ORDONO de ROSALES, Gaspare
ORDOÑO de ROSALES, Gaspare. – Nacque a Milano il 10 agosto 1802 da Luigi, VII marchese di Castelleone, e dalla marchesa Maria Po’ di Nerviano.
Gli Ordoño de Rosales appartenevano a un’illustre casata della vecchia Castiglia (il nome deriva dalla località di cui erano i signori), alcuni membri della quale erano giunti in Italia nel XVII secolo al seguito del Duca d’Alba, installandosi a Milano e, come feudatari, a Vailate. Nel 1815, al ritorno degli austriaci, Luigi, membro dell’aristocrazia emarginata durante gli anni napoleonici, aveva beneficiato della nomina a ciambellano e nel 1816 della conferma della nobiltà.
Alla morte del padre avvenuta nel 1820, Gaspare, educato al collegio gesuitico dei nobili di Urbino, poi al liceo di Porta Nuova di Milano, ereditò l’intero suo patrimonio: digiuno fin lì degli affari, subentrò alla madre come primo deputato dell’estimo di Buscate, centro delle proprietà di famiglia. Esponente di spicco della più giovane e irrequieta aristocrazia milanese, nel dicembre 1823 si rese protagonista di un duello con il luogotenente degli ussari conte Eduardo Clam-Gallas, a seguito di un banale diverbio per l’occupazione di un palco al teatro alla Scala. L’amore, ricambiato, per la contessina Maria Cigalini, giovanissima e infelice sposa del marchese Antonio Dal Verme, e la fuga della coppia nell’agosto 1826 a Buscate, furono la prima importante sfida, tra privato e pubblico, recata in pieno registro romantico alla società e alla polizia milanese.
Dopo la separazione di Cigalini dal marito e la nascita della prima figlia Clotilde il 3 agosto 1827, all’inizio degli anni Trenta, probabilmente con l’intermediazione di Vitale Albera, Rosales entrò in contatto con Giuseppe Mazzini e aderì alla Giovine Italia, divenendone uno dei principali finanziatori e referenti per la Lombardia. Arrestato il 17 maggio 1832 e condotto nelle carceri di Porta Nuova, subì perquisizioni nella villa di Buscate (dove un fido cocchiere provvide a far bruciare per tempo le carte più compromettenti) e nella casa di Milano. Venne scarcerato in ottobre per insufficienza di prove, ma con l’obbligo di non lasciare Milano. Ottenuto, tuttavia, per motivi di salute il permesso di trasferirsi a Buscate, il 17 giugno 1833 realizzò la vendita di tutte le sue proprietà e passò in Svizzera, scampando così all’ondata di arresti e processi a carico della rete lombarda della Giovine Italia. Il 24 maggio 1835 ottenne la cittadinanza elvetica (nel frattempo, aveva perso la figlia Vittoria, di poco più di un anno, rimasta in Lombardia) e, stabilitosi ad Andeer, nel cantone dei Grigioni, fondò una società commerciale per la valorizzazione e la gestione delle ferriere di Suffers. Nel 1837, svolto il servizio militare, fu nominato luogotenente di cavalleria. In quello stesso anno, a Bellinzona, nacque il suo terzogenito Luigi.
Amico intimo e fidato di Mazzini, divenne il destinatario delle richieste più ardite e degli sfoghi più amari. Fu probabilmente il principale finanziatore della sfortunata spedizione per l’invasione della Savoia, nel febbraio 1834, alla quale prese parte guidando la colonna bloccata a Leissaud: il suo contributo alla causa – 61.000 franchi – è attestato da una dichiarazione della Congrega centrale della Giovine Italia datata 19 febbraio 1834. Nonostante lo scoramento per il fallimento dell’impresa, con il finto nome di conte Ricci partecipò alla riunione fondativa della Giovine Europa e mantenne per anni dalla Svizzera, nella casa di Rosenek presso Losanna, lucidi e intensi contatti con il milieu degli esuli mazziniani.
«Tre anni di delusione t’affogano?», volle scrivergli Mazzini (1898, p. 25) dopo l’insuccesso in Savoia «tu, me, noi, quando abbiamo accettato quei sogni, non avevamo dietro di noi tre secoli di delusione, di servaggio e di inerzia? Cos’è mutato? – la santità dei principî non muta […]. Poi non si tratta di riescire, o no: si tratta di avere una fede, predicarla e morire […]. Dio mio! Tu vali tutti loro, più una generazione come essi sono» .
