Origine degli elementi
di Donald D. Clayton
Origine degli elementi
sommario: 1. Introduzione. 2. Origine cosmologica. 3 Sintesi nelle stelle quasi stazionarie. 4. Nucleosintesi esplosiva nelle stelle. 5. Nucleosintesi non termica. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Il termine ‛nucleosintesi' designa la formazione dei nuclei atomici che conosciamo e troviamo in natura a partire dai nuclei primordiali di idrogeno e di elio presenti nel cosmo.
Come scienza la nucleosintesi si propone di spiegare, su base sperimentale, l'origine e l'abbondanza dei vari tipi di nuclei a partire dalle loro proprietà fisiche, tenendo ovviamente conto delle condizioni che nelle diverse reazioni hanno favorito la sintesi dei nuclei stessi. Secondo la definizione comunemente accettata, questo tipo di ricerca delinea quantitativamente l'evolversi, nello spazio e nel tempo, della composizione chimica dell'universo. Del vecchio termine ‛nucleogenesi' si fa uso ormai soltanto quando ci si riferisce al problema dell'origine della materia stessa.
In questo campo la moderna ricerca scientifica ha avuto inizio con gli esperimenti di E. Rutherford e collaboratori sulla radioattività naturale. Nel primo decennio di questo secolo essi dimostrarono che l'abbondanza di ciascuna specie radioattiva diminuisce secondo la legge temporale N(t) = N(0) e-t/τ, tranne che per quei casi in cui ci sia qualche sorgente che continui a produrre quella specie. Negli stessi anni Rutherford propose come metodo per determinare l'età dei minerali la misura del rapporto tra la quantità di elio e la quantità di uranio contenute nei campioni e i primi risultati indicarono che l'età della Terra era ben maggiore di quanto allora si credesse. Riguardo al problema della legittimità di usare lo stesso metodo nel caso in cui il piombo fosse l'altro prodotto del decadimento dell'uranio, B. B. Boltwood il 18 aprile 1905 scrisse a Rutherford: ‟Se si riesce a dimostrare che il piombo è un prodotto di disintegrazione dell'uranio, non ne seguirà necessariamente che tutto il piombo che c'è sulla Terra si è formato in questa maniera? Secondo me, le deduzioni che si possono trarre da questo assunto daranno le vertigini perfino ai metafisici". Se ne deduce immediatamente che, dato che l'uranio esiste, esso stesso, il piombo, e conseguentemente altri elementi, non possono essere sempre esistiti. Dal fatto che nel sistema solare l'235U è 104 volte meno abbondante del 207Pb nel quale decade, segue che l'235U non può avere un'età superiore a nove volte la sua stessa vita media, cioè 9 × 109 anni; tuttavia potrebbero esservi nuclei di 23~5U più vecchi se fosse possibile una compensazione da parte di altri di età più recente. Nel 1929, tenendo conto del rapporto tra le abbondanze di 235U e 238U e del fatto che le loro velocità di decadimento sono diverse, Rutherford argui che la sintesi degli elementi pesanti era avvenuta con continuità nelle stelle prima della formazione del sistema solare e che questo processo probabilmente è tuttora in atto. Tale argomentazione richiede che vi siano nuclei di 235U di età ancora inferiore a 7 × 109 anni. Furono proprio queste importanti deduzioni, semplici ma di notevole portata, che fornirono la prima base scientifica dell'idea, ora considerata esatta, secondo cui gli elementi non sono sempre esistiti. Recenti estensioni (v. sotto) delle prove fondate sulla radioattività indicano che la produzione degli elementi è cominciata nella Galassia all'incirca 12 × 109 anni fa e che essa continua tuttora.
Le successive sorprendenti scoperte furono fornite dall'astronomia. L'applicazione della meccanica statistica e della teoria della radiazione allo studio degli strati superficiali delle stelle permise di stabilire l'abbondanza relativa dei vari atomi presenti sulle superfici stellari a partire dall'intensità relativa delle righe dovute alle transizioni atomiche. Furono messi in luce fatti sorprendenti, ma per lo studio della nucleosintesi i più rilevanti furono i seguenti.
1. L'abbondanza relativa degli elementi varia da stella a stella in modo misterioso e complesso; questo fatto indica che la composizione chimica del gas galattico da cui le stelle si sono formate ha subito delle variazioni. Tali variazioni nell'abbondanza degli elementi sarebbero inspiegabili se non si ammettesse che, forse nelle stelle, vengono continuamente sintetizzati nuovi nuclei, poi espulsi nello spazio interstellare.
2. Le superfici di alcune classi di stelle, per esempio delle stelle con predominanza di bario, presentano fenomeni così vistosi di relativa sovrabbondanza di alcuni elementi interdipendenti, quali Sr, Zr e Ba, che viene spontaneo pensare che questi siano stati sintetizzati all'interno ditali tipi di stelle a partire da elementi più leggeri e poi si siano distribuiti negli strati superficiali, dove noi li possiamo osservare. Risulta dunque naturale pensare che, se il luogo in cui vengono prodotti alcuni nuovi elementi sono le stelle, esse devono essere anche la sede in cui vengono sintetizzati tutti gli elementi pesanti.
