BARATIERI, Oreste
Nacque a Condino in Val Bona (Trento) il 13 nov. 1841, Poco più che diciottenne, si imbarcò con Garibaldi per l'impresa dei Mille; promosso sottotenente subito dopo lo sbarco di Marsala, partecipò a tutta la spedizione del 1860 in Sicilia e nell'Italia meridionale. Nell'esercito garibaldino diventò presto capitano, e con tale grado si distinse nei combattimenti dell'ottobre 1860 presso Capua, meritandosi una medaglia d'argento al valor militare. Con il grado di capitano di fanteria fece la campagna del 1866 fra i volontari garibaldini, guadagnandosi negli scontri di Custoza una medaglia di bronzo. Nel 1872 gli era riconosciuto il grado di capitano nell'esercito regolare, in seno al quale proseguì la propria carriera. Nel 1874 fece parte di una spedizione scientifica in Tunisia. Promosso colonnello nel 1885, ebbe il comando del 4° reggimento bersaglieri, e con tale grado prese parte alle campagne d'Africa in Eritrea del 1887-88, 1890 e 1891.
Nell'autunno 1887 e nei primi mesi del 1888 il B. partecipò alla spedizione comandata dal generale Asinari di San Marzano, che aveva l'obiettivo di compiere una puntata dimostrativa verso l'interno, come risposta all'episodio di Dogali (26 genn. 1887), e che si concluse ai primi di aprile con la ritirata abissina, senza scontri in campo aperto, dopo che Italiani ed Etiopici erano rimasti a fronteggiarsi qualche giorno minacciosamente. Il B. restò a capo di un gruppo di battaglioni, poi, il 2 giugno 1890, mentre era governatore della colonia il generale Gandolfi, fu nominato comandante in seconda del corpo di spedizione italiano in Eritrea e comandante della piazza di Massaua: nell'ottobre 1890 divenne comandante della zona di Cheren. Importanti avvenimenti si erano nel frattempo prodotti in Africa, per la morte in battaglia contro i Dervisci dell'imperatore etiopico Giovanni, cui era succeduto Menelik II e per il trattato di Uccialli e l'espansione dell'occupazione italiana in Eritrea verso l'interno, consacrata con la denominazione di "Colonia Eritrea" data, il 10 genn. 1890, ai possessi africani riuniti.
Designato nel 1891 comandante in capo delle truppe italiane in Africa, fin dall'inizio del suo mandato manifestò diffidenza nei riguardi della politica di Menelik verso l'Italia. Rientrato in Italia nel dicembre 1891, ritornò nel febbraio 1892 in Eritrea, con la carica di governatore della colonia. Cominciò nello stesso 1892 il contrasto tra il B. e L. Franchetti, nominato consigliere coloniale per l'agricoltura e il commercio, per questioni di competenza, e per una diversa visione del problema dell'indemaniazione dei territori indigeni, che per il B. doveva favorire l'iniziativa privata e giovare alle casse dello Stato, mentre per il Franchetti doveva avviare un processo di colonizzazione contadina, con l'aiuto dello Stato. Il contrasto sarebbe terminato nel 1895 con la vittoria delle idee del Baratieri. Nel luglio 1893 questi fu promosso maggior generale.
Caduto a fine novembre 1893 il primo ministero Giolitti in seguito allo scandalo della Banca romana, lo Zanardelli, cui era stato affidato l'incarico di costituire il nuovo govemo, chiamò il B. a farne parte in qualità di ministro degli Esteri, suscitando così, poiché il B. era un irredento, le proteste austriache, in seguito alle quali il B. rifiutò il portafoglio e lo Zanardelli l'incarico. Salito al potere Crispi il 15 dicembre successivo, il B. fu rimandato in Eritrea come govematore, con l'istruzione, almeno in un primo momento, di seguire una politica di raccoglimento, politica non condivisa dallo stesso B., che non mancò, tornando in Eritrea, di dare prova di attivismo e di capacità organizzativa.
