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ORDINE PUBBLICO

di Giulio PAOLI - Guido ZANOBINI - Enciclopedia Italiana (1935)
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ORDINE PUBBLICO

Giulio PAOLI
Guido ZANOBINI

. S'intende per ordine pubblico quella parte d'un ordinamento giuridico, che ha per contenuto i principî etici e politici, la cui osservanza e attuazione sono ritenute indispensabili all'esistenza di tale ordinamento e al conseguimento dei suoi fini essenziali. Questa parte del diritto è costituita sia dai principî generali e fondamentali dell'ordinamento, sia da concrete norme giuridiche (leggi d'ordine pubblico): principî e norme che riguardano l'ordinamento costituzionale dello stato, la posizione dei suoi organi supremi, la personalità e la libertà dei cittadini, l'ordinamento del matrimonio e della famiglia, la capacità delle persone fisiche e giuridiche, i rapporti fra le classi sociali, l'ordinamento delle associazioni economiche nonché tutte le norme sanzionate penalmente e le leggi proibitive in generale. L'estensione di questa parte dell'ordinamento giuridico è naturalmente variabile secondo le direttive sostanziali del regime. Dal punto di vista formale, è necessario tenere distinta la nozione dell'ordine pubblico da quella del diritto pubblico: se tutto quanto il diritto pubblico ha la caratteristica di essere posto dallo stato e dagli enti ausiliarî di esso, con esclusione d'ogni autonomia dei privati, l'ordine pubblico deriva più precisamente dagli organi in cui si concreta la sovranità unitaria dello stato, cioè dal suo potere legislativo, ed esclude ogni manifestazione non solo dell'autonomia privata, ma anche di quella pubblica degli enti ausiliarî dello stato e degli stessi organi di esso diversi dal potere legislativo. Ciò si esprime comunemente dicendo che le norme di ordine pubblico sono sempre cogenti, ossia inderogabili: laddove le norme che in esso non rientrano si dicono dispositive, in quanto possono esser sostituite da altri atti di volontà e di disciplina giuridica. Il principio dell'inderogabilità delle norme d'ordine pubblico risulta espresso in numerose disposizioni del diritto italiano: fra queste la più importante e la più nota è l'art. 12 delle disposizioni generali premesse al codice civile, il quale dispone: "in nessun caso, le leggi, gli atti e le sentenze di un paese straniero e le private disposizioni o convenzioni potranno derogare alle leggi proibitive del regno, che concernono le persone, i beni o gli atti, né alle leggi riguardanti in qualsiasi modo l'ordine pubblico e il buon costume". Essendo tale principio formulato con particolare riguardo ai rapporti fra le leggi italiane e le leggi straniere, esso è stato approfondito quasi esclusivamente nel campo del diritto internazionale privato, ma esso interessa i rapporti dell'ordinamento giuridico dello stato con qualunque forma di autonomia pubblica e privata.

Il carattere cogente delle norme d'ordine pubblico non esclude che gli organi cui è affidata la loro attuazione siano, ove occorra, investiti d'un potere discrezionale più o meno ampio, ossia della facoltà di scelta fra i varî mezzi che, secondo le circostanze, meglio possono corrispondere al fine di tale attuazione. Ciò si può dire sia escluso soltanto per gli organi giurisdizionali, a causa del carattere prevalentemente formale della loro funzione: la giurisdizione, infatti, interviene nell'attuazione della norma quando, verificatasi una violazione, si tratta d'applicare la sanzione stabilita contro il violatore. Altrettanto non si può dire della funzione di governo e di quella amministrativa, dato il loro carattere di attività pratica e sostanziale nella realizzazione dei fini dello stato. Questa avviene, infatti, o attraverso un'attività propria e diretta degli organi stessi o attraverso una vigilanza e un controllo sull'attività dei singoli e delle associazioni. Anche con quest'ultimo mezzo gli organi amministrativi non provvedono ad applicare le sanzioni quando l'ordine pubblico venga violato, ma piuttosto a impedire che la violazione si verifichi; non è questa semplice conservazione dell'ordine giuridico, ma conservazione dell'ordine pubblico, intesa come salvaguardia di quei principî sostanziali per la cui garanzia le relative leggi sono costituite. La prevalenza dell'elemento sostanziale nell'attività degli organi amministrativi importa che l'ordine pubblico, come fine di tale attività, venga inteso in senso alquanto più lato di quello generale indicato sopra, in modo da comprendere anche la conservazione della pace sociale e della sicurezza generale. Di tale funzione sostanziale si occupano parecchie disposizioni del diritto amministrativo italiano.

