GIUDIZIARIO, ORDINAMENTO (XVII, p. 307; App. I, p. 676; II, 1, p. 1060)
La VII disposizione transitoria e finale della Costituzione stabilisce che le norme sull'o. g. vigente continuino a osservarsi fino a quando non sia emanata la nuova legge sull'o. giudiziario. Ciò nonostante, tale o. ha subito, negli ultimi trent'anni, delle modifiche radicali a seguito di numerosi provvedimenti e di alcune sentenze della Corte costituzionale. Non sono mancati successivi mutamenti delle stesse norme riformatrici suggerite dall'esperienza.
È stato tra l'altro rilevato che la predetta norma transitoria della Costituzione sarebbe in contrasto con le varie disposizioni riformatrici dell'o. poiché, non essendo stata emanata la nuova legge sull'o. g. in conformità con la Costituzione, devono continuare a osservarsi le norme sull'o. vigente. In realtà, le numerose norme che hanno innovato la materia hanno trovato immediata applicazione. Del resto, nella legge istitutiva del Consiglio superiore della magistratura è esplicitamente stabilito che "le norme del vecchio ordinamento continuano ad osservarsi in quanto siano compatibili con le norme della presente legge", sicché il problema, allo stato, deve ritenersi superato, tenuto conto altresì che la Corte costituzionale, nell'esaminare alcune delle leggi riformatrici, me ha dichiarato la piena efficacia, ai sensi della citata disposizione transitoria. Pertanto la disposizione transitoria si concreta in un invito a realizzare la riforma.
La riforma dell'o. ha anticipato quella dei codici e ciò - com'è stato osservato - ha reso più difficile l'impresa, perché appare più facile l'elaborazione di un o. che coroni l'opera di riforma della codificazione.
Il giudice. - In applicazione dell'art. 107 della costituzione la l. 22 maggio 1951, n. 392 (nota come legge Piccioni) ha diviso i magistrati in tre categorie, corrispondenti, nelle grandi linee, ai tre gradi di giurisdizione previsti nell'o. processuale: magistrati di tribunale, di appello e di cassazione, disponendo nel contempo lo sganciamento dei magistrati dall'o. burocratico della Pubblica amministrazione. Tale ripartizione rispecchia non tanto le funzioni giurisdizionali quanto la posizione della carriera; inoltre l'indipendenza del giudice è garantita mediante un trattamento economico adeguato.
La carriera. - Le modifiche più rilevanti concernono le promozioni che hanno innovato completamente il sistema con criteri, in verità, che non sembra abbiano eliminato gl'inconvenienti lamentati.
Le considerazioni che hanno mosso il legislatore alla riforma del sistema sostanzialmente vanno ricercate nella preoccupazione dei magistrati di conseguire le promozioni, che va a discapito del normale e quotidiano lavoro giudiziario e incide nel funzionamento dell'amministrazione della giustizia. E, a tal fine, ferma restando la distinzione in categorie dei giudici, differenziandone le funzioni, la progressione nelle funzioni avviene per nomina invece che per promozione. In altri termini, il passaggio dall'una all'altra categoria avviene a ruoli aperti, onde consentire il trattenimento dei promossi presso gli stessi uffici cui erano addetti, ovviandosi così agl'inconvenienti del soprannumero.
Il concorso costituisce il mezzo normale per l'assunzione, salva la possibilità attribuita al Consiglio superiore di designare per meriti insigni, avvocati e professori per la nomina a magistrati di cassazione.
Il concorso, in origine riservato soltanto agli uomini, è ora aperto anche alle donne per effetto della l. n. 66 del 1963; può essere ripetuto tre volte e non più richiesto il biennio dalla laurea per la partecipazione.
La carriera inizia con l'uditorato che, di regola, ha durata annuale. Esso ha lo scopo di preparare alle funzioni giudiziarie il magistrato, che compie un periodo di tirocinio e di prova avvicendandosi in vari uffici giudiziari sotto la guida di altri magistrati. È stato auspicato da più parti, tenuto conto della complessità e della delicatezza delle funzioni giudiziarie, che il periodo di tirocinio venga ulteriormente prolungato.
Allo stato, è altresì previsto che nei casi di urgente necessità gli uditori possano, dopo soltanto sei mesi di tirocinio, esercitare le funzioni giurisdizionali negli uffici giudiziari con alcune limitazioni che cessano al compimento di un anno di effettivo servizio compreso il periodo di tirocinio.