3. Nel 1952 J. Merrill rilevò la presenza di alcune righe atomiche del tecnezio nello spettro delle atmosfere di stelle di tipo S. Sulla Terra il tecnezio non si trova in natura, perché tutti i suoi isotopi sono radioattivi e hanno un tempo di dimezzamento di pochi milioni di anni. Si ritiene che questa sia una prova del fatto che le stelle di tipo S continuano a sintetizzare tecnezio nel loro interno.
4. Si è trovato che i vecchi ammassi di stelle, quelli che gli astronomi chiamano ‛estrema popolazione II', hanno pochissimi elementi pesanti; per esempio, in alcuni ammassi globulari il ferro, in rapporto all'idrogeno, è più di 100 volte meno abbondante che nel Sole o in altre stelle giovani. Poiché si ritiene che le superfici di queste stelle rispecchino l'abbondanza relativa del gas dal quale si sono formate, si è portati a credere che all'epoca della formazione delle prime stelle nella nostra galassia la percentuale di ferro rispetto all'idrogeno dovesse essere più piccola di quanto non sia adesso. Quest'osservazione rafforza l'ipotesi secondo cui all'inizio la Galassia doveva essere composta di idrogeno e, in parte, forse, anche di elio e poi, nel corso di circa 12 × 109 anni, si sono prodotti gli elementi pesanti partendo da quelli più leggeri. Verso la fine degli anni cinquanta si è affermata la teoria generale, ancora ritenuta valida, secondo cui queste trasformazioni avvengono all'interno delle stelle in seguito a reazioni termonucleari. La teoria, oggi accettata, dell'evoluzione stellare rende ancora più plausibile l'idea su esposta, in quanto presuppone che all'interno delle stelle vengano sintetizzati nuovi elementi attraverso reazioni termonucleari, con le quali si spiega anche l'origine dell'energia nelle stelle.
5. Lo studio delle bande ottiche della molecola C2 sulla superficie delle stelle fredde ha permesso agli astronomi di dimostrare che l'abbondanza relativa dei due isotopi del carbonio 12C e 13C è diversa nelle diverse parti del gas: è possibile quindi che queste particolari stelle abbiano sintetizzato ulteriore 13C al loro interno e lo abbiano poi distribuito in superficie attraverso processi di mescolamento.
La conoscenza dell'abbondanza delle specie nucleari è avanzata di pari passo. Esperienze fatte con lo spettro- metro di massa hanno indicato che la percentuale degli isotopi di ciascun elemento è costante all'interno del sistema solare, sia che il campione provenga dalla crosta terrestre, dagli oceani, dall'atmosfera, sia che provenga dalle meteoriti o anche dai frammenti di roccia lunare riportati dagli astronauti delle missioni Apollo. Questo risultato non è sorprendente: esso rispecchia il fatto che le proprietà chimiche di un elemento dipendono così poco dalla massa dei suoi isotopi che gli sconvolgimenti chimici susseguitisi durante la formazione e l'evoluzione del sistema solare non sono riusciti a separare gli isotopi di uno stesso elemento. Per tale ragione si ritiene che l'abbondanza relativa degli isotopi sia caratteristica di una nube di gas omogenea dalla quale si sarebbe formato il sistema solare. Studi compiuti sugli isotopi delle varie specie radioattive presenti nelle meteoriti, sulla Luna o sulla Terra indicano che essi si sono solidificati circa 4,6 × 109 anni fa. Per quanto le prove che negli altri sistemi stellari si mantengano le medesime percentuali isotopiche siano frammentarie, si crede che esse valgano generalmente per quelle stelle la cui superficie rispecchia ancora soltanto la materia da cui si sono formate. Ci dovrebbero essere delle eccezioni, come ad esempio per il rapporto delle abbondanze di 12C e 13C di cui si è già parlato, quando l'atmosfera di una determinata stella presenta l'eccesso di un isotopo, dovuto a una sintesi preferenziale all'interno dell'astro. Una grande speranza per il futuro dell'astronomia ad alta risoluzione spettrale è riposta nel fatto che una più vasta conoscenza dei rapporti isotopici può ottenersi attraverso lo studio degli spettri molecolari delle stelle fredde e della materia interstellare.
