MATTIROLO, Oreste
– Nacque a Torino il 7 dic. 1856 da Gerolamo, avvocato, e da Giuseppina Colli.
Iscrittosi a Torino alla facoltà di scienze naturali nel 1872, seguì il corso di botanica di G.B. Delponte, a sua volta affiancato da G. Gibelli, un medico appassionato di flora alpina che coltivava nell’orto botanico torinese del Valentino. Laureatosi nel 1876, completò i suoi studi con la laurea in medicina (1879), secondo la tradizione botanica torinese. Si trasferì poi all’Università di Strasburgo, dove frequentò per tre semestri i corsi della scuola di H.A. De Bary, morfologo delle Fanerogame e fondatore della micologia sperimentale, cui deve attribuirsi la specifica preparazione e il particolare interesse del M. a questi temi.
Applicatosi allo studio delle specie botaniche presenti nelle ricche collezioni di quella sede, in particolare di una tallofita tropicale di incerta attribuzione, la Cora Pavonia Fries, il M. fece la sua prima importante scoperta, giungendo a identificare un gruppo nuovo di licheni il cui elemento fungino appartiene ai Basidiomiceti. Confermava così, ampliandone l’area d’appartenenza, la tesi ancora dibattuta della natura simbiotica dei licheni.
Tornato a Torino nel 1881, riprese il lavoro nell’istituto di botanica, dove divenne assistente prima di G. Arcangeli e poi di G. Gibelli, allievo di G. Gasparrini. Conseguita la libera docenza in botanica nel 1882 e svolto un incarico d’insegnamento nella facoltà medica, ottenne la cattedra a Bologna (1893) e poi a Firenze (1898), finché poté tornare nell’Università torinese (1900) come ordinario di botanica; qui si unì alla scuola dei vecchi allievi di Gibelli, come S. Belli, L. Buscalioni e altri anche più giovani, che in seguito illustrarono valorosamente gli studi micologici. Insieme con la cattedra ebbe la direzione dell’orto botanico torinese, fondato nel 1729 da Vittorio Amedeo II, le cui collezioni scrupolosamente conservò e ampliò; ne scrisse più tardi una Cronistoria dell’orto botanico (Valentino) della R. Università di Torino 1729-1929 (Torino 1929), che seguiva a distanza di tre decenni una nota su Il laboratorio per l’anatomia e fisiologia dei vegetali annesso all’orto botanico (Firenze 1899).
Il M. ottenne anche la direzione della Scuola di farmacia, la presidenza della Società botanica italiana (1918-20) e quella dell’Accademia di agricoltura di Torino (dal 1908 alla morte), cui dedicò un interesse particolare che si concretò in un’ampia Cronistoria della R. Accademia di agricoltura di Torino (Torino 1939).
Alla sua attività multiforme si devono originali ricerche di biologia vegetale, condotte sempre secondo il metodo sperimentale con l’interpretazione delle forme e funzioni osservate, abbandonando il tipo di lavoro puramente descrittivo e catalogatorio che ancora appesantiva gli studi botanici. Formatosi alla scuola micologica di Gibelli, il M. ne applicò lo stile a una ricerca sulla biologia e fisiologia dei funghi, sui processi evolutivi e sull’influenza delle condizioni ambientali sullo sviluppo.
Si cimentò in particolare nello studio sperimentale delle micorrize, formazioni che il maestro aveva scoperto per primo, pur non riconoscendone l’importanza. Da tali ricerche, dopo una pubblicazione del 1887 (Sul parassitismo dei tartufi e sulla questione delle mycorhizae, in Malpighia, I [1887], pp. 359-369), derivarono quelle sui funghi ipogei, che rientravano nel più vasto studio della sistematica micologica cui dette contributi notevoli, lavorando anche con L. Buscalioni al polimorfismo degli Ascomiceti. Con la competenza, ormai da tutti riconosciuta, nel campo dei funghi ipogei, e in particolare delle Tuberacee, si occupò negli anni maturi delle forme proprie d’altre regioni italiane (Romagna, Sicilia, Toscana, Sardegna), di Stati europei, come il Portogallo e la Svizzera, ma anche del Congo, dell’Uruguay, della Libia e dell’America settentrionale. La sua attività nel settore si concluse nel 1942 con la ricognizione dei materiali autoptici rimasti incompleti nell’analoga opera di C. Vittadini.
Pubblicò su questo tema circa una quarantina di lavori, alcuni fondamentali sotto l’aspetto biologico, sistematico e descrittivo. Volle quindi raccogliere in un’opera unica tutto il materiale accumulato, ma non riuscì che a pubblicarne il prodromo, una monografia dal titolo I funghi ipogei italiani raccolti da O. Beccari, L. Calvesi, A. Carestia, V. Cesati, P.A. Saccardo (in Memorie della R. Acc. delle scienze di Torino, cl. di scienze fisiche, s. 2, LIII [1903], pp. 331-366). Si tratta di una monografia con tavole a colori e con la descrizione critica di 55 specie di funghi di cui cinque nuove, comprese in 22 generi delle famiglie delle Imenogasteracee, Licoperdacee, Tuberacee, dell’ordine degli Imenomiceti e dei Gasteromiceti.
