Abstract
La voce si apre con l’esame della nozione di ordine pubblico nei vari rami del diritto e nella definizione legislativa che la prevede; viene poi approfondita la distinzione tra polizia di sicurezza, polizia amministrativa, polizia giudiziaria ed illustrata la tipologia di provvedimenti che l’autorità può adottare in tema di ordine pubblico. Chiude la trattazione il panorama organizzativo dell’amministrazione della pubblica sicurezza a livello centrale e a livello periferico.
1. Il concetto di ordine pubblico
Ordine pubblico è un concetto elastico e storicamente variabile a seconda del ramo del diritto a cui esso viene riferito.
Nel codice civile l’ordine pubblico è assunto come uno dei limiti di liceità all’esercizio dell’autonomia privata; infatti, in base all’art. 1343 c.c., la causa del contratto è illecita e produce la nullità del contratto quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Nel codice penale l’ordine pubblico viene, invece, in considerazione come limite ad un’attività materiale, che di regola costituisce esercizio di una libertà fondamentale. In tale ambito sono contemplati i delitti contro l’ordine pubblico (artt. 414 ss.) e l’incolumità pubblica (artt. 422 ss.) e le contravvenzioni concernenti l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica (artt. 650 ss.).
Dalla Costituzione l’ordine pubblico risulta richiamato più volte e a vario titolo, isolatamente o in collegamento con altri elementi (sicurezza, incolumità, buon costume, ecc.); pertanto, viene eliminata la regola, propria dell’ordinamento anteriore alla Costituzione, secondo cui l’ordine pubblico svolgeva la funzione di limite immanente di ciascuna libertà civile, ed introdotto il criterio più analitico che distingue e qualifica la disciplina di ciascuna libertà in relazione a specifici interessi pubblici. Così, ad esempio, si fa riferimento alla sicurezza come limite della libertà di circolazione (art. 16) e della libertà di riunione (art. 17), alla incolumità pubblica come limite della libertà domiciliare (art. 14) e della libertà di riunione (art. 17).
Infine, per quanto concerne l’ordinamento europeo, a fronte della dimensione sovranazionale assunta dai problemi di ordine pubblico e sicurezza, si registra un processo di espansione verso nuove materie, com’è appunto quella dell’ordine pubblico, con la commistione di strumenti più propriamente comunitari e strumenti di tipo intergovernativo. Infatti, nell’evoluzione che sta vivendo l’ordinamento comunitario, la scelta operata dalla Costituzione europea di porre fine alla configurazione dell’Unione europea fondata su una struttura a tre pilastri ha dato luogo alla individuazione di uno «spazio di libertà, sicurezza e giustizia», considerato come il luogo simbolico ove vengono ad intrecciarsi il metodo intergovernativo, più rispettoso della sovranità di ciascuno Stato, e quello prettamente comunitario, capace invece di incidere in misura assai più estesa e intensa sulla stessa sovranità statale.
La definizione normativa del concetto di ordine pubblico come istituto di diritto amministrativo è contenuta nell’art. 159, co. 2, d.lgs. 31.3.1998, n. 112, il quale prevede appunto che «le funzioni ed i compiti amministrativi relativi all’ordine pubblico e sicurezza pubblica (…) concernono le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni».
Il concetto di ordine pubblico non era mai stato, prima di questa norma, definito con una formula di diritto positivo. Esso ha un contenuto complesso, perché si riferisce non solo a quel particolare stato di fatto della società in cui sia la collettività che i singoli consociati debbono essere garantiti da ogni lesione al normale e pacifico esercizio dei loro diritti, ma anche allo specifico profilo della sicurezza pubblica come salvaguardia della sicurezza fisica delle persone, intesa e come incolumità personale e come integrità patrimoniale. Tale definizione è conforme alla nozione tradizionalmente recepita della Corte Costituzionale (v. sent. 25.2.1998, n. 218), che peraltro ha precisato che la locuzione «interessi pubblici primari», utilizzata dall’art. 159, co. 2, deve essere interpretata nel senso di considerare «non qualsiasi interesse pubblico, alla cui cura siano preposte le pubbliche amministrazioni, ma soltanto quegli interessi essenziali al mantenimento di una ordinata convivenza civile» (v. C. cost., 25.7.2001, n. 290).