La determinazione delle abbondanze relative dei vari elementi ha rappresentato per il XX secolo un problema arduo ma significativo. Gli strumenti a disposizione sono stati, da un lato, gli spettri atomici delle stelle in generale e del Sole in particolare e, dall'altro, gli oggetti solidi che si potevano analizzare in laboratorio. Nel caso delle stelle le difficoltà risiedono nel fatto che l'abbondanza dei singoli elementi varia da stella a stella e così pure le loro intensità apparenti differiscono enormemente a seconda delle diverse classi spettrali (temperatura superficiale e gravità). L'applicazione della teoria della propagazione della radiazione e della formazione delle righe spettrali in un corpo caldo come una stella si è scontrata con difficoltà tali che solo gradualmente gli astronomi sono riusciti a interpretare correttamente le righe spettrali. Occorre compiere ulteriori progressi nell'applicazione di questa teoria prima di poter conoscere le abbondanze stellari con una precisione superiore di un fattore 2 rispetto ai dati attuali. Per questo motivo il procedimento concettuale consiste nel considerare come abbondanza campione quella del sistema solare e nel ricercare poi quanto si scosti da questa quella riscontrata nelle altre stelle.
Sia la possibilità di studiare gli oggetti solidi del sistema solare, in particolare le antichissime meteoriti che si sono formate insieme con esso, sia la vicinanza del Sole concorrono a fornire una conoscenza dell'abbondanza degli elementi nel Sole molto più dettagliata di quella che si puà avere per altri sistemi. La geochimica (v. geochimica), di cui furono pionieri Fr. W. Clarke, V. M. Goldschmidt e i loro collaboratori, indicò che le concentrazioni relative degli elementi nei vari oggetti si dovevano interpretare come loro abbondanza relativa. Le meteoriti ebbero un ruolo chiave in questo studio, in quanto, tra tutti gli oggetti del sistema solare, a eccezione del Sole, sono quelli che hanno subito minori alterazioni chimiche : basandosi sui decadimenti radioattivi si è infatti potuto stabilire che esse hanno ancora la stessa composizione che avevano quando si solidificarono, circa 4,6 × 109 anni fa. Per questi motivi, secondo H. C. Urey, le meteoriti rappresenterebbero il miglior campione per lo studio dell'abbondanza relativa degli elementi non volatili nel sistema solare. Tale affermazione è ancora ritenuta corretta, anche se le sue applicazioni si scontrano con molte difficoltà tecniche. Si spera che entro il XX secolo si possa giungere all'esatta scoperta della storia e della formazione delle meteoriti, in modo che le informazioni che se ne potranno trarre sulle abbondanze degli elementi si possano poi applicare con fiducia allo studio dettagliato della teoria della nucleosintesi. Fu infatti l'articolo di H. E. Suess e H. C. Urey nel 1956 ad alimentare la tesi della nucleosintesi stellare; poi, a distanza di un solo anno, un'altra famosa pubblicazione di E. M. Burbidge, G. R. Burbidge, W. A. Fowler e F. Hoyle presentò dati quantitativi sull'abbondanza degli elementi nelle stelle con un dettagliato elenco dei processi di nucleosintesi stellare.
Tra l'idrogeno (numero atomico Z = 1) e il bismuto (Z = 83) sono compresi 81 elementi stabili, ciascuno dei quali ha un diverso numero di isotopi stabili che va da uno solo (nel caso del fluoro, per esempio) a un massimo di dieci (nel caso dello stagno). Alcuni elementi hanno anche isotopi radioattivi naturali; in totale questi elementi contengono 280 specie nucleari le cui abbondanze nel sistema solare costituiscono per la teoria della nucleosintesi 280 dati sperimentali. In natura troviamo, per valori di Z maggiori di 83, anche 10 elementi radioattivi con un totale di 69 radioisotopi naturali, in massima parte figli della catena di decadimento dell'uranio e del tono. Le abbondanze dei capostipiti (232Th, 235'238U, 244Pu) sono dati particolarmente importanti per le cronologie della nucleosintesi basate sulla radioattività. Nella tabella sono elencate le specie nucleari (fatta esclusione per quelle prodotte dall'uranio e dal tono) e le loro abbondanze nel sistema solare. L'abbondanza non si riferisce al numero totale di atomi di una determinata specie presenti nel sistema solare, perché questi numeri sono assai grandi. Per convenzione, l'abbondanza degli elementi è computata in rapporto a 106 atomi di silicio. Per i nuclei radioattivi naturali, contrassegnati da un asterisco, si dà il valore non dell'abbondanza attuale, ma di quella che era 4,6 × 109 anni fa, all'epoca della solidificazione della Terra e delle meteoriti. Un'ulteriore discussione indicherà il modo attraverso cui si pensa, secondo le attuali conoscenze, che si siano probabilmente formati tutti quei nuclei.
Di ogni nucleo viene anche indicato nella quarta colonna della tabella il probabile processo di formazione. Se il processo dominante è incerto, ne viene indicato più d'uno: il primo è quello che si ritiene più probabile. La fig. 1 aiuta a comprendere quanto detto. Nell'ultima colonna della tabella sono riportati i termini ‛ottimo', ‛promettente' o ‛incerto' a seconda del grado di accordo numerico tra l'abbondanza osservata sul Sole e il valore calcolato secondo il processo indicato. Questa valutazione è, naturalmente, piuttosto soggettiva.