Favorì l'incremento degli scambi commerciali con i paesi dell'entroterra, procedette all'indemaniazione di molti terreni, fece costruire strade d'importanza strategica, e cercò di valorizzare il triangolo Saati-Asmara-Cheren. Al tempo stesso si manteneva in posizione di vigilanza nei confronti degli Etiopici e dei Dervisci, nella speranza che una favorevole congiuntura politico-militare gli permettesse di ampliare il perimetro coloniale eritreo dell'Italia. Intanto, il nuovo imperatore Menelik II aveva denunciato il trattato di Uccialli e pubblicamente respinto la pretesa di un protettorato italiano sull'Etiopia; Crispi ostentava invece di ritenere che il trattato fosse sempre in vigore, mentre altri elementi venivano ad aggiungersi a questa divergenza di fondo per preparare il clima della vicina guerra italo-abissina.
Il B., dopo che il 21 dic. 1893 il colonnello Arimondi aveva sconfitto i Dervisci ad Agordat, attaccò improvvisamente Cassala, nel Sudan, vicino al confine, sostenendo di dover prevenire una massiccia offensiva derviscia attesa per l'autunno. Il B. occupò facilmente Cassala, ma l'impresa rimase sterile di risultati, anche se contribuì a risvegliare in Crispi ambizioni coloniali e a porre in stato di preallarme Menelik. L'impresa fu esageratamente glorificata in Italia, e al B. fu conferita la croce di commendatore dell'Ordine militare di Savoia.
Dopo Cassala, la situazione andò precipitando verso la guerra, dapprima limitata a spedizioni contro i ras dei territori confinanti con la parte di Eritrea occupata dagli Italiani, poi contro tutto l'impero etiopico. L'inizio della campagna nel Tigrè, contro le forze di ras Mangascià, che era il signore della regione, fu favorevole al B.: egli riportò alcune vittorie non decisive a Coatit (13-14 genn. 1895) e a Senafè (15 genn. 1895), le quali aprirono tuttavia alle forze italiane la via dell'interno. Il B., sperando di cogliere l'occasione favorevole per ampliare la colonia critrea, passava nel marzo il confine e procedeva all'occupazione di Adigrat, Macallè, Adua e Axum: pretesto per l'azione militare era stata la dichiarazione di annessione dell'Agamè all'Eritrea, dopo che un vassallo del fuggiasco ras Mangacià se ne era proclamato sovrano in nome dell'Italia.
Tuttavia, dopo Coatit e Senafè il B. aveva perso un tempo prezioso per risolvere, in senso difensivo o in senso offensivo, la situazione a suo vantaggio. Dopo l'occupazione di Adua, poi, il governo italiano, che aveva acconsentito, se non desiderato, che il B. superasse i confini della colonia, insisteva per ragioni di politica interna, dovute al contrasto che opponeva le aspirazioni africane di Crispi alla politica di economie del Sonnino - perché Adigrat restasse l'estrema propaggine della colonia e venisse pertanto evacuata Adua.
L'avanzata del B., che era stato promosso tenente generale nel marzo, decideva intanto l'imperatore Menelik a prepararsi per la guerra contro l'Italia: vane restarono a questo punto le richieste di rinforzi del B., che giunse a offrire le sue dimissioni, e che fu costretto a tornare, nel corso dell'estate, in Italia, dove fu accolto da trionfatore, senza tuttavia che il suo viaggio portasse a una precisa definizione della politica italiana in Africa. Quando, tornato dall'Italia, nell'ottobre il B. attaccò di nuovo nel Tigrè e riportò l'effimero successo di Debra Ailà (9 ottobre), la mobilitazione generale dell'impero etiopico era già stata proclamata da tempo.
La disparità di numero tra le forze a disposizione del B. e quelle etiopiche era enorme: né, nel corso degli ultimi mesi del 1895, fu possibile tentare di colmarla, dato che continuarono a restare inascoltate dal governo le sempre pìù pressanti richieste di aiuti del Baratieri. Così, alla vigilia del conflitto, le possibilità militari italiane erano relativamente modeste.
Si manifestava intanto un contrasto fra il B., governatore della colonia, e il generale Arimondi, comandante delle truppe, il quale ultimo insisteva perché si sfruttasse il successo di Debra Ailà e si assumesse l'offensiva, mentre il B. si preoccupava essenzialmente di preparare un fronte difendibile dall'investimento dell'esercito imperiale abissino. Dopo che, per l'intervento del Crispi, le dimissioni presentate dall'Arimondi non furono accolte, il dissidio fra i due si rivelò nuovamente nel dicembre 1895. In quella occasione, avendo l'Arimondi travisato gli ordini del B., poco più di duemila uomini al comando del maggiore Toselli, attaccati sull'Amba Alagi, dove si erano attestati, da forze soverchianti guidate da ras Maconnen, furono lasciati massacrare dopo sette ore di battaglia.