Tra le materie di esame orale è ora richiesta anche quella sul diritto del lavoro e legislazione sociale, introdotta con la l. n. 533 del 1973, al fine di assicurare la specializzazione del giudice del lavoro agli effetti della più corretta interpretazione della vasta disciplina legislativa e contrattuale dei rapporti di lavoro.
La precedente normativa prevedeva che la promozione ad aggiunto avvenisse dopo un biennio dalla nomina a uditore mediante esame pratico. Tale disposizione aveva una funzione precisa nel periodo in cui l'uditore compiva il tirocinio dedicando interamente allo studio e alla pratica gli anni precedenti l'esame: soltanto dopo il superamento dell'esame erano attribuite le mansioni giurisdizionali. Sennonché, il tirocinio degli uditori essendo stato ridotto a un anno o a sei mesi, dopo di che essi vengono destinati con funzioni, su parere dei capi di Corte, nei vari uffici giudiziari, l'esame risultava praticamente superato da detto parere.
Pertanto la nomina ad aggiunto ora si consegue, con delibera del Consiglio superiore della magistratura, previo esame del parere motivato del Consiglio giudiziario del distretto o dei distretti presso i cui uffici l'uditore ha esercitato le funzioni, dopo due anni dalla nomina a uditore. Il parere del Consiglio giudiziario è espresso avendo riguardo non solo alla preparazione nozionistica ma anche alle doti di laboriosità, probità ed equilibrio e alla capacità tecnica intesa in senso più ampio come attitudine ad applicare le proprie cognizioni teoriche all'attività pratica. Il Consiglio giudiziario ha inoltre ampi poteri per una valutazione completa del candidato e può sentire i dirigenti e gli altri membri degli uffici presso i quali l'uditore ha lavorato nonché prendere in esame i provvedimenti da lui redatti e convocarlo per colloqui onde chiarire tutti gli aspetti della sua personalità.
Con analoga procedura si provvede al conferimento della nomina a magistrato di Corte di appello e di Corte di cassazione.
La qualifica di magistrato di appello è attribuita ai magistrati di tribunale che abbiano compiuto 11 anni dalla promozione a tale qualifica; quella di magistrato di cassazione, ai magistrati di Corte di appello che abbiano compiuto sette anni dalla nomina a tale qualifica, e almeno dieci anni di attività anche se non ininterrotta negli uffici giudiziari.
Inoltre la dichiarazione d'idoneità alle funzioni direttive superiori per i magistrati di cassazione è stata ancorata a un momento temporale predeterminato cui conseguono immediatamente effetti giuridici ed economici, mentre rimane differito al verificarsi delle vacanze il conferimento dell'ufficio direttivo. In tale modo si assicura una regolamentazione uniforme a quella già prevista per la nomina a magistrato di appello e di cassazione con la possibilità di operare, all'atto del conferimento degli uffici, una scelta più idonea in quanto estesa a un numero maggiore di magistrati aventi la qualifica richiesta.
Il concorso per esame in cassazione (per l'appello è stato abolito) è stato mantenuto fino all'entrata in vigore del nuovo o. g. e comunque per non oltre 4 anni dalla legge di modifica, cioè fino al 1978.
Ora se il nuovo sistema ha garantito l'indipendenza del giudice salvandolo dal conformismo e dalla preoccupazione e angoscia del concorso, non ha però evitato il livellamento, in quanto le cosiddette promozioni automatiche senza i dovuti controlli e senza gl'incentivi non portano sovente a selezionare i migliori.
L'eliminazione poi di quelle disposizioni cosiddette di sbarramento per l'ingresso in carriera poste indubbiamente dal legislatore per rendere più difficoltoso l'esame in relazione alla complessità della funzione giurisdizionale ha finito con l'annullare quella differenziazione che giustificata la posizione di privilegio che i magistrati godevano rispetto alle altre categorie di funzionari statali.
Dovrà quindi essere compito del legislatore nell'emanare un nuovo o. g. alla stregua dei principi sanciti dalla Costituzione, di rivedere tutto il sistema unitamente alla riforma dei codici di rito.
In quella sede dovrà essere esaminato il problema del diritto di sciopero dei magistrati che la Costituzione non riconosce come diritto illimitato e sulla cui ammissibilità tanto si discute, tenuto conto che nell'ambito del pubblico impiego possono essere limitati alcuni diritti fondamentali in vista dei fini supremi cui tendono i compiti assegnati a determinate categorie di funzionari, nonché il problema del divieto o meno ai magistrati d'iscriversi a partiti politici e comunque di fare politica attiva, in relazione all'art. 98 della Costituzione.
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