ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI.
– Diffusione nel mondo delle PGM. Convenienti o no? Effetti sull’ambiente. Conclusioni. Bibliografia. Webgrafia
Con le metodiche di manipolazione del DNA (DeoxyriboNucleic Acid) è possibile inserire in modo mirato geni estranei (transgeni) negli organismi viventi (microrganismi, piante e animali), creando i cosiddetti organismi trans genici, noti anche, con minore precisione, come organismi geneticamente modificati (OGM). La loro utilizzazione avviene soprattutto nei settori agricolo e zootecnico (e quindi alimentare) e medico. In questa trattazione si affronteranno in particolare gli organismi vegetali (PGM, Piante Geneticamente Modificate) più diffusi in agricoltura, ossia le piante resistenti agli erbicidi ad ampio spettro (HR, Herbicide-Resistant) e le piante resistenti a determinati insetti patogeni (IR, Insect-Resistant). Va sottolineato comunque che le modificazioni genetiche riguardano anche, per es., il miglioramento delle proprietà nutrizionali o l’acquisizione di resistenza agli stress biotici. In tutti i casi, l’inizio del 21° sec. è stato caratterizzato, soprattutto in Europa, da aspre polemiche in merito all’introduzione di PGM sul mercato, con veri e propri schieramenti tra fautori e detrattori. Verso la fine della prima decade i toni polemici si sono ridotti, ma le PGM rimangono comunque una questione in sospeso.
Diffusione nel mondo delle PGM. – I dati riguardanti la coltivazione globale di PGM sono raccolti e pubblicati in rapporti annuali dall’ISAAA (International Service for the Aquisition of Agri-biotech Applications), una fondazione nata con lo scopo di promuovere la diffusione delle agrobiotecnologie. Sebbene tra i suoi finanziatori l’ISAAA annoveri alcune delle più grandi multinazionali del settore biotecnologico (Bayer CropScience e Monsanto) e sebbene il metodo di raccolta dei dati pubblicati sia stato messo in discussione (http://www.genewatch.org/sub532326), i rapporti prodotti dalla fondazione costituiscono l’unica fonte che riunisce le informazioni relative alla diffusione dell’agricoltura geneticamente modificata (GM) a livello mondiale. Dall’esame del più recente rapporto dell’ISAAA (James 2014) emerge che, nonostante la coltivazione delle PGM stia crescendo in modo regolare (v. figura), i terreni dedicati sono concentrati essenzialmente in pochi Paesi, ossia Stati Uniti, Brasile (notevolmente distaccato), Argentina, India e Canada (v. tabella), tutti caratterizzati da ampie superfici agricole. Per quanto riguarda le varietà GM coltivate, si tratta soprattutto delle grandi colture industriali: soia, mais, cotone e colza, modificati per tollerare gli erbicidi e/o per resistere agli insetti patogeni.
L’andamento positivo delle coltivazioni GM non trova però riscontro in Europa, dove la situazione appare molto diversa: attualmente gli unici Paesi che coltivano PGM sono Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania e Slovacchia, con percentuali molto ridotte. Secondo la normativa vigente, nella Comunità europea la coltivazione e la commercializzazione di piante geneticamente modificate destinate all’alimentazione possono essere autorizzate solo dopo che l’EFSA (European Food Safety Authority), ente incaricato dei controlli sugli alimenti, ha rilasciato un parere favorevole.
L’EFSA, infatti, ha il compito di effettuare una valutazione della documentazione che deve essere presentata da chi intende introdurre nel mercato europeo una PGM. L’iter per chiedere questa introduzione è piuttosto lungo e complesso, ma una volta emessa l’autorizzazione, questa si intende valida per tutta la Comunità europea. Tale procedura ha però aperto la strada a una situazione di sostanziale stallo, determinando la formazione di blocchi contrapposti tra i Paesi favorevoli alle PGM, come Regno Unito e Spagna, e quelli contrari, come Austria, Francia e Italia. D’altra parte, tra gli stessi cittadini europei non esiste una conformità di opinioni riguardo agli OGM, come rilevato da un sondaggio effettuato da Eurobarometro nel 2010 (Eurobarometro 2010), secondo il quale una media del 66% delle persone intervistate nei vari Stati comunitari si è dichiarata preoccupata riguardo agli OGM.
Fino a poco tempo fa, l’unico mezzo che un singolo Stato aveva a disposizione per vietare nel proprio territorio l’introduzione di una PGM approvata era la cosiddetta clausola di salvaguardia, invocata quando, nonostante il parere favorevole dell’EFSA, si identificava nella pianta un nuovo pericolo, non valutato in precedenza, per la salute umana o per l’ambiente. La procedura è recentemente (genn. 2015) cambiata, poiché il Parlamento europeo ha emesso una risoluzione legislativa in merito alle PGM secondo la quale a ogni Stato membro è concessa la facoltà di regolarsi in modo indipendente, limitandone o vietandone la coltivazione nel proprio territorio anche nel caso in cui si tratti di varietà approvate a livello comunitario. È comunque bene ricordare che a oggi una sola pianta transgenica è coltivata in Europa: il mais MON810 della ditta statunitense Monsanto, che è stato seminato in Portogallo, Romania, Slovacchia e Spagna; hanno invocato la clausola di salvaguardia Austria, Bulgaria, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Polonia e Ungheria.