Il nome del M. è legato indissolubilmente alla scoperta degli Imenolicheni, un gruppo vegetale che, se pure di piccola entità, ha tuttavia un ruolo importante per l’attribuzione sistematica delle forme del regno vegetale. Si prodigò a diffondere la tartuficoltura (Proposte intese a promuovere la coltivazione dei tartufi in Italia, Torino 1908), fra l’altro impiantando una tartufaia artificiale a Spoleto, ottenuta nelle piantagioni di quercia accoppiando il micelio del fungo con i semi di questo albero. Utilizzava così un metodo basato sul fenomeno di simbiosi tra le radici d’alcune Fanerogame arboree e le ife del fungo, la micorrizia, oggetto dei suoi primi studi sistematici. Al versante teorico il M. unì infatti un’ampia ricerca di tipo applicativo, fondamentalmente riferibile a due argomenti: le indagini sui tartufi, che si potevano affiancare alla pratica del rimboschimento (La tartuficoltura e il rimboschimento, Torino 1928) e quelle sulle erbe spontanee alimentari.
Nell’intento di suggerire, per eventuali periodi di carestia durante la prima guerra mondiale, lo sfruttamento di fonti alimentari facilmente accessibili, indagò e mostrò le proprietà nutritive di Helianthus decapetalus, di Epilobium tetragonum, di cui sono commestibili i rizomi, di Chenopodium amaranticolor, una sorta di spinacio, di Muscari comosum (dai bulbi noti come «lampascioni»). Le notizie in questo campo furono raccolte in Phytoalimurgia pedemontana (ibid. 1918), un censimento delle specie alimentari della flora spontanea del Piemonte arricchito da una bibliografia di particolare interesse, perché offre l’opportunità d’un commento cronologico dal XIV al XIX secolo.
Agli studi fondamentali di micologia il M. affiancò ricerche sulla fisiologia vegetale che collegavano l’interpretazione fisiologica alla descrizione morfologico-anatomica, come quelle condotte in collaborazione con Buscalioni, sulla biologia degli azobatteri delle Leguminose, sulla struttura e sviluppo dei tegumenti seminali delle Leguminose e delle Tigliacee (Si contengono batteri nei tubercoli radicali delle Leguminose?, in Malpighia, I [1887], pp. 464-474, e Sulla struttura degli spazi intercellullari nei tegumenti seminali delle Papilionacee, ibid., III [1889] pp. 143-159); in quest’ultimo lavoro mise in luce aspetti strutturali come la «linea lucida» nelle cellule malpighiane, il «chilario» e i «tubercoli gemini», formazioni delle quali investigò e definì la funzione.
Non trascurò ricerche floristiche e fitogeografiche, promovendo l’esplorazione della vegetazione piemontese di cui coordinò poi i risultati e dando piena collaborazione alla ricognizione scientifica del Parco del Gran Paradiso, del Moncenisio e del Monviso.
Il M. s’impegnò anche nella ricostruzione biografica di botanici italiani e stranieri, con commemorazioni ricche di riferimenti precisi e documentati. Pubblicò anche un volume su L’opera botanica di Ulisse Aldrovandi: 1549-1605, (Bologna 1897), oltre a lavori minori su di lui, e una monografia sull’attività di C. Cavour come organizzatore di impianti di bonifica e irrigazione, e per le sue benemerenze nella promozione di sperimentazioni sulla crittogama dell’uva (Il conte Camillo di Cavour e la R. Accademia di agricoltura di Torino…, Torino 1931). Si interessò inoltre di ricerche archeologiche, con particolare riferimento a soggetti botanici: i «mattoni carpologici» in antiche costruzioni piemontesi e le sculture a soggetto botanico degli stalli dell’abbazia di Chiesi. Un riconoscimento a questi interessi gli venne dalla carica di presidente della Società di archeologia del Piemonte. Tra le opere del M. sono da ricordare ancora: Gli autoptici di Carlo Vittadini e la loro importanza nello studio della idnologia (Milano 1907); I funghi ipogei della Liguria (Genova 1911).
Partecipò a commissioni statali e fu membro dell’Accademia dei XL (dal 1918) e di quella dei Lincei (socio corrispondente dal 1893, nazionale dal 1901). Nominato nel 1939 senatore per meriti scientifici, dal 1940 al 1943 fu membro della Commissione per l’agricoltura del Senato. Nel novembre 1945 l’Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo respinse la richiesta di decadenza dalla carica nei suoi confronti.
Il M. morì a Torino il 3 dic. 1947. Dalla moglie Maria Stuardi aveva avuto tre figlie.
Fonti e Bibl.: Onoranze a O. M., Torino 1929; A. Béguinot, Botanica, Milano 1938, pp. 11, 17 s., 221, 272; G. Negri, O. M., in Annali di botanica, 1947, vol. 23, pp. 1-11; C. Cappelletti, O. M., in Atti e memorie dell’Acc. di storia dell’arte sanitaria, s. 2, XIV (1948), pp. 31-33; G. Gola, Commemorazione del socio O. M., in Atti dell’Acc. nazionale dei Lincei. Rendiconti, cl. di scienze fisiche, matematiche e naturali, s. 8, V (1948), 6, pp. 469-472; G. Rodio, Rievocazione, in Boll. dell’Ist. botanico dell’Università di Catania, I (1954), pp. 190 s.; G. Lazzari, Storia della micologia italiana, Trento 1973, pp. 305-308.