Presentata il 30 gennaio 1839 da Lugano la richiesta all’imperatore di fruire dell’amnistia per i profughi politici concessa nel settembre 1838, Rosales ottenne da Metternich il permesso di rientrare in Lombardia, ma restò sempre sotto stretta sorveglianza della polizia. Mazzini, solitamente ostile a coloro che si ‘piegavano’ al rientro, non gli serbò, tuttavia, rancore per quella sofferta decisione. Nel gennaio 1848 venne arrestato nell’ambito delle manifestazioni legate allo sciopero del fumo; trasferito nella fortezza di Leibach (Lubiana), liberato con gli altri prigionieri a seguito della rivoluzione viennese del marzo 1848, si impegnò come volontario nella prima guerra di indipendenza: fu a Vicenza agli ordini di Giovanni Durando, poi a Bologna, infine a Milano per organizzare la guardia nazionale negli ultimi giorni prima della resa della città, il 6 agosto. Passato quindi in Piemonte, poi in Toscana con il grado di capitano del battaglione italiano, tentò di entrare a Roma da Civitavecchia ma, respinto dai francesi, tornò in Piemonte e di lì in Svizzera, dedicandosi quasi senza interruzione fino al 1859 all’attività imprenditoriale avviata negli anni Trenta, ma restando in contatto con i principali mazziniani dell’esilio e partecipando alla sottoscrizione del Prestito nazionale italiano.
Ancora nell’ottobre 1852 Mazzini (1898, p. 225) ricorreva a lui come nei giorni della prima Giovine Italia: «Rosales mio, tu mi sei stato amico. Lo sei ancora? […] prega; insulta; ma fa denaro coi tuoi amici». Le sue riserve nei confronti della strategia insurrezionale predicata da Mazzini, emerse fin lì occasionalmente senza tuttavia attenuarne la dedizione morale e materiale alla causa, si accentuarono dopo il fallimento del moto milanese del 6 febbraio 1853, esito diffuso all’interno della cerchia più stretta dei militanti della prim’ora di fronte all’irrigidimento delle posizioni del leader e, come nel caso di Rosales, di fronte al maturare di un orientamento fusionista e filosabaudo. Nonostante ciò, tra il 1854 e il 1856, nell’ambito della strategia antimazziniana condotta dal conte Camillo Benso di Cavour, gli fu proibito di entrare in Piemonte. Allo scoppio della seconda guerra di indipendenza accompagnò il figlio Luigi ad arruolarsi e lo seguì come un’ombra nella penisola, quasi passandogli il testimone della militanza antiaustriaca, ora possibile sul campo di battaglia, e preludio di una brillante carriera militare nell’esercito regio.
La carica di sindaco di Lomazzo, ricoperta da Rosales quasi ininterrottamente dal 1866 al 1885, finì per essere una compiuta ‘normalizzazione’ su scala locale dello spirito d’avventura e d’intraprendenza che aveva caratterizzato gli anni giovanili e della maturità, quando la resistenza all’Austria aveva rappresentato un condiviso obiettivo di mobilitazione.
L’amata Maria, sposata nel 1862 alla morte di Dal Verme, morì il 3 ottobre 1878.
La nomina, nel 1884, a cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro parve ad alcuni ben piccola ricompensa per un uomo che aveva speso «la vita e le sostanze per l’indipendenza d’Italia» e che invece era «un dimenticato» (dal polemico necrologio apparso sull’Illustrazione italiana il 30 gennaio 1887).
Morì a Como, dopo penosa malattia, nella notte del 12 gennaio 1887 e fu sepolto a Bernate.
Numerosi furono i necrologi che sulla stampa nazionale, a seconda degli orientamenti e sull’onda dei discorsi funebri pronunciati da Cesare Moia – precettore svizzero dei nipoti Ramiro ed Emanuele – e dal conte Giovanni Giovio, lo indicarono come il modello del patriota generoso non adeguatamente ricompensato dalla patria, o del repubblicano convertito all’ordine monarchico, icona ispiratrice per le nuove generazioni: a segnare così, con la sua vita dalle molte stagioni, le letture plurime della vicenda risorgimentale offerte dalla scomparsa dei membri della prima generazione di patrioti.