Introdurre piante GM nell’ambiente non è un procedimento semplice e l’aspetto più complesso riguarda la necessità di garantire la coesistenza dei diversi tipi di agricoltura, ossia tutelare i diritti sia di chi intende coltivare PGM sia di chi preferisce altre colture, come quelle convenzionali oppure biologiche. Si devono quindi evitare fenomeni di inquinamento dovuti al rimescolamento genico tra organismi GM e non, causati soprattutto dal polline, dalle pratiche colturali e dalle contaminazioni accidentali. Questa necessità rientra nel più generale proposito di evitare eventuali effetti nocivi per gli organismi viventi (non solo vegetali) e per l’ambiente, per es. danni agli animali (microrganismi, artropodi, uccelli ecc.), considerati lungo tutta la catena alimentare, da quelli che si nutrono di piante e loro derivati ai predatori. Per questo motivo l’iter di approvazione di una PGM prevede una verifica delle sue caratteristiche e di quelle dell’ambiente (nel suo complesso) nel quale si desidera introdurla, secondo una procedura definita valutazione del rischio (prevista nella documentazione da presentare quando si chiede l’approvazione all’introduzione di una PGM in Europa), che deve tenere conto degli effetti diretti e indiretti, immediati e differiti, nonché degli effetti cumulativi a lungo termine, sulla salute umana e sull’ambiente. La valutazione del rischio deve essere effettuata caso per caso, perché ogni diversa PGM e ogni diverso ambiente rappresentano una situazione particolare. I parametri da considerare sono numerosi, per es. si devono valutare la direzione dei venti e la presenza di insetti impollinatori (che hanno ambedue un ruolo determinante nella dispersione del polline), verificare la presenza di piante imparentate con quella GM che si intende coltivare, esaminare gli organismi animali che abitano il territorio e la loro potenziale sensibilità alla PGM, prevedere, se necessario, la realizzazione di barriere (come siepi, zone libere da vegetazione ecc.) che facciano da ostacolo alla diffusione pollinica.
In Italia, al momento (2015) la coltivazione di PGM è ancora vietata, anche a scopo sperimentale. Per verificare le eventuali vie che potrebbero determinare un impatto ambientale indesiderato sono stati condotti vari studi che simulano il rilascio ambientale di PGM, al posto delle quali sono utilizzate le corrispettive piante naturali che le ‘mimano’ (per es., Lener, Giovannelli, Arpaia et al. 2013).
Convenienti o no? – Fin dal loro esordio sul mercato, le PGM sono state presentate come la tecnologia più adeguata per garantire abbondanti raccolti, tanto da essere considerate la soluzione per risolvere il problema della fame nel mondo: infatti, grazie alla capacità di resistere agli insetti nocivi e agli erbicidi, queste piante dovrebbero essere in grado di assicurare una produzione superiore a quella delle piante tradizionali. Tuttavia, questa asserzione è stata messa in discussione più volte e, in linea generale, gli studi effettuati al riguardo sottolineano una certa variabilità di comportamento: se alcune PGM risultano più produttive delle corrispettive naturali, questo non vale per tutte. Per es., in un rapporto del 2009 pubblicato dalla statunitense UCS, Union of Concerned Scientists (organizzazione creata nel 1969 da docenti e studenti del Massachusetts Institute of technology), sono stati esaminati numerosi studi effettuati sulle PGM più coltivate negli Stati Uniti (ossia un tipo di soia HR e due tipi di mais, uno IR e uno HR), delle quali è stata valutata la produttività. Considerando i dati nel loro complesso, la conclusione è stata che sostanzialmente le rese si sono dimostrate inferiori alle attese, con un’ampia variabilità legata alle particolari condizioni di coltivazione, tanto che in alcuni casi le piante tradizionali hanno offerto risultati migliori. Infatti, la soia e il mais HR non hanno presentato aumenti produttivi, mentre per il mais IR l’aumento è stato minimo (Gurian-Sherman 2009). Un altro esempio è uno studio (Darmency 2013) in cui, partendo dall’esame di un’ampia bibliografia, si è cercato di definire le eventuali ricadute ambientali e le rese produttive di piante resistenti agli erbicidi, ottenute sia attraverso incrocio o mutagenesi sia attraverso trasformazione transgenica. Per quanto riguarda le varietà GM prese in considerazione, è risultato che il raccolto non sempre è stato superiore a quello delle varietà di confronto (non GM), che in alcune situazioni si può anche verificare un costo per l’ambiente e soprattutto che il comportamento della maggior parte di queste PGM è influenzato dalle condizioni ambientali.
