ORDELAFFI
Signori di Forlì e di altre terre di Romagna. Le notizie più antiche date dalle cronache sono leggendarie o inesatte. È stato supposto, forse a ragione, che provenissero da Treviso. Il primo sicuramente ricordato è un figlio di Pietro "de Ordelaffo", nel 1170 (Tolosano, Chron., 69). Alla fine del sec. XIII cominciano ad avere parte attiva nella vita politica di Forlì e Faenza, tra i principali di parte ghibellina, con Tebaldo, Teoderico, Guglielmo. Un figlio di Tebaldo, Scarpetta, si può considerare il fondatore della signoria. La testimonianza di Dante, secondo la quale Forlì nel 1300 "sotto le branche verdi si ritrova" (Inf., XXVII, 45: è il loro stemma, un busto di leone e tre fasce verdi in campo aureo), attesta che fin d'allora il comune era fortemente influenzato da essi. Poco dopo, nel 1303, Dante è a Forlì tra i Bianchi esuli protetti da Scarpetta, ed ha parte, quale che sia, nella cancelleria di lui. La signoria è già chiara col capitanato di Scarpetta nel 1307, e più ancora, dopo la parentesi angioina, con suo fratello Cecco (1315-1331). È nipote di essi, figlio di Sinibaldo e di Onestina da Calboli, Francesco, la figura di più vigoroso rilievo della sua casa e insieme, forse, del Trecento romagnolo. Tiranno spregiudicato ed esperto uomo di guerra, dal 1333 in poi fonda un vero e proprio stato, con Forlì, Forlimpopoli, Cesena e ingrandimenti varî, e nel 1337, dopo una prima scomunica, ne è fatto vicario. Ma gli urti con la Chiesa si rinnovano spesso. Quando il legato cardinale Albornoz inizia la riconquista dello Stato della Chiesa, nell'Ordelaffi trova la resistenza più ostinata e irriducibile. Nel 1356 bandisce contro di lui una vera crociata. Dell'anno seguente è la famosa difesa e infine la caduta della rocca di Cesena, tenuta per Francesco dalla moglie, la leggendaria Cia Ubaldini. Ma solo nel luglio 1359 si arrende Forlì, dopo lunghissimo assedio. A Francesco. fu lasciato il vicariato di Forlimpopoli e Castrocaro; seguirono sfortunati tentativi di riacquistare il potere con l'aiuto visconteo, ma la sua potenza era ormai fiaccata, e non gli rimase che darsi al mestiere delle armi, al soldo dei Visconti, poi di Venezia; morì nel 1374. I figli Sinibaldo, Giovanni, Lodovico furono tutti soldati di professione; un altro, Scarpetta, fu vescovo di Forlì (1391-1402). Sinibaldo, con l'aiuto di Firenze, riprende Forlì nel 1376, e tre anni dopo ne ottiene l'investitura come vicario. Gli succedono con la violenza i nipoti Pino (1385-1402) e Cecco (1402-1405), figli di Giovanni. Al governo di Cecco, ucciso dalla furia del popolo, seguono alcuni anni di libertà comunale e di governo del legato Baldassarre Cossa, finché Giorgio, un bastardo di Teobaldo di Lodovico, e Antonio, un bastardo di Cecco, riprendono nel 1411 la città; subito il primo resta solo signore, tenendo l'altro in prigionia per tutto il tempo del suo dominio. Alla sua morte (1422) il figlio Teobaldo ebbe effimera signoria, a cui seguì un periodo non breve di diretto governo ecclesiastico. Antonio, liberato alla morte del cugino, riebbe la città nel 1433. La sua signoria, indebolita da intermezzi di governo della Chiesa e da ingerenze viscontee e fiorentine, si consolidò infine nel 1443 con la conferma del vicariato. Alla sua morte (1448) gli successero i figli. Dopo un periodo di reggenza della madre Caterina (ma di fatto del fratello di lei, Ugo Rangoni), governò Cecco III solo, finché nel 1466 fu imprigionato e ucciso. Il delitto, permesso se non ordinato dal fratello, fu il primo di una lunga serie che getta sulla figura e sul principato di Pino III una luce sinistra, cui non valgono certo ad attenuare la protezione data alle arti e alle lettere e la vasta attività edilizia, che caratterizzano quel periodo della vita cittadina. Dopo il fratello, la moglie Barbara Manfredi, poi la madre, la vedova di Cecco Elisabetta Manfredi (sorella di Barbara), la seconda moglie, che era pure una Manfredi, Zaffira; tutti, per non parlare che dei famigliari, sono raggiunti dal veleno. La terza moglie, Lucrezia Pico, a quanto sembra, avvelenò lui (1480). Tale il fosco tramonto della signoria, se non ancora della famiglia. Pochi mesi vive il bastardo Sinibaldo, con la reggenza di Lucrezia, e invano sono acclamati signori i rivali figli di Cecco. Lo stato di Forlì è devoluto da Sisto IV a Girolamo Riaiio e resta alla vedova di lui Caterina Sforza. Dopo lei e dopo il Borgia, una fuggevole restaurazione rende la città per pochi mesi ai figli di Cecco III: ad Antonio Maria (1503-1504) e a Lodovico (1504), morto poi nello stesso anno a Ravenna, ultimo della discendenza maschile.
Bibl.: L. Passerini, Ordelaffi di Forlì (1862), in Litta, Famiglie celebri italiane; M. Barbi, Sulla dimora di Dante a Forlì, in Bull. d. Soc. dant. it., 1892, n. 8, pp. 21-28, poi in Problemi di critica dantesca, I, Firenze 1934; E. Monaci, Il ritratto di Madonna Cia e la sua epopea, in Convito, IX (1896), pp. 609-618; F. Filippini, Il cardinale Egidio Albornoz, Bologna 1933, capp. V-VIII; E. Calzini, L'arte in Forlì al tempo di Pino III O., in Atti e mem. d. R. Dep. di st. p. per le prov. di Romagna, s. 3ª, XII (1894), pp. 125-139; G. Mazzatinti, Il principato di Pino III O. secondo un frammento inedito della cronaca di Leone Cobelli, ibid., s. 3ª, XIII (1895), pp. 1-56; C. Grigioni, Pino III O., in La Romagna, VII (1910), pp. 118-123.