2. Origine cosmologica
Attorno al 1945 G. Gamow aveva formulato l'ipotesi secondo cui la scarsa abbondanza relativa dei nuclei di peso atomico dispari rispetto ai loro vicini pari e la graduale diminuzione dell'abbondanza degli elementi di maggior peso atomico potevano riflettere una loro probabile formazione da una catena di catture neutroniche. Egli segnalò che i neutroni liberi potrebbero costituire gran parte della materia nucleare a temperature e densità elevate. Se l'universo si fosse espanso da una tale fase di elevatissima densità, i neutroni liberi sarebbero potuti decadere in protoni e, successivamente, le catture neutroniche, a partire da H(n, γ)D, avrebbero potuto sintetizzare tutti gli elementi. Questa famosa teoria fu chiamata scherzosamente ‛teoria alfa- beta-gamma' dal nome di R. A. Alpher, H. A. Bethe e O. Gamow, autori nel 1948 di un articolo al riguardo. Sfortunatamente, essa non risultò corretta perché non esistono nuclei stabili di peso atomico A = 5 e A = 8 che permettano di completare la catena e anche perché la relazione inversa tra abbondanza e sezione d'urto per cattura neutronica non è precisa sin nei dettagli.
Da quando nei laboratori della Bell Telephone fu scoperto che l'universo è pervaso da fotoni aventi lunghezza d'onda di circa 1 mm, il cui spettro, almeno per la parte che si conosce, è assai simile a quello della radiazione termica di un corpo nero a circa 3 °K, si ritiene che detta radiazione sia residua di quella generata durante il big bang, o ‛grande scoppio', all'origine dell'universo, cui seguì la fase di espansione e di raffreddamento. Questo ulteriore dato, aggiunto a quelli, anch'essi approssimati, della densità dell'universo, ha stimolato nuovi studi sulla nucleosintesi attuatasi nel big bang. Questi hanno riconfermato che da una tale espansione possono derivare solo nuclei di H, D, 3He, 4He e forse 7Li, con concentrazioni ovunque uguali all'incirca all'abbondanza osservata. Risulta dunque possibile che questi nuclei, indicati con la sigla bb (big bang) nella tabella, siano quanto resta dello stato iniziale dell'universo.
Non tutti gli scienziati concordano nel ritenere che questi nuclei leggeri si siano formati mediante tale processo. La difficoltà consiste nel fatto che non si può misurare direttamente la concentrazione di D, 3He, 4He e 7Li nelle stelle più vecchie della sequenza principale, anche se esse sono le sole la cui composizione dovrebbe rispecchiare quella iniziale della Galassia. Le concentrazioni di D e di 7Li sono troppo piccole perché si possano vedere le corrispondenti righe spettrali e le temperature superficiali di queste stelle sono troppo basse per dar luogo a eccitazione delle righe atomiche dell'elio. Il problema si è focalizzato sull'4He a causa della sua grande abbondanza, pari a circa 1/10 di quella dell'idrogeno. C'è da sperare che la possibilità di osservare l'elio nelle stelle blu dell'estrema popolazione II e l'effetto di una grande percentuale di elio sulla struttura e sull'evoluzione di queste stelle ci permetta di conoscere l'abbondanza di elio posseduta dalla Galassia all'epoca della sua formazione. È questo il più importante tra i problemi non risolti dell'astronomia stellare: finché non gli sarà data risposta, non si potrà conoscere con esattezza quale sia stata l'origine dei nuclei più leggeri. Sembra tuttavia chiaro che tutti i nuclei più pesanti del carbonio si siano formati successivamente attraverso reazioni termonucleari nelle stelle.
3. Sintesi nelle stelle quasi stazionarie
Tra il 1950 e il 1970 l'attenzione degli astronomi fu volta essenzialmente alle stelle quasi stazionarie. Gli astronomi e gli astrofisici, in accordo col fatto che la maggior parte delle stelle all'apparenza non muta, formularono l'ipotesi che i mutamenti nelle stelle fossero molto lenti e che perciò fosse possibile risolvere abbastanza facilmente, con l'ausilio dei calcolatori elettronici, le equazioni che regolano la struttura interna stellare.