Questa precisazione è necessaria perché la definizione contenuta nell’art. 159 cit. è stata posta dal d.lgs. n. 112/1998 per dare attuazione alla delega contenuta nella legge 15.3.1997, n. 59; in base a tale legge, infatti, nel quadro della riforma da essa avviata in tema di federalismo amministrativo, sono da considerare escluse dal conferimento a regioni ed enti locali le funzioni amministrative relative a talune materie, quale è appunto l’«ordine pubblico e sicurezza pubblica» (art. 1, co. 3, lett. l), ossia la materia della polizia di sicurezza, che deve essere riservata alla competenza dello Stato affinché ne sia assicurato l’esercizio unitario.
Nel contempo, sempre dallo stesso art. 159, al co. 1, vengono individuate le funzioni e i compiti relativi alla polizia amministrativa regionale e locale, che rientrano invece nella competenza degli enti medesimi; e tutto ciò risulta in linea anche con quanto è stato poi stabilito in materia dalla l. cost. 18.10.2001, n. 3, che - com’è noto - ha riformato il titolo V della Costituzione.
2. Polizia di sicurezza, amministrativa, giudiziaria
Prima di proseguire nella nostra trattazione è necessario, quindi, illustrare la distinzione tra polizia di sicurezza e polizia amministrativa, in quanto trattasi di concetti generali che ineriscono strettamente al tema in discorso e quindi sono necessari per comprendere il sistema di regolamentazione dell’ordine pubblico.
La polizia di sicurezza si concreta essenzialmente in un’attività di prevenzione, tendente ad impedire il compimento di atti contrastanti con l’ordinamento giuridico (leggi, regolamenti e provvedimenti delle autorità) oppure in grado comunque di infrangere l’ordinata e sicura convivenza civile (tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica). Per tale materia, la legge di riferimento – oltre alla l. 1.4.1981, n. 121, e successive modifiche e integrazioni, recante l’ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza, espressamente richiamata dall’art. 160, co. 2, d.lgs. n. 112/1998 – è ancora costituita dal t.u.l.p.s., approvato con R.d. 18.6.1931, n. 773, e dal relativo regolamento di esecuzione (R.d. 6.5.1940, n. 635); questa normativa, introdotta nell’ordinamento anteriore alla Costituzione, ha subìto, però, numerose e profonde modifiche sia a seguito di pronunce della Corte costituzionale, che per opera di successive leggi, soprattutto nel campo della polizia amministrativa. Vi è poi tutta una normativa di carattere speciale riguardante temi specifici (armi, associazioni segrete, criminalità, ordine pubblico, mafia, stupefacenti ecc.).
La prevenzione attuata attraverso la polizia di sicurezza si fonda sostanzialmente su due ordini di interventi.
Il primo di essi è costituito da una serie cospicua di attività finalizzate al riscontro e alla ricerca di situazioni “oggettive” di pericolo o di inizio di attività criminose, in modo da compiere una sistematica attività di controllo a tutela dell’ordinato vivere civile e della pubblica incolumità. Si tratta, insomma, di operazioni di vigilanza o di imposizione di obblighi vari oppure di autorizzazioni, licenze ecc., di competenza del prefetto o del questore, e, in alcuni casi, anche del sindaco come autorità locale di pubblica sicurezza, che si estendono ai più diversi settori della vita associata (riunioni pubbliche e assembramenti, cerimonie religiose e processioni, passeggiate in forma militare, porto d’armi, gioco e scommesse, ecc.) e della vita economica del Paese (fabbricazione, deposito e vendita di esplosivi, istituti di vigilanza e di investigazioni per conto di privati, ecc.).
L’altro ordine di interventi si fonda, invece, su presunte condizioni “soggettive” di pericolosità, che l’art. 1, l. 27.12.1956, n. 1423, modificata nel tempo a più riprese (l. 3.8.1988, n. 327, l. 24.7.1993, n. 256, l. 26.3.2001, n. 128), collega a categorie di persone considerate pericolose per la pubblica sicurezza sulla base di un giudizio di valore delle stesse, che è di competenza dell’autorità di polizia. Le ipotesi previste riguardano, specificamente, coloro che, sulla base di tale valutazione, siano ritenuti abitualmente dediti a traffici delittuosi, o vivano abitualmente con i proventi di attività delittuose, o siano dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. L’ambito di tali ipotesi è stato allargato dalla legislazione successiva, che vi ha aggiunto le persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, camorristico e simili (l. 31.5.1965, n. 575 e successive modificazioni), i terroristi, chi abbia fatto parte di associazioni politiche disciolte e continui a svolgere tale attività (art. 18, l. 22.5.1975, n. 152).