Sono fra le più importanti: l'art. 1, n.1, del r. decr. 14 novembre 1901, n. 466, che dichiara sottoposte al consiglio dei ministri "le questioni d'ordine pubblico e di alta amministrazione"; l'art. 1 della legge 18 giugno 1931, n. 773, secondo il quale "l'autorità di pubblica sicurezza veglia al mantenimento dell'ordine pubblico" e, in particolare, "il prefetto, in caso d'urgenza e per grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica". In senso analogo dispone, riguardo al prefetto, l'art. 19 del testo unico della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383. Una funzione di vigilanza nei riguardi dell'ordine pubblico è affidata anche ai podestà, nella loro veste di ufficiali del governo, dall, art. 54, n. 3, del testo unico ultimamente citato. Fra i provvedimenti specifici, determinati dalla necessità della tutela dell'ordine pubblico, ricordiamo il decreto, di competenza del ministro dell'Interno con l'assenso del capo del governo, che dichiara lo stato di pericolo pubblico, e nei casi più gravi, lo stato di guerra (art. 214, 217 della cit. legge 18 giugno 1931); il decreto, di competenza dello stesso ministro dell'Interno, che ordina l'espulsione di stranieri dal regno (legge cit., art. 150); il decreto, di competenza del prefetto, che provvede al diffidamento ed eventualmente alla soppressione di giornali e pubblicazioni periodiche (r. decr.-legge 15 luglio 1923, n. 3282, art. 2).

Bibl.: F. Kahn, Die Lehre vom ordre public, in Jherings Jahrbücker, XXXIX (1894); Vareilles-Sommières, Des lois d'ordre public et de la dérogation aux lois, in Revue de Lille, I (1899); O. Ranelletti, La polizia di sicurezza, in Trattato di dir. amm. di V. E. Orlando, IV, Milano, pp. 420-436; A. Rapisardi-Mirabelli, L'ord. pubbl. nel dir. internaz., Catania 1908; G. Fragola, Le norme di ord. pubbl. nel dir. pubbl., in Riv. di dir. pubbl., IV (1912), parte 2ª, pp. 321-332.

I reati contro l'ordine pubblico.

Sotto un punto di vista generale tutti i reati sarebbero da considerarsi contro l'ordine pubblico. Infatti "reato" è fatto giuridico illecito sanzionato da pena e il legislatore stabilisce la più grave tra le sanzioni giuridiche (la pena) quando ogni altra sanzione più tenue (nullità, decadenza, risarcimento, ecc.) apparirebbe inadeguata. E commina la sanzione più grave perché il reato, oltre che aggredire un bene particolare, turba anche il senso di sicurezza sociale e produce pubblico allarme. Sotto questo profilo non è dubbio dunque, che tutti i reati, in quanto turbano il senso della sicurezza sociale, sono fatti dannosi per l'ordine pubblico; ma ciò avviene mediatamente, e cioè in tanto essi violano il bene ordine pubblico, in quanto, prima e immediatamente, violano un altro bene.

Vi è peraltro una classe di reati, i quali direttamente colpiscono il senso della sicurezza sociale, cosicché questo turbamento non si verifica per il tramite d'una lesione a beni diversi (vita, incolumità, pubblica amministrazione, giustizia, ecc.), ma immediatamente e direttamente come lesione al bene della sicurezza; si potrebbe anzi dire che, da questo punto di vista, i reati contro l'ordine pubblico colpiscono due volte il bene della sicurezza sociale: prima direttamente (danno immediato), poi, come tutti gli altri, indirettamente (danno mediato). Opportunamente pertanto il codice vigente ha mantenuto viva questa classe di reati contro l'ordine pubblico, nonostante qualche opposizione della dottrina.

I reati contro l'ordine pubblico sono previsti dal codice come delitti (libro II, titolo V, codice penale), e come contravvenzioni (libro III, tit. I, capo I).

Sono delitti i seguenti: 1. l'istigazione a delinquere (art. 414) e cioè la pubblica istigazione a commettere uno o più reati, alla quale è parificata la pubblica apologia d'uno o più delitti; 2. l'istigazione pubblica alla disobbedienza alle leggi d'ordine pubblico, ovvero all'odio fra le classi sociali (art. 415); 3. l'associazione per delinquere (articoli 416-418), che si ha quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti (qui viene punito il solo fatto dell'associazione e in realtà proprio esso colpisce direttamente l'ordine pubblico; e pertanto gli associati saranno altresì puniti per i reati che eventualmente abbiano commessi); 4. i fatti di devastazione e di saccheggio (art. 419), che peraltro, se sono diretti allo scopo di attentare alla sicurezza dello stato, sono previsti da altra disposizione (art. 285); 5. la pubblica intimidazione commessa facendo scoppiare bombe, mortaletti e altre macchine o materie esplodenti (art. 420); 6. la pubblica intimidazione mediante la minaccia di commettere delitti contro la pubblica incolumità, ovvero fatti di devastazione o di saccheggio in modo da incutere pubblico timore (art. 421).

