orfananza
s. f. La condizione di chi è orfano.
• Romanzo di orfananze e profonde solitudini: segnate dal riso amaro di Poppi; dalla disperazione di Paola; dai dubbi e dalla disperazione di Luca di fronte alla morte dei bambini affidatigli; di Pietro, che si porta dentro da sempre il silenzio di Dio, l’«unico padre che aveva avuto nella vita e che restava muto e vigliacco da una vita, appena appena stemperato dalla vecchia amica Anita. (Ermanno Paccagnini, Corriere della sera, 23 febbraio 2012, p. 43, Terza Pagina) • Per [Paolo] Sorrentino è evidente che quello che vuole perimetrare è la «grande bruttezza» che popola il paesaggio interiore di uomini e donne in cui il dolore ha scavato cisterne d’indifferenza e bisogni d’amore che neppure la perversione del potere o del sesso sa più colmare. La grande bruttezza della solitudine ha un punto estremo e rivelatore nella orfananza ‒ che è il destino di chi ha genitori benedetti da Dio. E poi si rifrange a cascata nelle solitudini, lette dentro le «sorrentinate» (che nel «papa giovane» non mancano avendo a disposizione l’immaginario dei palazzi e dei giardini vaticani). (Alberto Melloni, Repubblica, 20 ottobre 2016, p. 36, Spettacoli) • È dalla ferita inguaribile dell’orfananza che scaturisce la sua scissione più drammatica: il custode della fede è alla ricerca tormentata della fede, il padre della Chiesa è un figlio smarrito, traumatizzato dalla perdita dei suoi genitori. (Massimo Recalcati, Repubblica, 18 novembre 2016, p. 39, Commenti).
- Derivato dal s. m. e agg. orfano con l’aggunta del suffisso -anza.
- Già attestato nella Stampa del 23 dicembre 1992, p. 39, Valbormida (R. P.).