Gli interventi nei confronti di siffatte persone si concretano in misure di prevenzione, in genere limitative della libertà personale. Il quadro di tali misure, originariamente delineato dal t.u.l.p.s. come sistema di misure di polizia applicate dalla polizia stessa, è stato oggetto di notevoli mutamenti ai fini del suo adeguamento ai principi costituzionali, soprattutto a quelli che esigono la garanzia giurisdizionale. Attualmente, ai sensi della l. n. 1423/1956 e successive modificazioni, le misure di prevenzione sono l’avviso orale, il rimpatrio con foglio di via obbligatorio, la sorveglianza speciale, la sorveglianza speciale con divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale, o in una o più province (art. 3, l. n. 1423/1956, come novellato dalla l. n. 256/1993). L’applicazione delle prime due misure è di competenza del questore, mentre per le altre la competenza è dell’autorità giudiziaria, su proposta del questore previo esperimento della procedura dell’avviso orale.
Discorso a parte deve essere fatto per la nozione di polizia amministrativa. Con il trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle regioni e agli enti locali, iniziato con il d.P.R. 24.7.1977, n. 616 e concluso con il citato d.lgs. n. 112/1998, questo ramo dell’attività di polizia ha perso ogni autonomia nei confronti della restante attività amministrativa e, di conseguenza, ora può considerarsi acquisito concettualmente il carattere “strumentale” della polizia amministrativa rispetto alle funzioni sostanziali di amministrazione attiva, finalizzate alla gestione dei servizi o allo sviluppo e al benessere: assumono, quindi, evidenza le caratteristiche di strumentalità ed accessorietà, proprie delle funzioni di polizia amministrativa di regioni ed enti locali rispetto alle materie ad essi conferite, come viene espressamente ribadito anche nell’enunciato dell’art. 161, d.lgs. n.112/1998.
Simmetricamente, e in coerenza con tale impostazione, l’art. 160 dello stesso d.lgs. sancisce la permanenza in capo all’amministrazione dello Stato delle competenze all’esercizio delle funzioni e dei compiti di polizia amministrativa nelle materie riservate alla competenza statale (come sono appunto quelle in materia di ordine e sicurezza pubblica), espressamente escluse dal conferimento a regioni ed enti locali, collegando quindi anche in questo caso in un rapporto di rigorosa accessorietà le attività di polizia amministrativa con le rispettive materie di riferimento.
Un’ulteriore distinzione che è opportuno evidenziare è, infine, quella tra polizia di sicurezza e polizia giudiziaria. Con la prima si identifica – come già detto – tutta l’attività di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica di competenza dell’autorità amministrativa. Essa ha carattere preventivo in quanto è tesa ad impedire qualunque violazione dell’ordine sociale e si differenzia dalla polizia giudiziaria che ha invece carattere precipuamente repressivo.
Quest’ultima opera infatti a seguito del compimento di eventuali fatti illeciti, essendo finalizzata al loro accertamento e alla loro repressione. La polizia giudiziaria è l’unica ad essere presa in considerazione autonomamente dalla Costituzione in un’apposita disposizione (art. 109), la quale sancisce che l’autorità giudiziaria ne dispone direttamente. Comunque, anche la l. n. 121/1981 ribadisce tale principio, stabilendo all’art. 17 che le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte alle dipendenze e sotto la direzione dell’autorità giudiziaria, in conformità a quanto stabilito dal codice di procedura penale (artt. 55-59, 347-357).
3. I provvedimenti in materia di ordine pubblico
La funzione di polizia di sicurezza si concreta, di regola, nei provvedimenti di polizia, che servono a porre in essere le misure limitative dell’attività privata previste dalla legge nell’interesse del mantenimento dell’ordine e della sicurezza (ad es. autorizzazioni di polizia). Questa funzione può estrinsecarsi, sempre in ordine alla tutela del medesimo interesse generale, anche attraverso operazioni e atti di vigilanza, prevenzione e repressione nei confronti delle attività private eventualmente lesive dell’interesse stesso.
