1965 presentò alla Camera una Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma del codice di procedura penale. Il progetto era volto ad adeguare il codice ai principi costituzionali, riformando la procedura nella duplice direzione della maggiore rapidità del processo e del rafforzamento delle garanzie della difesa. Dopo che la commissione Giustizia della Camera l’ebbe approvato, in un’intervista televisiva condotta da Sergio Zavoli cercò di chiarire al pubblico la differenza tra il sistema inquisitorio dei vecchi codici e il sistema accusatorio, alcuni elementi del quale si cercava di introdurre nell’ordinamento italiano.
Nella seduta del 9 gennaio 1967 Reale presentò il disegno di legge n. 3705, contenente Modificazioni delle norme del codice civile concernenti il diritto di famiglia e le successioni, che rispondeva pienamente alla sua concezione gradualistica delle riforme e, di fatto, apriva la strada alla riforma del diritto di famiglia che sarà approvata nel 1975. La riforma era mirata ad attuare sul terreno normativo il principio costituzionale dell’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con l’obiettivo di sancire definitivamente il passaggio dalla potestà maritale all’accordo di entrambi i genitori nello stabilire l’indirizzo della famiglia. Si pensò di introdurre la patria potestà condivisa, il regime di comunità dei beni, il riconoscimento del lavoro femminile all’interno della casa, e si mise infine mano a una riflessione giuridica sulle disparità di trattamento in caso di adulterio. Con questo spirito innovatore, nel 1968 Reale presentò un disegno di legge per abrogare dal codice penale le attenuanti per il ‘delitto di onore’ (che però sarà abolito solo nel 1981).
Nell’incipiente stagione dei diritti civili, Reale svolse un ruolo importante anche nella questione del divorzio. Mentre la legge Fortuna-Baslini stava compiendo nell’autunno 1970 il suo iter parlamentare, ebbe un ruolo nella partita diplomatica con la S. Sede in quanto ministro del terzo governo Rumor. Reale chiarì la sua posizione di fermezza in un’intervista a Panorama: se non era il caso di alzare barricate tra Stato e Chiesa, d’altra parte si doveva fare uno sforzo per trovare un «accordo sul disaccordo» (Melchionni, 2000, pp. 165 s.), fermo restando che il Parlamento, per il quale egli rivendicava piena autonomia legislativa, poteva visionare tutte le carte degli incontri in corso tra governo italiano e S. Sede. Contestualmente, la questione del diritto di famiglia fu rilanciata come punta di diamante della battaglia laica. Il 22 maggio 1972, poco prima di diventare presidente della commissione Giustizia (incarico che mantenne dall’11 luglio 1972 al 23 novembre 1974), Reale fu primo firmatario di un nuovo progetto di riforma del diritto di famiglia che, dopo la vittoria divorzista al referendum del 12 maggio 1974, entrò in vigore con la legge 19 maggio 1975 n. 151, quando era di nuovo ministro di Grazia e Giustizia nel governo Moro. In seguito, Oronzo Reale precisò che la riforma del diritto di famiglia doveva considerarsi la vera legge Reale.
Queste precisazioni mal celavano il disagio che provò negli anni a venire per la stretta identificazione tra la sua opera di legislatore e le misure di ordine pubblico che prese nello stesso anno. Nel clima della violenza politica e del terrorismo, con la legge 22 maggio 1975 n. 152, introdusse il ‘fermo di polizia’ e stabilì criteri più larghi per l’impiego delle armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine. La legge fu contrastata, senza successo, da un movimento abrogazionista, guidato dai radicali, che culminò nel referendum dell’11-12 giugno 1978.
Nel gennaio del 1977 fu eletto dal Parlamento giudice costituzionale. Si apriva allora un periodo importante per la Corte, alle prese con la legislazione d’emergenza, l’intensificarsi degli scontri tra politica e magistratura e la necessità di armonizzare diritto nazionale e normative europee. Le sentenze di cui Reale fu relatore (e con tutta probabilità anche redattore) riflettono il suo interesse per i problemi del lavoro e della famiglia: protezione assicurativa del lavoro, trattamento fiscale delle pensioni, detraibilità delle spese sanitarie, spettanza degli assegni familiari, riconoscimento e disconoscimento paterno. Finì il suo mandato nel 1986, morendo poco dopo, il 14 luglio 1988, a Roma. La salma fu esposta nella sede della direzione nazionale del PRI, in piazza de’ Caprettari, prima della sepoltura a Lecce nella tomba di famiglia.
Fonti e Bibl.: Roma, Fondazione Luigi Einaudi per studi di politica ed economia, Fondo O. R.; O. R. (http://storia.camera.it/deputato/ oronzo-reale-19021024); Cerimonia commemorativa di O. R., tenutasi alla Camera dei deputati il 23 gennaio 2012 (http://www.radioradicale.it/ scheda/343998/cerimonia-commemorativa-di-oronzo-reale) (entrambi i siti si intendono visitati per l’ultima volta il 30 giugno 2016).
M. Scioscioli, O. R., in Il Parlamento italiano, 1861-1988: storia parlamentare e politica dell’Italia 1861-1988, XVIII, 1959-1963. Una difficile transizione. Verso il centro-sinistra, Milano 1991, pp. 455-473; M.G. Melchionni, O. R. 1902-1988. Storia di vita di un repubblicano, Venezia 2000; C. Scibilia, O. R. torna nel Pri, in Annali dell’Istituto Ugo La Malfa, XVI (2001), pp. 67-83.