REGNOLI, Oreste
REGNOLI, Oreste. – Nacque a Forlì il 23 febbraio 1816 da Nicola e da Luigia Neri.
La famiglia, originaria della Toscana, si era trasferita a Forlì nella seconda metà del XVIII secolo. Tanto il padre Nicola (1786-1849), quanto gli zii Baldassarre, Vincenzo e Valeriano, si distinsero come patrioti durante il periodo risorgimentale. Nicola, laureato in giurisprudenza e passato a Milano nel 1805 presso il ministero della Guerra del Regno d’Italia, divenne poi segretario del Municipio di Forlì, impiego che perse per aver seguito Gioacchino Murat nella primavera del 1815. Reintegrato nel ruolo, fu colpito dalla sentenza Rivarola del 31 agosto 1825 e condannato al «Precetto Politico-Morale di prim’Ordine ed alla sorveglianza della Polizia» (Sentenza pronunciata da S.E. Rev.ma il signor Cardinale Agostino Rivarola..., 1825, p. 19); era di nuovo segretario durante la rivoluzione del 1831, quando partecipò all’Assemblea bolognese delle Province Unite. Nicola ebbe cinque figli maschi, attivi nelle vicende del 1832 e del 1848-49. Fra loro, Oreste.
Studente nel locale ginnasio e appassionato di lettere classiche, nel 1835 si recò a Roma per studiare giurisprudenza, mantenendosi con lezioni e traduzioni; laureatosi brillantemente nel 1839, nel 1842 era già avvocato rotale. Nella primavera del 1848, mentre i fratelli Pietro e Lieto partivano per la guerra contro l’Austria, si dedicò a promuovere le idee patriottiche nel contesto della capitale. Eletto all’Assemblea costituente romana nel collegio plurinominale di Orvieto, partecipò attivamente alla vita della Repubblica, distinguendosi nella difesa di Roma e rimanendo a disposizione dell’Assemblea fino alla resa alle truppe francesi del generale Nicolas-Charles-Victor Oudinot (4 luglio 1849). Compromesso con il regime democratico, passò a Firenze, indi, sospettato di legami con Giuseppe Mazzini – che peraltro non furono particolarmente stretti – a Genova (1853), dove rimase a lungo.
Il periodo ligure fu ricco di esperienze: contribuì alla costituzione di un’associazione fra emigrati politici; assisté i malati di colera durante la terribile epidemia del 1854; collaborò a un periodico emancipazionista (La Donna, fra l’agosto del 1855 e l’ottobre del 1856: il tema della traduzione in termini giuridici dell’uguaglianza dei generi – di chiara ascendenza mazziniana – avrebbe rappresentato una peculiarità della sua opera di studioso anche successivamente).
Il 18 agosto 1859, sempre a Genova, pubblicò un saggio Sulla formazione di un nuovo codice civile italiano e sulla convenienza di alcune leggi transitorie, in cui formulò l’idea che le nuove norme avessero veramente «l’impronta dell’epoca nostra e fossero attuabili non in questa o in quella parte d’Italia, ma in Italia tutta» (Brini, 1898, p. 14). In conseguenza di ciò, nel novembre successivo Luigi Carlo Farini, dittatore dell’Emilia, lo volle – per un breve periodo – ministro di Grazia e Giustizia; il 25 ottobre 1859, inoltre, era stato nominato professore di diritto civile all’Università di Bologna. Durante la collaborazione con Farini, mise in atto la sua idea di fare tabula rasa delle antiche consuetudini preesistenti, ponendo le basi per un radicale ammodernamento in senso liberale della codificazione.
L’opera prestata a fianco del leader cavouriano romagnolo gli schiuse le porte del Parlamento: nella VII legislatura subalpina (marzo 1860) fu eletto nel collegio di Savignano di Romagna. Passò nell’VIII legislatura (1861-65) a S. Arcangelo; nella X (1867-70) fu rieletto nella sua Forlì e nella XIII (1876-80) divenne rappresentate del secondo collegio di Bologna, ma solo per poco, giacché fu escluso il 12 marzo 1877 in virtù del sorteggio cui erano sottoposti i pubblici insegnanti. Nel 1880, Benedetto Cairoli lo propose per il laticlavio, ma Regnoli rifiutò.
La sua attività politica si sviluppò nel corso del primo decennio unitario: schierato sempre a Sinistra, sostenne apertamente solo i governi di Urbano Rattazzi. Fra le sue battaglie più significative vi fu il progetto di legge, depositato l’8 maggio 1860, che prevedeva l’attribuzione della cittadinanza a quegli italiani, «non indegni per condanne da reati comuni» (Brini, 1898, p. 16) che, pur non appartenendo alle province del Regno, vi avessero eletto domicilio. Altrettanto netto fu il rigetto della pena di morte, già affermato a Roma nel 1849. Avversò la cessione di Nizza alla Francia e, un anno più tardi, espresse il diritto dei romani a essere liberi e quello di Roma a divenire la futura capitale d’Italia. Si trovò, in quel frangente, a contestare – con Italia e Roma. Considerazioni (Torino 1861) – le idee di Massimo d’Azeglio, che aveva pubblicato un opuscolo, Questioni urgenti (Firenze 1861), ostile alla rapida soluzione della questione romana.