In materia, la casistica dei provvedimenti che il prefetto e il questore, nelle rispettive competenze, possono adottare è molto ampia. A titolo puramente indicativo, si ricorda qualcuna delle numerose ipotesi previste dal t.u. leggi di pubblica sicurezza, di cui al già citato R.d. n. 773/1931, e che sostanziano un vero e proprio controllo di polizia: licenze in materia di armi (artt. 30 ss.), di esplosivi (artt. 46 ss.), di passeggiate in forma militare (art. 29), per l’esercizio di istituti di vigilanza e di investigazione privata (artt. 134 ss.), decreti di riconoscimento di guardie particolari giurate (art. 133). Si tratta di provvedimenti di polizia amministrativa, tuttora riservati alla competenza del prefetto e del questore, che si riferiscono ad ipotesi in cui è prevalente l’interesse statale connesso alla tutela dell’ordine e sicurezza pubblica.
Un posto a sé stante nella categoria dei provvedimenti di polizia di sicurezza hanno i provvedimenti di urgenza, indispensabili per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, come ad esempio quelli emessi dal prefetto, su delega del ministro dell’interno, in occasione di situazioni eccezionali, quali la dichiarazione dello stato di pericolo pubblico (art. 214 R.d. n. 773/1931) e dello stato di guerra interno (art. 217 R.d. n. 773/1931). Il più ampio potere di ordinanza di necessità è, comunque, quello riconosciuto dall’art. 2 t.u.l.p.s. sempre al prefetto, il quale, laddove sia necessario intervenire con immediatezza per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e nella impossibilità di ricorrere tempestivamente ai rimedi ordinari offerti dall’ordinamento giuridico, può adottare il provvedimento ritenuto nel caso concreto indispensabile.
Nell’applicazione di una norma come quest’ultima citata, formulata in un ordinamento antecedente a quello previsto dalla vigente Costituzione, è necessario che si adotti un approccio interpretativo indispensabile per adeguarla alla mutata concezione dei poteri degli organi dello Stato. In tal senso si è espressa la Corte costituzionale (v. sent. 2.7.1956, n. 8), che, nell’esaminare la costituzionalità dell’art. 2 suddetto, ha infatti affermato che la legge va interpretata non nel sistema in cui essa storicamente fu emanata, bensì nell’attuale ordinamento nel quale deve essere applicata. La Corte ha pure precisato che le condizioni da soddisfare per ritenere conformi a tale sistema le ordinanze in parola sono: l’efficacia limitata nel tempo in relazione ai dettami della necessità e dell’urgenza; l’adeguata motivazione; l’efficace pubblicazione nei casi in cui il provvedimento non abbia carattere individuale; la conformità del provvedimento stesso ai princìpi dell’ordinamento giuridico.
4. L’amministrazione della pubblica sicurezza a livello centrale
Passando ad esaminare il profilo organizzativo connesso alla gestione delle funzioni in materia di ordine e sicurezza pubblica sin qui illustrate, occorre segnalare che l’ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza è delineato dalla già ricordata l. n. 121/1981. Tale legge ha introdotto, a suo tempo, rilevanti innovazioni che attengono a profili sia ordinamentali che organizzativi del sistema di polizia del nostro Paese; in particolare, è stato definito l’assetto delle autorità di pubblica sicurezza nell’ambito del Ministero dell’interno; è stato confermato il principio della pluralità delle forze di polizia e prevista l’istituzione della Polizia di Stato, al cui personale è stato riconosciuto lo status civile con un ordinamento speciale e con la previsione di forme di rappresentatività sindacale.
Al vertice dell’organizzazione è posto il Ministro dell’interno, quale responsabile della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e che assume la figura giuridica di autorità nazionale di pubblica sicurezza. Al ministro spetta l’alta direzione dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e il coordinamento in materia dei compiti e delle attività delle forze di polizia (art. 1, l. n. 121/1981).
La configurazione della posizione del ministro data dalla norma, che peraltro ha trovato puntuale conferma nell’art. 10, l. 31.3.2000, n. 78, recante la delega al Governo per il riordino delle forze di polizia, ha la finalità di individuare, nell’ambito del Governo, il responsabile politico dell’ordine e della sicurezza pubblica di fronte al Parlamento e alla collettività nazionale; questa posizione di centralità attribuita al ministro, quale autorità nazionale di pubblica sicurezza, deve comunque armonizzarsi con i poteri attribuiti al Consiglio dei ministri in materia di ordine e sicurezza pubblica previsti dalle norme vigenti, che restano espressamente salvi in virtù del terzo comma dell’art. 1 citato.
