ORCHOMENOS di Beozia (῾Ορχομενός, Orchomĕnus)
Una delle più illustri città della protostoria greca, capitale dei Minî, situata sul lago Copaide, alle pendici dell'Akontion, presso il fiume Cefiso.
Ebbe in origine il predominio su tutta la Beozia occidentale, entrò nel VII sec. a. C. nella lega beotica, parteggiò per i Persiani nelle guerre persiane e per Sparta nella guerra del Peloponneso; distrutta due volte dai Tebani fu ricostruita da Filippo di Macedonia.
Gli scavi, iniziati dallo Schliemann, nel 1880, furono proseguiti nelle terrazze superiori della città dal De Ridder con la Scuola Francese e infine dal Furtwängler, dal Bulle e dal Kunze.
La città preistorica sorgeva nella pianura, ma col tempo, per il progressivo impaludamento della zona, l'abitato si estese sull'Akontion. Dalle origini all'età tardo-micenea si sono riconosciuti varî strati, che ai primi scopritori apparvero cinque, ma, in realtà, soprattutto nelle epoche più antiche, comprendono più suddivisioni.
Lo strato neolitico è caratterizzato da una ricchissima produzione ceramica (conservata al museo di Cheronea), ove si distinguono esemplari dei varî tipi della ceramica neolitica: monocroma rossa e rosso lucida, nera lucida spesso con decorazioni dipinte a rilievo, Sesido, Chaironea-Gattung, Urfirnis neolitica, Dimini B e L, ecc. Le forme più comuni sono un nappo senza manico con orlo bruscamente piegato e terminante in una curva concava e fondo piatto e coppe piatte o con basso orlo. Manca una data assoluta di cronologia per l'inizio di questo periodo; per il Kunze la sua fine coincideva con l'inizio dell'ultimo terzo del IV millennio: attualmente la si sposta, per la datazione della Dimmi L, che è la più recente e si avventura già nella prima Età del Bronzo, al primo terzo del III millennio a. C. Al periodo neolitico era stata anche attribuita una serie di costruzioni a pianta circolare, del diametro di circa 6 m, appoggiate per lo più direttamente sulla roccia con uno zoccolo alto fino a 1 m, di pietre grosse all'esterno e più minute all'interno e una parte superiore a cupola, in mattoni crudi di fango. Questi edifici formano due gruppi, ciascuno comprendente due o tre costruzioni continue. In un primo tempo si era pensato dovesse trattarsi di capanne di abitazione, ma la loro disposizione, l'apparente assenza di porte e il confronto con esempî egiziani e un vaso di Milo dalla strana forma interpretata come il modello di un granaio, hanno fatto supporre al Marinatos che fossero dei granai. Si ritiene altresì che appartengano già all'Età del Bronzo e più precisamente alla prima fase del Protoelladico (metà del III millennio a. C.).
Lo strato successivo (Elladico Medio) corrisponde al Kamares cretese; è caratterizzato da case a pianta ellittica con facciata rettilinea (un tipo di cui si sono incontrati molti altri esemplari nella Grecia antichissima), da una ceramica molto meno ricca della precedente, fatta al tornio, a vernice (Urfirnis), ma con grande varietà di forme, e dalle peculiari fosse cinerarie designate col nome di bothroi.
Allo strato protomiceneo (1700-1500) appartengono case quadrangolari di piccole proporzioni, con parecchie stanze. Si introduce la consuetudine di seppellire entro le case i morti rannicchiati. Sono stati distinti tre sottoperiodi, che non si individuano però nella ceramica che è quella detta minia (o lidia): monocroma, di colore grigiastro o anche giallastro, raramente decorata da scanalature e incisioni lineari. Nello strato Seguente, che corrisponde al Miceneo Tardo, sono stati rinvenuti i resti di un grande mègaron con tracce di affreschi che presentano ornamenti a semirosette, la rappresentazione di un edificio con finestre, alcune figure maschili ecc., che si allineano fra i rari e preziosi incunaboli della pittura antica. A un periodo successivo, anche esso del Miceneo Tardo, appartiene il più famoso monumento di O., la grande tomba a cupola, nota a Pausania come il Tesoro di Minia. È una vasta costruzione, analoga a quelle micenee (Tesoro di Atreo, di Clitennestra, ecc.), con un corridoio di ingresso e una porta coperta da un architrave in un sol blocco di 6 m, che immette in una rotonda a thòlos di 14 m circa di diametro. Della vòlta rimangono sei assise in blocchi squadrati con fori per l'inserzione di rosette bronzee. Nell'interno sono i resti di un monumento funerario di età macedone. Attraverso una porta ad E si passava nella camera funeraria rettangolare, tagliata nella roccia (larga m 2,75, lunga 3,74, alta 2,40), con le pareti e il soffitto interamente rivestiti di lastre di ardesia verdastra, decorata con rosette, spirali ricorrenti e fiori, secondo un gusto raffinatissimo e di sapore orientale.