D’altra parte, secondo dati della FAO (Food and Agriculture Organization) ogni anno nel mondo vengono buttati 1,3 milioni di tonnellate di cibo (FAO 2013). Poiché le persone sottoalimentate nel mondo sono 805 milioni, esse potrebbero essere ampiamente sfamate grazie al cibo sprecato. Questi dati inducono a pensare che il problema della fame sia in realtà legato a un’inefficiente distribuzione delle risorse alimentari e alla mancanza di adeguate politiche di educazione al consumo, piuttosto che a carenze di produzione agricola.
Effetti sull’ambiente. – Con le PGM di più recente generazione i dati disponibili sembrano suggerire l’assenza di evidenti effetti nocivi sulla salute umana e degli altri vertebrati, ma sarebbe bene proseguire con ulteriori studi per arrivare a conclusioni definitive su questa questione. Diverso è il discorso per gli effetti sull’ambiente, perché numerose ricerche sottolineano un fenomeno che è molto diffuso in natura: a seguito della duratura somministrazione di sostanze tossiche gli organismi che ne sono il bersaglio evolvono una resistenza che li rende meno sensibili all’effetto nocivo. Questo adattamento è particolarmente evidente per le piante infestanti: se con l’introduzione delle PGM HR inizialmente si è verificato un calo nell’utilizzazione di erbicidi, da qualche anno gli agricoltori ne applicano quantità crescenti (per es., Cherry 2010; Benbrook 2012), con ovvi problemi di inquinamento ambientale. Da non sottovalutare è anche la resistenza acquisita a seguito del trasferimento del tratto genico interessato da una PGM a una pianta naturale (inquinamento genico).
D’altra parte, le tossine Bt (Bacillus thuringiensis) presenti nelle PGM IR possono produrre effetti nocivi anche su insetti che non ne sono il bersaglio, non dannosi o, peggio, utili, come gli impollinatori e i predatori di insetti nocivi.
Emblematico è il caso della farfalla monarca (Danaus plexippus), importante lepidottero dell’America Settentrio nale, che risulta sensibile all’azione della tossina, pur non essendone l’obiettivo (Pimentel, Raven 2000). Inoltre, a seguito dell’azione tossica delle PGM IR, che determina la scomparsa degli insetti nocivi bersaglio, è aumentato il numero di insetti nocivi secondari, la cui presenza era celata dai bersagli dell’azione antiparassitaria.
Conclusioni. – Le PGM rappresentano un prodotto essenzialmente commerciale, come testimoniato anche dal fatto che le varietà più coltivate sono di gran lunga quelle resistenti agli erbicidi e quelle resistenti agli insetti patogeni. Anche per questo motivo le loro proprietà, almeno in alcuni casi e almeno allo stato attuale del loro sviluppo tecnologico, sembrerebbero piuttosto sopravvalutate. Allo stesso tempo però, considerando sia la loro diffusione sia le loro capacità, rappresentano una realtà della quale occorre tenere conto. Appare quindi necessario valutare con attenzione il rapporto tra i benefici che le PGM possono apportare e i costi che ne potrebbero derivare, e questo significa condurre studi per verificare, caso per caso, gli eventuali impatti positivi e/o negativi sull’ambiente e sulla salute umana e degli altri animali. Sarebbe quindi auspicabile che questo incarico fosse affidato a organismi indipendenti in grado di valutare obiettivamente tutti i diversi fattori e le conseguenze delle scelte.
Bibliografia: D.S. Pimentel, P.H. Raven, Bt corn pollen impacts on nontarget Lepidoptera: assessment of effects in nature, «Proceedings of the National Academy of sciences», 2000, 97, 15, pp. 8198-99; C.M. Benbrook, Impacts of genetically engineered crops on pesticide use in the U.S. The first sixteen years, «Environmental sciences Europe», 2012, 24, 24; H. Darmency, Pleiotropic effects of herbicide-resistance genes on crop yield: a review, «Pest management science», 2013, 69, 8, pp. 897-904; M. Lener, V. Giovannelli, S. Arpaia et al., Applying an operating model for the environmental risk assessment in Italian sites of community importance (SCI) of the European Commission habitats directive (92/43/EEC), «Bulletin of insectology», 2013, 66, 2, pp. 257-67; C. James, 2014 ISAAA report on global status of biotech/GM crops, «ISAAA brief», 2014, 49.
Webgrafia: D. Gurian-Sherman, Failure to yield. Evaluating the performance of genetically engineered crops, Cambridge (Mass.) 2009, http://www.ucsusa.org/files/legacy/assets/documents/food_and_agriculture/failure-to-yield.pdf; B. Cherry, GM crops increase herbicide use in the United States, ISIS (Institute of Science In Society), 2010, http://www.i-sis.org.uk/GMcropsIncreasedHerbicide.php; Eurobarometro, Rischi associati agli alimenti, speciale 354, Parma 2010, http://www.efsa.europa. eu/en/riskperception/docs/riskperceptionreport_it.pdf; FAO (Food and Agriculture Organization), Food wastage footprint. Impacts on natural resources, 2013, http://www.fao.org/docrep/ 018/i3347e/i3347e.pdf. Tutte le pagine web si intendono visitate per l’ultima volta il 15 giugno 2015.