Alcuni fisici nucleari, in particolare presso il California Institute of Technology, eseguirono laboriose e accurate misurazioni della sezione d'urto delle reazioni nucleari che costituiscono la sorgente di energia termonucleare nelle stelle quasi stazionarie. Furono trovati modelli di stelle aventi strati sferici di diversa composizione chimica, mentre all'interno bruciano, passando attraverso i successivi stadi del combustibile nucleare disponibile, l'idrogeno, l'elio, il carbonio, l'ossigeno e il silicio. Questi calcoli gettarono luce sui dettagli delle lente evoluzioni stellari e spesso si è ammesso tacitamente che i prodotti nucleari di queste epoche permettessero di dar ragione dei dati relativi all'abbondanza degli elementi osservata. Attualmente si è piu propensi a credere che questa ipotesi sia troppo semplicistica, poiché gran parte dei nuclei potrebbe essere stata sintetizzata negli ultimi secondi di vita di una stella, durante la fase di esplosione. Le reazioni nucleari avvengono infatti con una tale violenza alle alte temperature dell'esplosione che l'intera composizione della stella può risultarne modificata. Pur tuttavia, molti nuclei importanti che vengono prodotti durante l'evoluzione stazionaria della stella sopravvivono all'esplosione finale, oppure vengono immessi nello spazio interstellare quando la stella perde gradatamente una parte significativa della propria massa. Nella tabella questi nuclei vengono indicati con s(p) o s(n), dove s sta per lento (slow), in relazione alla bassa velocità di reazione nelle stelle quasi stazionarie, e (p) e (n) indicano rispettivamente che queste reazioni lente sono provocate da particelle cariche (p) o da neutroni (n) ; la lettera s può essere anche ricollegata alla parola ‛stazionario'.
La maggior parte dei processi lenti avviene come segue. L'4He presente in natura potrebbe derivare dalla combustione lenta dell'idrogeno invece che dal big bang iniziale. Certamente la potenza nucleare delle stelle deriva per la sua massima parte dalla fusione dell'idrogeno in elio, attraverso le catene protone-protone o il ciclo carbonio-azoto. (Per alcuni suoi articoli pionieristici del 1938-1939 su questi processi di fusione dell'idrogeno fu assegnato a Bethe nel 1967 il premio Nobel per la fisica). Probabilmente l'alta velocità di questo processo nelle stelle di massa elevata presenti nei primi stadi evolutivi della Galassia ha prodotto gran parte dell'4He. Il processo di combustione attraverso le catene protone-protone costituisce probabilmente anche la sorgente naturale per la formazione dell'3He. Poiché con il cido carbonio-azoto si trasformano quantità iniziali di carbonio e ossigeno in 14N, sembra certo che in questa maniera l'14N venga espulso dalle stelle senza essere completamente distrutto. La sua origine è indicata con s(p) II nella tabella, con riferimento al fatto che esso sopravvive nella seconda zona della fig. 1. In queste reazioni possono essere prodotti anche nuclei di 13C. Questo processo può cominciare a funzionare non appena le prime stelle abbiano sintetizzato 12C e 16° a partire da 4He, poiché questi elementi faranno poi parte di stelle che si formeranno successivamente. L'alto valore del rapporto N/C sulla superficie di alcune stelle evolute mostra gli effetti della conversione interna 12C → 14N.
Quando l'idrogeno si è esaurito per combustione stazionaria, la susseguente contrazione innesca la fusione di 4He in 12C e 16O. La grande abbondanza di questi due tipi di nuclei è dovuta al fatto che nelle esplosioni finali non se ne distruggono molti. Gran parte dei nuclei di 14N che restano dal ciclo C-N vengono trasformati in 22Ne durante il periodo di combustione dell'elio e si ritiene che quanto ne rimane dall'esplosione nella zona III costituisca la fonte del 22Ne. Tutti e tre questi nuclei sono pertanto indicati con la sigla s(p)III.
L'altra classe importante di nuclei che sopravvivono è costituita da quelli che vengono prodotti per cattura lenta di neutroni liberi, prodotti durante l'evoluzione stazionaria di una stella. Questo processo viene abitualmente detto processo s e nella tabella sono contrassegnati con s(n) i nuclei che si ritiene siano prodotti in questo modo. È stata proprio la grande abbondanza di nuclei provenienti da processi di tipo s, in particolare di Sr, Zr e Ba, di cui si è detto precedentemente, osservati in certe classi di stelle evolute, a fornire storicamente una delle principali prove a favore della nucleosintesi nelle stelle; queste ultime, in certi stadi della loro evoluzione perdono, per qualche ragione, i loro inviluppi e, insieme a essi, molti nuclei s(n). Questo tipo di nucleosintesi dovrebbe inoltre avvenire nelle stelle stazionane piuttosto che in quelle che esplodono: deve infatti procedere con lentezza per permettere che il decadimento fi faccia seguito alla cattura dei neutroni. Misure accurate della sezione d'urto di cattura neutronica, fatte presso l'Oak Ridge National Laboratory, hanno provato la correttezza di questa teoria. Dato che la velocità con cui viene distrutto ciascun nucleo A appartenente alla catena di catture neutroniche è proporzionale a σA (n, γ), cioè alla sezione d'urto della reazione di cattura neutronica radiativa, l'abbondanza risultante è inversamente proporzionale a σA (n, γ). Il successo della teoria è brillantemente illustrato da due isotopi del samario, 148Sm e 150Sm, la cui abbondanza si ha motivo di credere sia dovuta quasi esclusivamente ai processi del tipo s. I prodotti dei valori misurati dell'abbondanza e delle sezioni d'urto per cattura neutronica stanno nel rapporto
che si avvicina assai bene al valore unitario previsto. Questa teoria ha conseguito molti altri successi di questo tipo e, poichè non è ancora andata incontro ad alcun fallimento, la si considera provata al di là di ogni ragionevole dubbio.