All'annuncio della sconfitta Crispi riconfermò la sua fiducia nel B., e fece stanziare una notevole somma per vendicare lo scacco dell'Amba Alagi; nel paese però si accentuavano i dissensi sull'opportunità di una politica di conquiste coloniali. In Eritrea, intanto, si acuivano le divergenze fra il B., che voleva ormai una guerra puramente difensiva, e l'Arimondi, che persisteva nel ritenere necessario prendere l'offensiva; il B., poi, intavolava trattative di pace con ras Maconnen e Menelik, destinate a fallire, perché da parte abissina si voleva il rientro delle truppe italiane nei vecchi confini della colonia e da parte italiana s'insisteva per mantenere i territori conquistati.
Frattanto le truppe di ras Maconnen, e poi anche quelle di Menelik, assediavano, ai primi di dicembre 1895, il forte di Macallé, dove la resistenza del maggiore Galliano si esaurì il 20 genn. 1896 senza che le forze del B., ritiratesi ad Adigrat, intervenissero mai in soccorso del forte.
La presenza del grande esercito di Menelik indusse, inoltre, numerosi incerti e insicuri amici degli Italiani a schierarsi apertamente con l'imperatore: i capi disertori provocarono rivolte e guerriglia nell'Agamé, e la situazione delle truppe italiane divenne sempre più dffficile; le trattative di pace, riprese, non portarono ad alcun risultato. Nel governo italiano prevaleva intanto la linea Sonnino-Saracco, contraria ad assumersi l'onere di una lunga e costosa campagna militare: al B. mancarono così i mezzi per fronteggiare un nemico assai più forte. Il Crispi tuttavia lo sollecitava a ottenere, e presto, un successo di prestigio: il 25 febbraio gli inviava un telegramma in cui parlava, a proposito delle operazioni belliche del B., di "tisi militare"; in più, si provvedeva a designare nel generale Baldissera il successore del Baratieri.
Il 28 febbr. 1896, nel corso della riunione tenuta dai capi militari italiani a Saurià, presso Adua, prevalse la temeraria tesi offensiva dell'Arimondi e il B., seppure a essa contrario, finì per accettarla. L'ordine di operazioni del B., distribuito il 29 febbraio, era insufficiente allo scopo, in quanto non indicava con chiarezza le direttive da seguire nel caso che i primi obiettivi fossero stati raggiunti e nel caso che si rendesse necessaria una ritirata. Alle pecche dei piani del B. si aggiunse poi sul terreno della battaglia, avvenuta ad Adua il 1° marzo 1896, la mancanza di coordinamento tra i movimenti delle colonne, che portò le unità italiane a combattere successivamente quasi isolate.
Fu distrutta dapprima la brigata Albertone, malgrado che a un certo punto il fuoco dell'artiglieria determinasse un certo sbandamento in campo abissino, poi i movimenti dei reparti italiani aprirono nuove falle nello schieramento, e finalmente la grande superiorità numerica degli Etiopici ebbe modo di farsi valere. Isolati, contrattacchi di piccoli gruppi italiani riuscirono dapprima a contenere la pressione della grande ondata attaccante abissina, poi, iniziatosi il ripiegamento e lo sbandamento delle brigate Ellena ed Arimondi, la ritirata si fece confusa e tragica, specialmente nella valle di Iehà, dove cariche della cavalleria etiopica causarono gravi perdite alle forze italiane in ripiegamento. Sulla destra, anche la colonna del generale Dabormida, che aveva mantenuto un atteggiamento offensivo, seppur isolatamente e non nel contesto di una ordinata manovra italiana, dovette ripiegare, e lo stesso Dabormida cadde durante la ritirata: tuttavia le sue truppe, dopo essere state completamente accerchiate, riuscirono a rompere il fronte nemico e a riprendere il movimento di ritirata. In complesso, gli Italiani perdettero, fra morti e prigionieri, circa novemila uomini delle truppe nazionali e coloniali indigene, mentre gli Abissini perdettero intorno a quindicimila uomini.