Per l’espletamento dei suoi compiti il ministro si avvale dell’amministrazione della pubblica sicurezza (art. 2), che è civile ed ha un ordinamento speciale (art. 3). Nell’ambito di essa è istituito il Dipartimento della pubblica sicurezza (art. 4), che provvede, secondo le direttive e gli ordini del ministro, all’attuazione della politica dell’ordine e della sicurezza pubblica, al coordinamento tecnico-operativo delle forze di polizia, alla direzione e amministrazione della Polizia di Stato, alla direzione e alla gestione dei supporti tecnici anche per le esigenze generali del Ministero dell’interno. Al dipartimento è preposto il Capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza, che riveste la qualifica di prefetto (art. 2, tab. B, d.lgs. 19.5.2000, n. 139) ed è quindi nominato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’interno; trattasi di una figura di indubbio rilievo, titolare di attribuzioni di notevole peso.
Un ruolo assai rilevante è, poi, quello svolto dal Comitato nazionale dell’ordine e della sicurezza pubblica (art. 18, l. n. 121/1981), organo ausiliario del ministro con funzione consultiva, che costituisce la sede istituzionale del coordinamento delle forze di polizia come momento unificante della gestione attuata dal ministro.
Secondo la previsione del secondo comma dell’art. 18 cit. (modificato prima dall’art. 12, co. 7, d.l. 13.5.1999, n. 152, convertito in l. 12.7.1991, n. 203 e poi dall’art. 7, d.lgs. 3.4.2001, n. 155), i componenti del Comitato, che è presieduto dal ministro, sono il sottosegretario di Stato per l’interno, designato dal ministro con funzioni di vicepresidente, e i vertici delle forze di polizia (capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza, comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, comandante generale del Corpo della Guardia di Finanza, direttore generale dell’Amministrazione penitenziaria, dirigente generale capo del Corpo forestale dello Stato). Alle riunioni del Comitato il ministro può chiamare a partecipare dirigenti generali del Ministero dell’interno, l’ispettore generale del Corpo delle capitanerie di porto, nonché altri rappresentanti dell’amministrazione dello Stato e delle forze armate; può invitare alle stesse riunioni componenti dell’ordine giudiziario, d’intesa con il procuratore competente.
Il Comitato esamina ogni questione di carattere generale relativa alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e all’ordinamento ed organizzazione delle forze di polizia ad esso sottoposte dal ministro (art. 19, l. n. 121/1981). In particolare, il suo parere è obbligatorio per talune ipotesi, espressamente indicate dal secondo comma della medesima norma, riguardanti le forze di polizia, come gli schemi di provvedimenti di carattere generale, i piani per l’attribuzione delle competenze funzionali e territoriali, la pianificazione finanziaria, quella dei servizi logistici e amministrativi di carattere comune, ecc.
5. Le autorità di pubblica sicurezza a livello periferico
A livello territoriale, la l. n. 121/1981 ha riconfermato la presenza delle due figure del prefetto e del questore, quali autorità provinciali di pubblica sicurezza; tale particolare status nel precedente ordinamento era attribuito congiuntamente ad ambedue le figure, con la finalità di ribadire il rapporto gerarchico esistente tra i due organi. Ora, invece, poiché la normativa non prevede più la dipendenza gerarchica del questore rispetto al prefetto, viene attribuita distintamente a ciascuna figura la qualità di autorità provinciale di pubblica sicurezza.
Circa il prefetto, l’art. 13, l. n. 121/1981 ne ribadisce il carattere di autorità provinciale di pubblica sicurezza e gli conferisce la responsabilità generale dell’ordine e della sicurezza pubblica nella provincia, nonché la potestà di sovrintendere all’attuazione delle direttive emanate in materia; dalla stessa norma viene, inoltre, ribadito che il prefetto dispone della forza pubblica e delle altre forze eventualmente poste a sua disposizione e ne coordina l’attività.
L’art. 14 della l. n. 121/1981 attribuisce anche al questore la qualifica di autorità provinciale di pubblica sicurezza ed individua le sue competenze fondamentali nella direzione, responsabilità e coordinamento, a livello tecnico-operativo, dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e dell’impiego a tal fine della forza pubblica e delle altre forze eventualmente poste a sua disposizione.