4. Nucleosintesi esplosiva nelle stelle
Verso il 1965 si cominciò a capire che le stelle di massa elevata molto evolute sono potenzialmente assai esplosive, nel senso che, se la temperatura delle zone contenenti carbonio e ossigeno aumentasse improvvisamente del 50%, un'esplosione termonucleare distruggerebbe l'intera stella. A causa delle grosse perdite di neutrini, che fanno sì che le stelle evolute siano più condensate al centro di quanto non si credesse un tempo, i modelli stellari prevedono per tali stelle la tendenza a un'instabilità di tipo esplosivo. Benché solo di recente si siano iniziati calcoli di idrodinamica intesi a studiare le caratteristiche dell'esplosione, sembra tuttavia che durante questo evento parecchi strati sferici delle stelle che hanno raggiunto questo stadio di evoluzione vengano enormemente compressi e riscaldati. L'alta temperatura dell'esplosione nucleare, la cui durata è solo di qualche frazione di secondo, provoca un tal numero di processi nucleari che i prodotti espulsi sono molto diversi da quelli che compongono originariamente le varie zone. L'abbondanza degli elementi in natura costituisce una prova convincente del fatto che molti di essi sono stati sintetizzati durante questi eventi. Il recente meraviglioso progresso della ricerca in questo campo viene, per un verso, dall'aver compreso che, probabilmente, la composizione dell'intera stella cambia nei brevi istanti finali dell'esplosione e, per altro verso, dall'aver sviluppato accurati programmi di calcolo numerico per la serie delle reazioni nucleari che si producono durante l'esplosione. Si ha ora modo di constatare che il risultato di queste catene esplosive di reazioni nucleari è virtualmente identico all'abbondanza osservata in natura dei relativi elementi e dei loro isotopi.
Nella parte sinistra della fig. 1 è indicata schematicamente la struttura a strati sferici della composizione tipica di una stella evoluta la cui massa sia da 10 a 60 volte quella del Sole. A partire dagli strati superficiali e procedendo verso l'interno, si giunge a una temperatura sufficientemente alta alla base della zona I dove l'idrogeno viene trasformato in elio. Più all'interno di questa zona, nella zona II, l'idrogeno è già esaurito e l'elio è la specie prevalente. L'altro nucleo prevalente in questa zona è l'14N, prodottosi nel ciclo C-N a partire da piccole concentrazioni (pari a circa il 2% in massa) di 12C e di 15O presenti nel gas stellare iniziale. Alla base della zona II la temperatura assume valori sufficientemente elevati perché l'elio possa fondersi nei nuclei 12C e 16O che sono i principali costituenti della zona III, nella quale l'elio si è già del tutto consumato. Contemporaneamente, il 20% di 14N si converte in 22Ne attraverso due successive reazioni del tipo (α, γ) Nel capitolo precedente si è supposto che i nuclei di 14N e 22Ne debbano la propria esistenza al fatto di essere parzialmente sopravvissuti alla morte della stella. Alla base della zona III il carbonio fonde in 20Ne, 24Mg e 23Na (in ordine di abbondanza), mentre il 22Ne si trasforma negli isotopi pesanti del magnesio. Nella zona IV il 20Ne, che è debolmente legato, si trasforma in 16O e 24Mg, che sono le due specie prevalenti di questa zona. Nella zona V l'ossigeno si è già bruciato nella precedente evoluzione stazionaria e le specie nucleari di maggior rilievo sono il 28SI e l'32S. Nella zona centrale il silicio viene trasformato in ferro e nichel. In ciascuna di queste zone rimane una piccola concentrazione (dell'ordine di 10-3 in massa) degli elementi pesanti presenti nel gas iniziale. Questa potrebbe quindi essere la situazione poco prima che la zona centrale, contraendosi rapidamente, provochi, per compressione degli strati sovrastanti, un riscaldamento tale da farli esplodere. Nella parte destra della fig. 1 sono elencati i principali nuclei che vengono prodotti in questa zona durante l'esplosione. Nella quarta colonna della tabella è indicata con un numero romano la zona in cui questi nuclei si sono formati in seguito all'esplosione. Qui, di seguito, sono riportati al- cuni commenti su ciascuna zona.
Zona I. E probabile che, per via della bassa densità, non vi accada nulla d'importante: i componenti iniziali vengono espulsi pressoché immutati, a parte alcune possibili eccezioni, come nel caso della produzione abbondante di 13C nel processo 12C (p, γ) 13N (β+, ν) 13C e di 17O nel processo 16O (p, γ) 17F e dei nuclei p pesanti (v. oltre).