Il disastro per l'esercito italiano fu grave; la perdita di prestigio, enorme. Gravi e profonde furono le reazioni in Italia, e tali da portare alle dimissioni di Crispi. Il successore Di Rudinì lasciò continuare la guerra al generale Baldissera, mentre il B. veniva deferito, nel giugno 1896, al tribunale militare di Asmara per omissioni, negligenze, abbandono di comando in guerra. Prosciolto per inesistenza di reato, il B. fu collocato a riposo su sua domanda, nello stesso 1896, e abbandonò la carriera militare. Ritiratosi nel Trentino, visse soprattutto ad Arco (Trento), occupandosi di studi e di beneficenza, e redigendo le proprie Memorie d'Africa (1892-1896), Torino 1898, in cui, con dovizia di particolari, ricostruiva la storia della sua permanenza in Africa.
Il B. fu deputato nelle legislature XIII (1876-1880), XIV (1880-1882), XV (1882-1886), XVI (1886-1890), XVII (1890-1892) e XVIII (1892-1895), schierandosi con la Sinistra. Mori a Sterzing (Vipiteno), in provincia di Bolzano, il 9 ag. 1901. Con lui scompariva l'ultimo capo militare italiano che provenisse dall'esercito irregolare di Garibaldi.
Fra le opere di storia militare, di tattica e di geografia del B., che fu anche, per qualche tempo, direttore della Rivista militare italiana, si ricordano: Da Weissenburg a Metz, Cagliari 1870; La situazione militare della Svezia, Roma 1872; Evoluzione delle truppe a piedi in Austria e Prussia, ibid. 1873; I sottufficiali in Prussia, ibid. 1873; La guerra civile di Spagna (1873-1874), Firenze 1875; La leggenda dei Fabi, saggio di critica militare, Roma 1886; Itinerario da Keren a Kassala, ibid. 1892; La regione fra l'Anseba e il Barca, ibid. 1892.
Fonti e Bibl.: F. A. Foperti, La battaglia di Adua,in Rass. naz., XVIII(1896), pp. 363 ss.; U. Urtaller, La procedura nel processo del gen. B., ibid., pp. 578-591; A. Valori, Ancora verità e leggende sulla battaglia di Adua, in Nuova riv. stor., XIII(1929), pp. 613-622; E. Bellavita, La battaglia di Adua, ibid., XIII(1929), pp. 45-71; Id., Adua, Genova 1931, passim; Id., Ancora qualche documento in difesa del generale O. B., in Nuova riv. stor., XVI(1932), pp. 68-82; Id., Ancora per la riabilitazione del generale B., ibid., XVII(1933), pp. 323-338; Ministero della Guerra, Storia militare della colonia Eritrea, I, Roma 1935, pp. 265269; II, ibid. 1935, passim; C. Conti Rossini, Italia ed Etiopia dal trattato d'Uccialli alla battaglia di Adua, Roma 1935, passim; R. Rizzi, Cartegzio di O. B., Trento 1936; R. Ciasca, Storia coloniale dell'Italia contemporanea, Milano 1938, passim; L. Marchetti, O. B. e la conquista di Cassala. Due lettere del generale, in Arch., stor. lombardo, n. s., V (1940), pp. 277-279; C. Rossetti, Quaranta lettere inedite di O. B. ad Antonio Cecchi, in Gliannali dell'Africa italiana, III, 4 (1940), pp. 349-375; B. Rizzi, Tre inediti di O. B., in Bollett. del Museo trentino del Risorgimento, V (1955), pp. 12 s.; R. Battaglia, La prima guerra d'Africa, Torino 1958, passim (con ampia bibl.); R. Rainero, I primi tentativi di colonizzazione agricola e di popolamento dell'Eritrea (1890-1895), Milano 1960, pp. 114-142; C. Bellò, Lettere a mons. Bonomelli, Roma 1961, pp. 185-191 (pubblica due lettere del B. al Bonomelli). Ministero degli Affari Esteri, L'Italia in Africa, I, L'opera dell'esercito, II, 1, Africa Orientale (1868-1934), Roma 1962, passim; Enciclopedia militare, II, p. 58.