Amico di Aurelio Saffi e dell’élite professionale di intonazione laica e massonica, divenne parte dell’establishment progressista felsineo, così radicato fra i professori dell’Alma Mater (fu a lungo consigliere comunale). La sua popolarità, in ambito bolognese, culminò nella seconda metà del decennio Sessanta: in un articolo pubblicato il 4 dicembre 1878 e intitolato Povero Regnoli!, l’organo progressista locale, La Patria, lo considerava espressione della pura cultura radicale.
Già parte della Sinistra ai tempi di Aspromonte e poi favorevole alla Convenzione di settembre del 1864 per lo spostamento della capitale a Firenze in previsione dell’auspicato ricongiungimento con Roma, sostenne l’impresa garibaldina del 1867, che, fra l’altro, confermava le sue idee sulla necessità di ‘armare la nazione’ nella prospettiva democratica del cittadino-soldato. Fu quindi tra i promotori dell’inchiesta sulle ferrovie meridionali e appoggiò quella sulla Regìa cointeressata dei tabacchi, mentre si oppose all’introduzione della tassa sul macinato nel 1868. Fu schierato sul fronte di coloro che ritenevano necessario allargare il suffragio – «ogni giorno i cittadini sono pur gravati di sempre più gravi oneri, perché dovranno essere in tanta parte privi del preziosissimo dei diritti politici?» (Brini, 1898, p. 23); che chiedevano la soppressione dell’‘anacronismo morale e politico’ scritto nell’articolo 1 dello Statuto (la religione di Stato); che avrebbero voluto devolvere a Comuni e Province parte dei beni degli ordini religiosi soppressi; che giudicavano con sospetto le guarentigie concesse al pontefice dopo il 20 settembre 1870 come un’indebita limitazione ‘diplomatica’ al principio di pura e semplice libertà della Chiesa in quanto associazione.
Partecipò a diverse commissioni parlamentari di codificazione e di legislazione. Nel suo studio ebbe quali collaboratori da Alessandro Fortis a Leonida Bissolati. Professore di diritto civile, dal 1872 divenne preside della facoltà di giurisprudenza. Fu presidente dell’ordine degli avvocati di Bologna.
La sua impostazione aveva per cardini la persona, la famiglia e la patria: non la proprietà, considerata un’estensione delle facoltà personali. In questa prospettiva, la visione di Regnoli si connetteva al più vasto impianto della codificazione postunitaria, in una prospettiva di integrazione con il diritto pubblico. Circa il diritto di famiglia, da Regnoli prediletto, la scuola bolognese insisté sul riconoscimento dei diritti della donna: egli, che si era battuto nel 1861 per il matrimonio civile, sarebbe poi stato sempre fautore del divorzio: «vada di pari alla rigenerazione e alla ricostituzione dell’Italia la riabilitazione della donna» (ibid., p. 35).
Nel 1875 sposò Maddalena dei marchesi Salvago, vedova Loero, che scomparve nel 1882; al figliastro Attilio (1860-1935), avvocato e poi deputato, rimase sempre molto legato.
Morì a Bologna il 20 febbraio 1896.
Fu solennemente ricordato dall’Alma Mater e dalla città (una lapide dettata da Giosue Carducci fu poi apposta il 13 novembre 1897 sulla facciata della casa di via S. Stefano). Il 12 giugno 1903, anniversario della caduta del governo pontificio, il rettore Vittorio Puntoni volle a lui dedicati un busto, opera di Diego Sarti, e una nuova lapide, tuttora conservati nel Rettorato di Bologna.
Opere. Oltre ai testi citati, si segnalano: Sull’attuazione del Codice civile sardo nelle Romagne, Genova 1860; Scritti editi ed inediti di diritto civile, raccolti e pubblicati per cura dell’avvocato Attilio Loero, I, Bologna 1900. Per le pubblicazioni minori e le lezioni, si veda: G. Brini, Di O. R. e del momento odierno del Diritto civile. Per l’inaugurazione degli studi nell’Università di Bologna. Discorso, Bologna 1898, pp. 46-48.
Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Archivio O. R.; Archivio storico dell’Università di Bologna, Pos. 4/a, fasc. 133, O. R.; Forlì, Biblioteca comunale Aurelio Saffi, Raccolte Piancastelli, Carte Romagna, b. 385, ad nomen; necr., O. R., in La Tribuna, 22 febbraio 1896; Il Resto del Carlino, 23 febbraio 1896. Inoltre: Sentenza pronunciata da S. E. Rev.ma il signor Cardinale Agostino Rivarola Legato a latere della Città e Provincia di Ravenna Il giorno 31 agosto 1825 sugli affari politici, Ravenna 1825, pp. 18 s.; O. R., in La Patria, 18-19 giugno 1881; G. Brini, Di O. R. e del momento odierno del Diritto civile, cit.; Regia Università di Bologna, Proposta del Consiglio accademico per la collocazione di un busto del professore O. R. nella sede dell’Università, Bologna 1902; Indagini storiche. La data di nascita di O. R., in Il Corriere padano, 12 maggio 1935; A. Mambelli, Uomini e famiglie illustri forlivesi, Forlì 1976, pp. 187-190.