Zona II. Gran parte dell'14N sopravvive. L'elio non riesce a reagire con se stesso con velocità sufficiente da consumarsi. Una frazione rilevante di 14N viene trasformata da particelle a di elevata energia in nuclei di 15O, 18F, 19Ne e 21Ne, i quali vengono espulsi per decadere quindi in nuclei di 15N, 18O, 19F e 21Ne, presenti nel Sole. Nella tabella, questi nuclei vengono indicati con la notazione espl. II.
Zona III. Nella fig. 2 sono indicati con una × i risultati dei calcoli numerici effettuati per questa zona. L'abbondanza finale, nel rapporto relativo delle masse della zona III, è paragonata a quella solare. Non solo sopravvivono in quantità rilevanti i nuclei di 12C e 16O, ma vengono anche sintetizzati 20Ne, 23Na, 24'25'26Mg, 27~Al, 29,30Si e forse anche 31p nei rapporti che s'incontrano in natura. Nella tabella tali nuclei vengono indicati con la notazione espl. III. I calcoli, effettuati da W. D. Arnett nel 1969, mostrarono per la prima volta in modo convincente che l'ipotesi della nucleosintesi esplosiva porta a risultati migliori di quelli ottenuti in base all'ipotesi della nucleosintesi stazionaria. I nove nuclei sopra elencati si originano dal 12C iniziale e dal 2% del 22Ne presente.
Un'altra classe di nuclei, quella degli isotopi rari ricchi di neutroni degli elementi compresi tra lo zolfo e lo zinco, si produce quando neutroni e protoni liberi interagiscono con i nuclei pesanti, chiamati ‛nuclei seme', presenti in piccole quantità nella composizione iniziale della stella. Per esempio, i nuclei rari di 36S e di 64Ni, per considerare solo due casi, vengono prodotti rispettivamente per trasmutazione delle tracce di 36Ar e di 56Fe iniziali. Sono indicati con la notazione espl. III (seme) i nuclei prodotti in questo modo.
Zona IV. Nella flg. 3 sono poste a confronto l'abbondanza calcolata e quella solare dei residui di esplosione della zona IV. Quivi sono prodotti i nuclei 28Si, 32,33.34S, 35,37Cl, 36,38Ar, 39,41K, 40,42Ca, 46Ti, 50Cr e forse 31P e 44Ca indicati nella tabella con la notazione espl. IV. In questo caso l'accordo tra i valori calcolati e quelli osservati è così buono che il modello deve essere ben vicino alla realtà. In questa, come anche nella zona V, si hanno le prove più convincenti dell'ipotesi fondamentale secondo cui le abbondanze delle specie nucleari riflettono le stesse proprietà nucleari.
Zona V. C'è un massimo molto pronunciato, nell'abbondanza dei vari nuclei, centrato sul 56Fe. Gli isotopi dei nuclei di Fe, Ni, Cr, Mn, Co e Ti (gli elementi sono elencati in ordine decrescente di abbondanza) vengono sintetizzati nella zona V e nella tabella sono contrassegnati con la notazione espl. V. Fisicamente, questo massimo nella distribuzione delle abbondanze coincide col massimo valore dell'energia di legame per nucleone, che mostra un picco intorno al valore A = 56. Si può così calcolare l'abbondanza relativa di questi nuclei, per lo meno approssimativamente, facendo soltanto uso dei principi della meccanica statistica, senza curarsi delle sezioni d'urto nucleari. Questa relazione è nota da tempo: negli anni quaranta sia S. Chandrasekhar sia F. Hoyle si erano infatti dedicati a calcoli del genere. Solo negli ultimi anni la situazione è stata chiarita, allorché si è compreso che molti nuclei importanti, in particolare il 56Fe, non vengono sintetizzati direttamente ma attraverso un capostipite radioattivo, in questo caso il 56Ni, che, dopo l'espulsione, decade in 56Fe. La scoperta di questi nuclei radioattivi nello spazio interstellare darebbe una prova sperimentale assolutamente decisiva di questa teoria; c'è da sperare inoltre che nel prossimo decennio, con l'installazione su satelliti artificiali di rivelatori di raggi γ, si sia in grado di risolvere le righe delle loro transizioni nucleari. Rivelare questi raggi γ sarebbe una delle maggiori conquiste conoscitive dell'astronomia cosmologica e ci farebbe ritornare, completato il circolo, alla tesi originaria di Rutherford sulla produzione e il decadimento dei nuclei.