A un livello territoriale inferiore è, poi, prevista dall’art. 15 della stessa legge l’autorità locale di pubblica sicurezza, che nel capoluogo di provincia è rappresentata dal questore e negli altri comuni dal funzionario preposto al commissariato di polizia; ove quest’ultimo non sia istituito, le attribuzioni di autorità locale di pubblica sicurezza sono esercitate dal sindaco, nella sua qualità di ufficiale di governo.
Dal quadro normativo ora riferito emergono i termini del rapporto tra prefetto e questore riguardo all’attività di polizia: al primo ne spetta la responsabilità politica, connessa alla scelta del provvedimento da adottare in relazione agli effetti che esso può avere nell’ambito locale e rispetto alle linee della politica governativa; al questore compete, invece, la responsabilità tecnico-operativa dell’attività medesima, dovendo egli provvedere all’attuazione del provvedimento prescelto.
Il problema posto dalla pluralità delle forze di polizia si riflette ovviamente anche a livello territoriale, ove il coordinamento trova come suo centro di imputazione anche in questo caso un organo di governo della materia di tipo collegiale, quale il Comitato provinciale dell’ordine e della sicurezza pubblica, previsto dall’art. 20, l. n. 121/1981, più volte modificato ed integrato (d.lgs. 27.7.1999, n. 279 che modifica l’art. 160 d.lgs. n. 112/1998; art. 16, l. 26.3.2001, n. 128; art. 4 d.lgs. 28.12.2001, n. 472; art. 5, co. 6, l. 6.2.2004, n. 36).
Oltre al prefetto che lo presiede, esso è composto dal questore, dai comandanti provinciali dell’Arma dei Carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza e del Corpo forestale dello Stato; sono componenti effettivi del Comitato anche il sindaco del comune capoluogo ed il presidente dell’amministrazione provinciale, nonché i sindaci degli altri comuni interessati quando vengono trattate questioni riferibili ai rispettivi ambiti territoriali. La stessa disposizione prevede pure che il Comitato può essere convocato su richiesta del sindaco del comune capoluogo, che ha anche la possibilità di richiedere di integrare, ove occorra, l’ordine del giorno, per la trattazione di questioni attinenti alla sicurezza della comunità locale o per la prevenzione di tensioni o conflitti sociali che possono comportare turbamenti dell’ordine e della sicurezza pubblica in ambito comunale.
Inoltre, il prefetto, sempre ai sensi del citato art. 20, può chiamare a partecipare alle sedute del Comitato le autorità locali di pubblica sicurezza e i responsabili delle amministrazioni dello Stato interessate ai problemi da trattare, con particolare riguardo ai responsabili dei competenti uffici dell’Amministrazione penitenziaria, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, del Corpo delle capitanerie di porto e, d’intesa con il presidente della provincia o con il sindaco, i responsabili degli altri uffici delle amministrazioni locali interessate o della polizia municipale. Infine, sempre dal prefetto possono essere invitati alle stesse riunioni del Comitato, d’intesa con il procuratore della Repubblica competente, componenti dell’ordine giudiziario.
La partecipazione degli amministratori locali al Comitato come membri di diritto presenta una valenza molto significativa, in quanto è in coerenza con il ruolo assegnato dalla legislazione più recente, per ciò che concerne la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, agli enti locali, i quali sicuramente dispongono di una visione delle problematiche fortemente ancorata alle dinamiche del territorio. Del resto, questa responsabilità in materia di sicurezza pubblica è attribuita al sindaco (e al presidente dell’amministrazione provinciale) anche in ragione del più elevato grado di rappresentatività correlato alla loro elezione diretta e della constatazione che la soluzione del problema della sicurezza è ormai divenuta una parte estremamente significativa del loro mandato. Inoltre, il sindaco, in particolare, conserva sempre anche la qualità di ufficiale del governo e, in tale posizione, a lui compete comunque, in virtù dell’art. 54, d.lgs. 18.8.2000, n. 267 (t.u.e.l.), sovrintendere alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l’ordine pubblico, con la possibilità di adottare «con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana».
Fonti normative
R.d. 18.6.1931, n. 773 (Approvazione testo unico delle leggi di pubblica sicurezza); l. 1.4.1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza); art. 159, d.lgs. 31.3.1998, n. 112, (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della l. 15.3.1997, n. 59).
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