Fonti e Bibl.: Milano, Arch. gentilizio privato della famiglia Ordoño de Rosales Cigalini; Arch. di Stato di Milano, Araldica p. a., cart. 100; Presidenza di Governo, cartt. 97, 112, 116; Processi politici, ad nomen; Roma, Istituto per la storia del Risorgimento, Carte Ersilio Michel; Carte Luigi Amedeo Melegari; necr., In morte del marchese G. O. de R., Como 1887 (pubblicazione a cura della famiglia, raccoglie i discorsi pronunciati nel cimitero di Como dal professor Cesare Moia e dal conte Giovanni Giovio); La Perseveranza, 14 gennaio 1887; ibid., 17 gennaio 1887; ibid., 10 gennaio 1888; L’Araldo, 15 gennaio 1887; ibid.,19 gennaio 1887; Il Secolo, 17-18 gennaio 1887; L’Illustrazione italiana, 30 gennaio 1887, p. 84. Inoltre: Edizione nazionale degli scritti di Giuseppe Mazzini, Epistolario, ad ind.; C. Cantù, Dell’indipendenza italiana. Cronistoria, II, Torino 1873, p. 343; Lettere inedite di Giuseppe Mazzini ed alcune de’ suoi compagni d’esiglio pubblicate da L. Ordoño de Rosales, Torino 1898; R. Barbiera, Figure e figurine del secolo che muore, Milano 1899, pp. 205-248; Id., Passioni del Risorgimento, Milano 1903, pp. 268-278; G. Rosa, Autobiografia, Brescia 1912, p. 36; R. Ordoño de Rosales Cigalini, La famiglia Ordoño de Rosales Cigalini della Torre di Rezzonico, Milano 1929; A. Cutolo, G. Rosales. Vita romantica di un mazziniano, Milano 1938; F. Arese, La liberazione di G. R. dal carcere fiorentino nel 1849, inRass. stor. del Risorgimento, XXIV (1939), 3, pp. 364-366; L. Mazzucchetti - A. Lohner, L’Italia e la Svizzera. Relazioni culturali nel Settecento e nell’Ottocento, Milano 1943, ad ind.; M. Saponaro, Mazzini, I, Milano 1945, pp. 93, 99, 107, 115, 124, 172; S. Mastellone, Mazzini e la “Giovine Italia” (1831-1834), Pisa 1960, ad ind.; F. Della Peruta, Mazzini e i rivoluzionari italiani. Il “partito d’azione” (1830-1845), Milano 1974, ad ind.; Mazzini e i repubblicani italiani. Studi in onore di Terenzio Grandi nel suo 92° compleanno, Torino 1976, ad ind.; J. White Mario, Della vita di Giuseppe Mazzini, Milano 1986 (I ed. 1885), pp. 158, 168, 199, 200, 212; M. Scioscioli, Giuseppe Mazzini. I princìpi e la politica, Napoli 1995, pp. 96, 301, 304; A. Arisi Rota, Il processo alla Giovine Italia in Lombardia, 1833-1835, Milano 2003, ad ind.; R. Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, Roma-Bari 2000, pp. 80, 93, 111 s., 117, 159; J.-Y. Fretigné, Giuseppe Mazzini. Père de l’unité italienne, Paris 2006, pp. 138, 166, 345, 352; A. Arisi Rota, Eroi, martiri, concittadini patrioti: i necrologi come pedagogia del ricordo, in Patrioti si diventa. Luoghi e linguaggi di pedagogia patriottica nell’Italia unita, a cura di A. Arisi Rota - M. Ferrari - M. Morandi, Milano 2009, p. 153; G. Belardelli, Mazzini, Bologna 2010, p. 174; A. Arisi Rota, I piccoli cospiratori. Politica ed emozioni nei primi mazziniani, Bologna 2010, pp. 23, 33, 101, 140, 147, 153, 179, 187-191, 194 s.; G. Calloni, I Rosales nel nostro paese, Buscate 2011; M. Rosi, Diz. del Risorgimento nazionale, IV, ad vocem.