Processi del tipo r. Molti dei nuclei più pesanti del ferro non possono essere prodotti se non attraverso una catena così rapida di catture neutroniche da non permettere che possano aver luogo i processi β per lo meno finché il nucleo è così ricco di neutroni da non poterne contenere altri. Questo processo, chiamato processo r dall'iniziale della parola ‛rapido', è ovviamente essenziale per la produzione dei nudei pesanti radioattivi 235,238U, 232Th e 244Pu che si trovano in natura. Esso è necessario inoltre per produrre, nella distribuzione delle abbondanze dei nuclei pesanti, i picchi relativi che si hanno attorno ai valori A = 80, 130 e 196, in quanto questi pesi atomici possono corrispondere, in questa catena di catture che si origina nella materia ricca di neutroni, ai numeri magici di neutroni N = 50, 82 e 126. Questo processo rende anche ragione dell'esistenza degli isotopi più pesanti di quasi tutti gli elementi con elevato numero atomico. Dato che deve essere intenso e veloce, questo processo deve certamente avvenire durante l'esplosione della stella e, con grande probabilità, alla base della regione V, la quale segna il confine tra la materia che implode, riducendosi a uno stato assai condensato, probabilmente una stella di neutroni, e la materia ricca di neutroni che viene espulsa. Pertanto, i nuclei indicati con r nella tabella derivano da regioni che probabilmente facevano parte di una stella di neutroni. Gli abbondanti nuclei 54Cr e 58Fe ricchi di neutroni derivano probabilmente dalla medesima regione.
I processi r sono responsabili della sintesi di quei nuclei radioattivi dalla cui abbondanza in natura si è dedotto il calcolo dell'età dei singoli elementi, secondo il ragionamento indicato precedentemente. Questi processi e le loro vite medie sono, in ordine crescente:
1) 129I(β) 129Xe: 2,45× 107 anni
2) 244Pu (α, β...) 232Th: 1,18 × 108 anni
3) 235U (α, β ...) 207Pb: 1,03 × 109 anni
4) 238U (α, β ...) 206Pb: 6,51 × 109 anni
5) 40K (β) 40Ca: 1,85 × 109 anni
6) 232Th (α, β ...) 208Pb: 20,0 × 109 anni
7) 187Re (β) 187Os: 62,0 × 109 anni
8) 87Rb (β) 87Sr: 71,9 × 109 anni.
Le argomentazioni che giustificano la produzione e il decadimento di questi nuclei indicano che la nucleosintesi galattica è cominciata (12 ± 2) × 109 anni fa e che da allora essa è continuata fino a oggi con un ritmo via via decrescente. Questa proprietà della Galassia deve essere in accordo con l'immagine dell'universo che ci fornisce la cosmologia. Gli studiosi che affrontano questi problemi devono molto a queste piccole proprietà della struttura nucleare che hanno offerto indizi meravigliosi sulla storia del cosmo.
Processi del tipo p. I rari isotopi ricchi di protoni degli elementi pesanti non si possono formare attraverso catture neutroniche. Affinché la loro sintesi sia possibile, sembra necessario che nuclei pesanti di tipo s ed r vengano irraggiati da protoni a temperature elevate di circa 2 × 10 OK, in ambiente povero di neutroni liberi. La sistematica nucleare ha confermato che tali nuclei, indicati nella tabella con la notazione p, per la caratteristica di essere ricchi di protoni, possono essere sintetizzati in questa maniera, ma non è stata ancora determinata in modo convincente la regione da cui si originano durante l'esplosione, anche se si crede che possa essere la parte esterna sia della zona IV, sia della zona I.
5. Nucleosintesi non termica
Finora ci si è limitati a considerare la sintesi dei nuclei quale avviene in condizioni in cui le velocità delle particelle seguono una distribuzione termica e indubbiamente la maggior parte dei nuclei si è formata in queste condizioni. Solo per quel che riguarda i nuclei rari leggeri, 2H, 3He, 6,7Li, 9Be, 10'11B, è plausibile supporre che si siano sostanzialmente prodotti per collisione di particelle molto veloci con nuclei stazionari. Le sorgenti di particelle veloci sono costituite dai raggi cosmici di cui è permeato il gas interstellare e da particelle stellari di alta energia che bombardano la superficie delle stelle dopo essere state accelerate da eruzioni idromagnetiche. Queste reazioni, generalmente chiamate di ‛spallazione', consistono nella rottura, dovuta a collisioni, di numerosi nuclei adiacenti in pochi frammenti più piccoli. La composizione sia dei raggi cosmici sia delle atmosfere di particolari stelle testimonia la formazione di queste reazioni. Nella tabella questi nuclei vengono indicati con la notazione spall.
Tanto se si crede che l'universo sia in fase di espansione dopo la grande esplosione iniziale quanto se si ritiene che le sue proprietà macroscopiche siano stazionarie, è certo che la nostra galassia, e quindi probabilmente anche le altre, ha sintetizzato gli elementi che la compongono all'incirca negli ultimi 1010 anni. Il problema dell'origine dell'idrogeno e dell'elio da cui tutto è cominciato è un mistero ancor più profondo connesso con l'origine stessa dell'energia nell'universo. Perché la materia si sia manifestata all'inizio sotto forma d'idrogeno è un problema non risolto da nessuno dei due schemi cosmologici e non è affatto chiaro come a questa domanda si possa dare una risposta scientifica. Uno dei principali enigmi risiede nell'assenza apparente di antimateria. Certo è che il carbonio, il calcio, il ferro della nostra chimica, e anche dei nostri corpi, non sono che i residui delle antiche esplosioni nella Galassia.
bibliografia
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