La città ellenica occupava le pendici del monte. Appartengono ad essa i resti di un tempio prearcaico sovrappostosi all'abitato miceneo. Su una terrazza più alta sono state scoperte le fondamenta di un tempio dorico con 6 × 11 colonne e in grossi blocchi di calcare, dedicato ad Asklepios. Da qui provengono altresì frammenti tardomicenei, protobeotici, protocorinzî, corinzî, attici ed una serie di graziose lamine bronzee argivo-corinzie del VI sec. a. C. Nel medesimo luogo si insediò poi una necropoli bizantina.
La città ellenistica ricostruita da Filippo e da Alessandro, sorgeva sulla parte alta del monte. Restano notevolissime tracce della poderosa cinta muraria che circondava tutto il monte. È in opera poligonale e irregolarmente trapezoidale di età ancora arcaica, con rappezzi posteriori, fornita di torri e porte; ha perimetro triangolare (il vertice coincide con la cima dell'Akontion). Attraverso una scala irregolare, tagliata nella roccia e divisa in tre sezioni si accede all'acropoli costruita in conci isodomici con faccia quadrata, con un grosso torrione entro cui è una corte con cisterna. La varietà delle opere costruttive ha fatto riconoscere nelle mura quattro diversi periodi: ai primi due, ancora di età arcaica, appartengono i tratti in opera poligonale e irregolarmente trapezoidale: ad un'epoca anteriore alla distruzione della città da parte dei Tebani (363 a. C.) apparterrebbe il grosso torrione dell'acropoli, mentre i varî rappezzi che si notano nella cinta sarebbero dovuti a Onomarco, il generale focese che, occupata O. (355 a. C.) tentò qui, invano, di opporsi a Filippo il Macedone (Scranton).
Presso la pendice N-O dell'Akontion, ove sgorga l'ultima delle sorgenti del Melas (Pettakos), De Ridder trovò resti di un abitato o di un luogo di culto del Il millennio, ove nel VII-VI sec. si insediò un piccolo recinto sacro, che nel V sec. dovette cadere in disuso. Un poco più ad E, a N del tempio arcaico, era l'antica fonte Akidalia, o delle Canti, ove si scendeva con una scalinata tagliata nella roccia dall'abitato. Pausania menziona ancora fra gli edifici di O. la Tomba di Esiodo, un tempio di Dioniso e un Odeion. A O. è stata rinvenuta la famosa stele firmata da Alxenor di Nasso, conservata al museo di Atene (v. alxenor).
Bibl.: D. Levi, in Enc. It., s. v.; H. Schliemann, Orchomenos, Lipsia 1881; A. De Ridder, Fouilles d'Orchomène, in Bull. Corr. Hell., XIX, 1895, 137-224; J. G. Frazer, Pausania's Description of Greece, Londra 1898, V, 180-194; H. Bulle, Orchomenos I, Die älteren Ansiedlungsschichten, Monaco 1907; E. Kunze, Orchomenos II, Die neolitische Keramik, Monaco 1931; E. Kunze, Orchomenos III, Die Keramik der frühen Bronzezeit, Monaco 1934; D. Fimmen, Kret. u. myk. Kultur, Lipsia-Berlino 1924; R. L. Scranton, Greek Walls, Cambridge 1941, p. 90-91; Sp. Marinatos, in Bull. Corr. Hell., LXX, 1946, pp. 337-351; F. Schachermeyr, Die ältesten Kulturen Griechenlands, Stoccarda 1955.