Sono contravvenzioni le seguenti: 1. l'inosservanza d'un provvedimento emanato dall'autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene (art. 650); 2. il rifiuto di dare le indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato o su altre qualità personali, richieste da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni (art. 651); 3. il rifiuto, senza giusto motivo, di prestare il proprio aiuto o la propria opera, o di dare le informazioni e le indicazioni richieste da un pubblico ufficiale o da una persona incaricata d'un pubblico servizio, in occasione d'un tumulto, o d'un pubblico infortunio, o d'un comune pericolo, ovvero nella flagranza d'un reato (art. 652); 4. la formazione non autorizzata d'un corpo armato non diretto a commettere reati (art. 653); 5. le manifestazioni e le grida sediziose compiute in riunioni pubbliche o in luogo pubblico o esposto al pubblico (art. 654); 6. le radunate sediziose di dieci o più persone (art. 655); 7. la pubblicazione o la diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, e le grida o notizie allo scopo di smerciare o distribuire scritti o disegni, quando possa essere turbato l'ordine pubblico e rispettivamente la tranquillità pubblica o privata (articoli 656-657); 8. il procurato allarme presso l'autorità o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio, con l'annunzio di disastri, infortunî o pericoli inesistenti (art. 658); 9. il disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone commesso mediante schiamazzi o rumori (articolo 659); i0. le molestie o disturbi alle persone in luogo pubblico o col mezzo del telefono (art. 660); 11. l'abuso della credulità popolare commesso in pubblico con qualsiasi impostura (art. 661). Altre contravvenzioni concernono la vigilanza sui mezzi di pubblicità (articoli 662-664), su talune industrie e sugli spettacoli pubblici (articoli 665-668), sui mestieri girovaghi e la prevenzione dell'accattonaggio (articoli 669-671).

In tutti questi reati, tanto nei delitti quanto nelle contravvenzioni, è visibile l'attacco diretto ai beni della sicurezza e della tranquillità, è visibile quindi il loro carattere di reati contro l'ordine pubblico.

Bibl.: Si vedano innanzi tutto i trattati generali e i commenti sotto il titolo Delitti contro l'ordine pubblico o agli articoli corrispondenti (per il codice del 1930 quelli citati nel testo, per il codice del 1889 art. 246-255; Delitti; e 434-439: Contravvenzioni); e inoltre: V. Wautrain Cavagnari, Dei delitti contro l'ordine pubblico, in Cogliolo, Trattato di diritto penale, Milano 1888; R. De Rubeis, Dei delitti contro l'ordine pubblico, in Enciclopedia del dir. it., VIII; C. Lombroso, Sulle associazioni a mal fare. Studi di antropologia, in Riv. pen., III, pagine 166-420; C. Ugenti Sforza, L'associazione di malfattori o per delinquere, in Digesto italiano; R. Garofalo e F. Carrara, Associazione di malfattori, in Enciclopedia giuridica; P. Barsanti, Della desistenza del reato di associazione di malfattori, ossia di associazione per delinquere, in Riv. pen., XXV, p. 35; V. Vescovi, L'istigazione a delinquere, in Digesto ital., XIII, ii, p. 675 segg.; R. Panizzi, L'istigazione a delinquere, con particolare riguardo alla legislazione sulla stampa, Reggio nell'Emilia 1905; G. Scarlatta, Le associazioni per delinquere, Girgenti 1904; G. G Rubbiani, Dalla critica di una legge al reato di istigazione a delinquere, in Scuola positiva, 1913, p. 174; P. Pagani, Il reato di cui all'art. 2 legge 19 luglio 1894, n. 315 nella dottrina e nella giurisprudenza, ibid., 1915, p. 61; F. Fabreguettes, De la complicité intellectuelle et des délits d'opinion, de la provocation et de l'apologie criminelles, et de la propagande anarchiste, Parigi 1894; F. Lebreton, De la provocation aux crimes et délits dans ses rapports avec les lois sur la presse, Rennes 1901; R. v. Hippel, Verbrechen und Vergehen wider die öffentliche Ordnung, in Vergleich. Darstellung des deutschen und ausländ. Strafrechts, II (1901), parte speciale, p. 1; Weil, Die Aufreizung zum Klassenkampf, in Strafrechtl. Abhandl., fasc. 65, Breslavia 1905; Eible, Der Kanzelparagraph, Heidelberg 1908.

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