Nella Roma antica, classe sociale inizialmente formata dai cittadini sufficientemente ricchi da possedere un destriero nella cavalleria.
In tutto il periodo arcaico della storia greca, il termine ἱππεύς è sinonimo di nobile, poiché solo i nobili erano abbastanza ricchi da mantenere un cavallo. Con la decadenza della cavalleria come mezzo di guerra, il titolo rimase in varie città a designare la classe dei nobili. A Roma i cavalieri divennero (3° sec. a.C.) una categoria privilegiata nell’esercito. Avendo la legge Claudia (218 a.C.) vietato ai senatori l’esercizio di attività commerciali, queste vennero monopolizzate dai cavalieri, che assunsero anche gli appalti di lavori pubblici e di riscossione delle imposte e costituirono una classe di commercianti e finanzieri distinta sia dalla nobiltà terriera dei senatori sia dalla plebe. L’antagonismo tra Senato e cavalieri fu acuito dalla legislazione di C. Gracco (123-122 a.C.), per la quale i senatori erano esclusi dalle centurie equestri e, a vantaggio dei cavalieri, dalla costituzione dei tribunali. La legge graccana rimase sino alla dittatura di Silla, che restituì i tribunali al Senato ma, poco dopo, il pretore Aurelio Cotta ristabilì i tribunali misti, in cui la maggioranza era dei cavalieri. Augusto mise i tribunali del tutto in mano ai cavalieri e da questi trasse la burocrazia e gli ufficiali, lasciando ai senatori le magistrature onorifiche e dispendiose. Quasi tutti i nuovi uffici imperiali furono dati ai cavalieri; dal 2° sec. d.C. si stabilì una gerarchia delle cariche equestri, secondo gli stipendi e l’importanza, alle quali spettavano i titoli di vir eminentissimus, perfectissimus, egregius, splendidus.
Ai cavalieri erano riservati alcuni sacerdozi: i curioni, i luperci, i flamini e i pontefici minori. L’ordine decadde nel Basso Impero.