DE DONNO, Oronzo
Nacque a Maglie (Lecce) il 2 ag. 1754 da Nicola e Maddalena Cezzi. Compiuti gli studi delle lettere e delle scienze nella cittadina natale, si trasferì a Napoli per seguire i corsi di medicina, che compì sotto la Oda dei migliori professori della capitale. Ebbe a maestro, tra gli altri, nella scienza ostetrica, Domenico Ferrara che lo tenne in grande stima e amicizia. A Soli 24 anni, nel 1778 iniziò a tradurre e pubblicò poi a Napoli nel 1783, gli Elementi dell'arte di raccogliere i parti di G. L. Boudelocque, arricchendoli di numerose note e osservazioni tecniche innovative tanto che l'opera può dirsi un'altra rispetto all'originale.
Divenuto chirurgo maggiore dell'ospedale degli Incurabili, acquistò grande fama per la sua dottrina nella scienza medica ed ostetrica in particolare e per la grande perizia con cui eseguiva i più difficili interventi, tanto che divenne presto l'ostetrico di fiducia di tutte le famiglie aristocratiche napoletane, continuando, tuttavia, pur all'apice della sua carriera, ad assistere gratuitamente i bisognosi.
La sua maggior gloria nella scuola ostetrica napoletana fu quella di aver praticato, insieme al suo maestro D. Ferrara, già nel 1787-88 le prime operazioni di sinfisiotomia a Napoli (la prima sinfisiotomia fu eseguita da J. R. Sigault, nel 1777; pubbl. l'anno seguente).
In seguito iniziò a scrivere una seconda opera teorico-pratica nella quale erano registrate le più interessanti operazioni chirurgiche da lui praticate e in cui dovevano confluire le esperienze acquisite con l'esercizio medico ed ostetrico negli ospedali napoletani e la dottrina scientifica dei più noti testi di ostetricia., Haller, Offmen, Morgagni. Il manoscritto completo e pronto per le stampe non vide mai la luce in quanto andò perso nei saccheggi reazionari del giugno 1799 0 confiscato dalla giunta di Stato.
Il D. era all'apice della carriera e della celebrità quando nel gennaio 1799, fu instaurata a Napoli la Repubblica; insieme con molti altri medici e in particolare con gli esponenti più vivaci della scienza, della cultura e dell'aristocrazia pugliese si schierò dalla parte del nuovo regime. Indossò la coccarda della rivoluzione e ricevette attestati di stima dal governo repubblicano che ne riconobbe l'ingegno e l'alta professionalità.
Quando le bande sanfediste del card. F. Ruffo, dopo la battaglia del ponte della Maddalena, il 13 giugno, invasero la città, il D. a capo di una squadra di studenti leccesi e di giovani medici dell'ospedale Incurabili, che il Cuoco chiamò poi "il battaglione sacro" della Repubblica, si batté eroicamente per la difesa di Castelnuovo.
Dopo la battaglia, grazie all'aiuto della coraggiosa moglie Rosa Taddei, che rimase con le due figliolette nel palazzo di San Marzano a fronteggiare le bande dei sanfedisti e i loro saccheggi, egli si rifugiò presso la principessa di San Severo, che riuscì tuttavia a tenerlo nascosto solo per poco. Infatti il gen. La Marra, avuto sentore del suo rifugio, circondò il palazzo e lo arrestò insieme con il fratello Simone, sacerdote, e con il nipote Nicola, facendolo rinchiudere nelle prigioni della Vicaria, ove il D. rimase per un mese, e poi in Castel Capuano, ove restò per altri quattordici insieme con "gli avanzi della democrazia", luminari della scienza e della cultura.
Infine, nel 1800, salvato dalla morte grazie ad alte influenze, fu condannato all'esilio dalla giunta di Stato e si recò prima a Marsiglia, divenuta rifugio di molti esiliati della Restaurazione borbonica e poi a Parigi.
Dopo il trattato di Firenze del 1801 stipulato tra Ferdinando IV e Gioacchino Murat e la generale amnistia concessa agli esiliati politici, il D. ritornò a Napoli accolto festosamente dall'aristocrazia e dalla cittadinanza napoletana, che ne ricordava i servigi resi alla scienza e la sua grande umanità e modestia; la principessa di San Severo inviò una carrozza fino a Roma per facilitargli il viaggio di ritorno e lo accolse nel suo palazzo.
Ma, per influenza di alcuni avversari politici, e in particolare del ministro Acton, che nutriva per lui un'antica inimicizia, fu relegato a Maglie, ove continuò ad esercitare la professione. Di qui il D. poté ritornare ancora a Napoli tra il 1804-05, quando l'onnipotente ministro si ritirò a Palermo, grazie alle insistenze di vari aristocratici presso la corte per far intendere al re l'opportunità di richiamare a Napoli un così valente medico; pare anzi che fosse proprio una grave malattia occorsa alla regina Maria Carolina a spingere Ferdinando IV ad ordinarne l'immediato rientro nella capitale.
Ivi il D. assistette alla seconda fuga del Borbone nel gennaio 1806 e all'insediamento della monarchia bonapartista; aveva ricominciato a scrivere l'opera di ostetricia che era andata perduta nel 1799 ma il suo fisico, minato dai disagi e dalle amarezze dell'esilio, non gli permise di realizzare i progetti che gli stavano a cuore, tra i quali in particolare l'organizzazione delle scuole di ostetricia nel Regno, per cui aveva redatto un Piano di organizzamento, e neanche di dare il via al nuovo corso di lezioni. Colpito da apoplessia nel palazzo della duchessa di Minervino, il D. si spense a Napoli il 6 ott. 1806.
Fu sepolto nella chiesa di S. Maria del Caravaggio.
Fonti e Bibl.: Necrol. in Monitore napol., n. 65, 10 ott. 1806; Corriere di Napoli, n. 27, 15 ott. 1806; P. L. Cattolica, Della ostetricia di I. L. Boudelocque, Napoli 1834, p. 20; R. Novi, La sinfisiotomia in Napoli, Napoli 1873, p. 4; B. Croce, La rivoluz. napol. del'99, Napoli 1899, pp. 30 ss. n. 84; L. Maggiulli, O. D. Seniore, in Riv. stor. salentina, IV (1906), pp. 185-196; S. Panareo, O. D. seniore, in Arch. pugliese del Risorgimento italiano, II (1915), pp. 445-49; A. Lucarelli, La Puglia nel Risorgimento, Bari 1934, I, pp. 208, 332, 413; II, pp. 443, 446, 451, 473, 552; M. Vacca, I rei di Stato salentini del 1799, Trani 1946, p. 318 (con bibliografia); P. Palumbo, Risorgimento salentino, 1799-1860, Lecce 1968, pp. 15, 90 e n., 92, 109, 301.